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Il viaggio in Albania: l’arrivo a Tirana!

L’aereo della compagnia Wizzair arriva puntuale nel piccolo aeroporto internazionale di Tirana. Controlli attenti – scambiano i miei notes per soldi contraffatti – e sorrisi di scusa e comincio l’avventura!

Terminata l’atmosfera ovattata dello scalo, riproponibile ad ogni latitudine del mondo, si apre un mondo più verace e caotico: tassisti che contrattano, la fiera degli autonoleggi e, in fondo alla mischia, gli autobus che portano alle varie destinazioni.

Scelgo quello con la scritta Tirana. L’autista ha il volto di Paul Newman, mi dice che costa 4 euro il trasporto, di salire subito con un cenno di intesa. Parla con altri tipi che poi scoprirò siano collaboratori: uno chiude le porte, l’altro accompagna l’autista. Nessun pagamento anticipato. La vettura è vecchia, un salto nel passato: ha i sedili con una stoffa appassita, un servizio bagno (che poi scopro sia un deposito per spazzoloni), un orologio che segna l’una. Ci son viaggiatori solitari, albanesi, una coppia di cinesi – lo vedo dal cellulare – un americano e altre persone.

Una donna sull’ottantina con capelli raccolti e abito nero – potrei associarla a una classica nonna di paese – è in videochiamata alla figlia che le mostra i bimbi che giocano. Sorrisi e urla. Capisco che stanno parlando anche di lavatrici e detersivi. Il marito sale dopo, sfoggia un impeccabile abito blu con una bella camicia bianca e colletti larghi, ha capelli brizzolati lunghi e un viso abbronzato sembra pronto per le nozze d’argento.

Quando l’autista accende i motori, dopo un’ora di forzata pausa, posso tirare un sospiro di sollievo. Il bigliettaio ha la polo rossa aziendale, sguardo freddo e tiene i soldi in mano: accetta moneta albanese o euro.

L’autobus dopo appena cento metri rallenta, recupera altri passeggeri appena scesi dai voli. Ma farà altre fermate curiose, quasi casuali, di cui una in aperta campagna in cui salgono due contadini che ringraziano e si siedono dietro. Poi ancirs due giovani viaggiatori.

Il tragitto aeroporto-centro dura mezz’ora, un film che mostra sviluppo e limiti di Tirana: case non ancora finite lasciano la vista a moderne fabbriche, aziende, noiosi centri commerciali da scritte inglesi e sedi distaccate di multinazionali. I nomi italiani son ricorrenti.

Tornando alle fermate, nemmeno io comprendo quale sia la ratio tant’è che la richiesta di fermata è semplicemente alzarti e far capire di voler scendere alla prossima. Lo faccio, ma la prossima è il fine corsa. “Cinque minuti”, dice l‘autista in un malandato inglese. Purtroppo diventano venticinque perché il centro è un inferno di traffico, incroci con precedenze indecifrabili, motorino e bici.

Arriviamo fino al terminal tagliando in due Tirana e non tutto quel che va storto è un problema reale: mi godo la città in un inedito tour a bordo, sono a due passi da piazza Skandebeg in cui si arriva con una breve camminata con la chiesa ortodossa e il palazzo dell’Opera.

Intorno è un fluire caotico e disordinato di auto, persone e autobus. Giardinetti incolti, panchine disseminate in maniera casuale, chioschetti, anziani che giocano a scacchi e sorseggiano un caffè turco e ragazzi che gioscono per l’uscita da scuola. E poi ancora suonatori di flauto, donne con la spesa, mendicanti, studenti universitari. Una coppia litiga, dei motorini passano impuniti nell’imponente e lucida piazza dove sventola una grande bandiera albanese.

Intorno case decadenti, palazzi sovietici si ripropongono vicino edifici nuovi e colorati dal gusto moderno, chioschetti attempati con giovani lounge bar.

Il mio alloggio costa 20 euro a notte solo contanti. Una guest al house a dieci minuti dal centro in un quartiere popolarissimo, dove si sentono le urla di una scuola media e le botteghe sono prefabbricate e i panni stesi in palazzi malridotti fanno bella mostra.

Questo mix tra moderno e vecchio, con una devastante semplicità di vita ed energia, un fluire continuo di gente e rumore, mi strappa un sorriso. Curioso alla ricerca di qualcosa di diverso, ma è questa semplicità a disorientarmi.

Questo perdere certezze occidentali e trovarmi davanti botteghe precarie e marciapiedi rotti.

L’Albania ha sofferto tanto. Dittatura efferata, persecuzioni, povertà, influenze politiche e culturali. Televisioni italiane con il loro degrado, migrazioni per cercare un eldorado.

Come non ricordare la nave straripante di albanesi che arrivò a Bari? Ferite che ogni uomo dovrebbe sentire quando parla di storia e politica.

Ma oggi quell’Albania cammina sulle proprie gambe. Tremano ma son proprie.

Forse è davvero dalla sofferenza che i popoli tirano fuori il meglio. Quel meglio che si chiama speranza, quella che altrove è andata perduta, violentata dalla banalità di una vita senza drammi.

Tre giorni a Malta: secondo giorno a La Valletta!

La sveglia è alle 7, non perchè l’abbia settata sull’iphone ma perchè i lavori del vicino cantiere sveglierebbero anche un elefante. E i lavori, i cantieri, i muratori, le gru, i camion, le betoniere sono una costante di Malta.

Una colonna sonora immancabile. La colazione è al Bar Pasculli, una catena italiana che offre cornetti caldi e cappuccini a prezzi non proprio concorrenziali. Per andare a La Valetta da St Giulian c’è un autobus che fa una linea costiera: ogni corsa costa 1 euro e 50 e si può fare un biglietto prepagato da ricaricare volta per volta.

Il bus ferma a Triq Spinola, dopo che le atmosfere plastiche di San Giuliano hanno lasciato spazio a quelle più caotiche della Malta popolare: negozietti random, lavori, sushi bar, barbieri e tatuatori. I turisti si mischiano a maltesi e migranti e i locali pettinati con la deep house e il reggaeton a palla sono un ricordo. Il bus è pulito e si riempie via via che tocca le varie baie del percorso fino a La Valletta. Intorno ci sono abitazioni bianche curate così come mega alberghi senz’anima. Vicino al mare si sviluppa una bella e lunga passeggiata fatta di piccoli bar e giardinetti, insenature e panchine vista mare. Balluta, Sliema, Gezira, in venti minuti il bus arriva al capolinea, di fronte al Memoriale di Guerra del 1938. Altro monumento è la fontana dei Tritoni, opera dello scultore maltese Vincent Apap. Da qui, la Porta della città permette l’ingresso di Valletta. Anche questa è costruita dall’architetto italiano Renzo Piano.

UN SALTO NEL TEMPO!

La Valletta è quel luogo che ti catapulta al Medioevo, a cavalieri e sfide all’ultimo sangue. Ha un centro storico racchiuso da antichi bastioni, fatto di stretti vicoli con edifici antichi con i caratteristici balconi in legno colorati, i gallarija. Strade strette lastricate, disposte a grigia, chiese barocche, palazzi antichi, “costruiti dai cavalieri per i cavalieri” e realizzati con quell’inconfondibile pietra color ocra.

La Valletta è il mix di tutto quello che l’isola rappresenta, cultura europea, nordafricana fino a quella mediorientale,.

Verrete travolti dal flusso della sua strada principale (Triq ir-Republika) con i negozi dei grandi marchi internazionali della moda, della gioielleria e della musica, un fluire rumoroso di turisti, altri negozi che vendono ogni cosa possibile e immaginabile, boutique, caffè e palazzi istituzionali.

Da questa lunga strada, colorata dai carri e dai colori del Carnevale, si snodano stradine secondarie, salite e discese anche molto ripide, dove si possono trovare altre botteghe e caffè. E poi ancora biancheria stesa, porte colorate, piccoli frammenti di mare, Madonnine negli angoli che sembrano benedire i viaggiatori, profumo di kebab e i rumori indistinti di stoviglie.

Tornando all’accesso principale, il primo palazzo che incroci è il nuovo Parlamento progettato da Renzo Piano e inaugurato nel 2015, realizzato con la pietra calcarea maltese chiamata limestone. Leggo che questo edificio ha suscitato molte controversie tra la popolazione locale. Le opinioni si dividono con chi è a favore del modernismo e con chi avrebbe preferito una struttura più conservatrice e coerente con la storia di Valletta.

Subito dopo, a pochi metri, uno spazio vuoto con luci e altri cartelloni: è il Royal Opera House, il teatro più importante e prestigioso di Valletta. Nel 1873, devastato da un incendio, fu restaurato nel 1877 e nel 1942 venne bombardato dall’esercito tedesco. Le rovine sono state riqualificate ancora da Renzo Piano che lo ha ripensato come un teatro all’aperto. Nacque così il Pjazza Teatru Rjal, inaugurato nell’agosto 2013. Il teatro ospita oggi concerti, proiezioni di film, festival e spettacoli teatrali. Più avanti ancora l’Auberge de Castille, uno dei sette costruiti a Valletta nel XVI secolo dai Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Era la sede dei cavalieri spagnoli e portoghesi, oggi è l’ufficio del primo ministro. La piazza ospita le statue di George Borg Olivier, ex Primo Ministro che ha portato Malta all’indipendenza, e Paul Boffa che ha dato il diritto di voto alle donne nel 1945.

Non poco distante, troverete i Giardini di Barrakka: sono tra i giardini più belli di Valletta da cui godrete di un belvedere delle Tre Città e del porto. Curiosità vuole che fosse un luogo di riposo privato per i cavalieri italiani, ma ha aperto le sue porte al pubblico nel diciannovesimo secolo.

Oltre il verde, c’è la Saluting Battery, l’antica piattaforma cerimoniale da cui vengono sparati i colpi di cannone. Anche oggi la tradizione continua con le sparate, due volte al giorno, a mezzogiorno e alle quattro del pomeriggio. Quei colpi di cannone e un’astuta colonna sonora in sottofondo ti catapultano nell’antico Medioevo e nel periodo delle conquiste e delle guerre a suon di artiglierie pesanti!

LE CHIESE DELLA VALLETTA

Malta è anche chiese, tante e spesso nascoste tra le costruzioni dal classico colore giallastro. La concattedrale di San Giovanni è una tappa obbligata. Le decorazioni sono state ispirate dalle più belle chiese del Vaticano. La cattedrale contiene anche molti dipinti, sculture e dipinti di grandi artisti come Mattia Preti e Caravaggio (“La decollazione di San Giovanni Battista” è tra i più importanti dipinti del diciassettesimo secolo).

E PER PRANZO?

La gente è tanta, come l’offerta gastronomica. C’è un ristorante italiano, uno dei tantissimi presenti, ben recensito sulle guide. Si chiama ZeroSei, e offre piatti della cucina romana, con alcuni tavoli fuori e un onestissimo menù di primi gustosissimi. Una carbonara, un buon vino rosso e si può ripartire per le strade della Valletta. Si avvicina un tipo, evidentemente sbronzo: è giovane, pare voler attaccare giusto discorso.

Un colorato bar vicino richiama la voglia di caffè, invece fanno solo birre e drink. Ancora alcool? Come sempre, per non dire di no e andarmene facendo notare che cercavo una semplice caffetteria, ordino un prosecco. Il 67Kapitali (67 Triq l-Ifran Il-Belt Valletta), così si chiama, è gestito da due ragazzi e ha tavolini di ferro con sedie metalliche color turchese, ci sono specchi, riproduzioni di quadri di Klimt, e un grande menù disordinato dove vengono presentate – scritte col gesso – le birre alla spina disponibili, un divano amaranto che ha davanti un tavolino di riviste in lingua inglese divano e che diventa la mia sistemazione per diverse ore. 

Una caratteristica dei locali di Malta è che i bagni sono sistemati sempre in un antro segreto nel piano sottostante raggiungibile con scale non proprio agevoli. Il bar in viaggio diventa ritrovo, ufficio, casa. Pomeriggio sonnolento, come sempre accade dopo una mattinata così.

Il bus aspetta i turisti sempre vicino alla Fontana dei Tritoni. Il terminal è organizzato benissimo, con le destinazioni e i numeri dei mezzi riportate su cartelli. I turisti si mischiano ai maltesi che vestono senza l’ossessione dello stile e delle marche che abbiamo noi italiani. Risalendo a bordo, le nuvole e un’aria di tempesta ha cambiato il mood del pomeriggio. L’autobus risale verso St Giulian, riavvolgendo la pellicola di stamattina e permettendo di ricaricare le batterie dopo le camminate della Capitale.

SPINOLA BAY E LE DISCO DI PEACEVILLE!

La cena è a Spinola Bay, una zona ricca di ristoranti, bracerie, sushi bar, con una baia suggestiva che la notte si illumina. Nonostante la notte, colpiscono le piccole imbarcazioni colorate tradizionali che dondolano su un mare stranamente calmo.

Oggi è la volta di una burgeria (Badassburger) che si trova a due passi dal Commissariato locale. Chissà che vita fanno i poliziotti in uno dei paesi col più basso tasso di criminalità d’Europa! Per la verità proprio davanti ai loro uffici qualche personaggio poco raccomandabile gira eccome. Un hamburger di Angus e una bella Cisk, la birra locale, completano la serata, mentre due televisori, uno di fronte all’altro, propongono due partite diverse del campionato tedesco. 

E’ domenica e andare a letto presto sarebbe un delitto! Peaceville, il quartiere che è una piccola Las Vegas dove puoi trovare sushi bar, discoteche, megacinema, centri commerciali, gentleman’s club, casinò, lounge bar, kebab e pizzerie da asporto tutte raccolte in poche centinaia di metri, in particolare nella stretta scalinata di Triq Santa Rita. Anche qui, il mix di volti è contrastante: si passa dagli studentelli sbarbati altezza un metro e novanta alle ragazzine con minigonne vertiginose fino a incrociare sguardi di sfida di strani individui che tutto vogliono fare fuorché divertirsi. Poi ci sono i buttafuori che controllano il fluire della gente con sguardo attento e fisico scolpito e poi ancora, di fronte ai Gentlman’s Club – leggete le recensioni per capire cosa accade dentro – donne attempate, truccate con frettolosa attenzione, provano a stuzzicare i viandanti con sguardi tra il seducente e il minaccioso. L’offerta classica dei discobar maltesi è  nresso gratuito, compra un drink e ne hai un altro in omaggio.

TRA SHADOW E FOOTLOSE

I locali si riempiono presto, già alle dieci ribollono di energia e musica, il pubblico è giovanissimo. Si balla, si fuma dentro, non ci sono mascherine e quello che più colpisce è l’entusiasmo che sta nell’aria. Tutti ma proprio tutti ballano e si divertono. I prive sono degli angoli sovraffolati, il resto è solo pista. Tanta gente, troppa! Shadow Club, Footloose, Tigullio. Tutti si muovono sguaiatamente ma nessuno ha l’aria minacciosa nonostante ci si tocchi e ci si avvicini. La selezione spazia tra Reggaeton, hiphop, dance, l’età media sta sui 22 anni, perlopiù studenti che qui arrivano a frotte per i corsi d’inglese.

Si canta a squarciagola qualsiasi pezzo, la clientela femminile fa amicizia molto velocemente strusciandosi su qualsiasi elemento commestibile, compresi i buttafuori che appaiono, stranamente, rilassati.

Non aspettatevi consumazioni meravigliose: l’offerta uno per due al bar è la morte del buon bere. Bicchiere di plastica e drink annacquato. E quando entra la polizia municipale – quella sì, con le mascherine – e credi che ora arresterà tutti per il mancato uso delle stesse o per limonate non autorizzate, in realtà controlla solo i documenti di qualcuno che, solo d’apparenza, sembra minorenne.

All’una il Dj con un pezzo di uno sconosciuto clone di Justin Bieber, suona la ritirata: tutti fuori. Nei giorni lavorativi è la regola. I clienti escono con ordine, davanti alla disco comincia lo spettacolo classico del post serata universitaria: chi urla, chi si bacia, chi vomita. Quella stessa strada, la mattina dopo, sarà già  pulita, con i soliti operai maltesi a costruire, mettere il cemento, piallare o ristrutturare l’ennesimo palazzo.
La Malta plastica e luccicante di Peaceville mi lascia perplesso specie dopo le atmosfere mediterranee della Valletta. Eppure anche questa, rumorosa, festaiola, trash, con i menù e la musica, le ragazzine in gita premio è una delle facce di un’isola bellissima e piena di volti e contraddizioni palesi.

Cosa fare a Fuerteventura?

In realtà, la domanda giusta sarebbe: Perché NON andare a Fuerteventura?
Me lo son chiesto quando, con il mio solito last minute, grazie all’amico Giuseppe Marcialis che mi ha mandato in avanscoperta come inviatixi speciale per I sarti del viaggio, ho deciso di partire sfruttando il periodo migliore dell’anno!
DOVE SI TROVA. Dico la verità, non avevo ben capito! Quattro ore di volo Ryanair da Bergamo e sei nell’Oceano Atlantico, al largo delle coste marocchine (distanza 100km), tra Lanzarote, a Nord-Est, e Gran Canaria, a Sud-Ovest.
È la seconda isola delle Canarie dopo Tenerife. E’ la più vecchia, datata 20 milioni di anni fa, ma anche la più selvaggia e affascinante dal punto di vista naturalistico e paesaggistico.
Il paesaggio è assurdo! roccioso, desertico (come quello africano) e vulcanico. Si è infatti originata dalle eruzioni vulcaniche. La montagna più alta, il Pico de la Zarza, ha 807 metri, mentre la maggior parte della superficie dell’isola presenta meno di 200 metri di altezza.
POCA GENTE, MOLTE CAPRE. Fuerteventura è poco popolata, tanto che ci sono più capre che esseri umani! Le capre vengono allevate per produrre il famoso queso majorero, un formaggio così rinomato da aver ricevuto la denominazione di origine che ne certifica l’effettiva provenienza dall’isola e la genuinità.
CHI TROVI. I surfisti ne fanno meta speciale perché amano le onde, i pensionati, una nutrita comunità di Italiani che ha lasciato – senza rimpianti – il bel paese, poi ancora famiglie, turisti inglesi e tedeschi in ogni stagione, nomadi digitali alla Tixi e hippy!
L’AVVENTURA! Fuerteventura non è per tutti. Lo dice il nome stesso “forte avventura”. Quindi se vuoi goderti al meglio devi noleggiare un’auto, avere una mappa, zaino in spalla e correre alla scoperta di posti meravigliosi e incontaminati, che spesso si nascondono dietro strade sterrate (occhio alle forature). Ogni giorno sarà un’avventura diversa, da nord a sud sono circa 100 chilometri!
A dispetto della sua ridotta estensione, è un concentrato di posti bellissimi: spiagge diverse una dall’altra alcune con acqua cristallina e spiaggia finissima altre con…pop corn, la laguna naturale, il piccolo deserto, i borghi antichi, i mulini a vento, i paesaggi lunari, le piantagioni infinite di Aloe Vera e cactus, mercatini, rocce, lande desolate e tanto, tanto altro.
QUANDO DOVRESTI ANDARE. Meglio dalla fine della primavera (verso maggio) fino a fine ottobre. Sconsigliato il periodo estivo, soprattutto a luglio e agosto. Incognita del vento, sempre, che non mi è parso così fastidioso!
ALLOGGI, MOVIMENTO E PASTI. Scegli una zona che ti permetta di spostarti nell’isola (ero a Morro Jable, forse era meglio Puerto del Rosario). Forse è più economico l’appartamento.
Il noleggio di un’auto: dai 30 euro al giorno e il prezzo del carburante intorno a 1,20 per la benzina e a 1,30€ per il diesel.
Un pasto al ristorante sta sui 20 euro a testa, se fate la spesa risparmiate circa il 30-40% di quello che spendete in Italia!
I POSTI CONSIGLIATI DA TIXI!
Tanti, troppi. Una piccola selezione.
Al Parque Natural de las Dunas de Corralejo passerai per una strada infinita che taglia in dune di sabbia dorata a perdita d’occhio, cielo azzurro, nuvoloni, un mare incredibile e la Isla de Lobos ad un passo. Ti consiglio Playa El Moro, una baia raccolta.
Se vuoi un delizioso borgo di pescatori, vai a El Cotillo: spiagge più belle dell’isola, tante scuole di surf, il vecchio porto, la Fortaleza del Tostón e un’ottima cucina.
Vuoi un panorama? Ecco il Mirador de Morro Velosa, un luogo surreale che sovrasta sinuosi barrancos (burroni) in un’arida valle che appare letteralmente rossa!
Se vuoi una spiaggia nera c’è la Playa Viejo Rey e La Pare, immensa, che con l’alta marea viene suddivisa in una serie di intime calette di diversa grandezza a ridosso della roccia frastagliata, amata dai surfisti.
Altra spiaggia? C’è la Playa de Sotavento de Jandía. Lunga ben 9 km, con le sue lingue di sabbia dorata che affiorano dall’acqua a circa 200 m dalla riva. Potrai sdraiarti in “modalità privata” su uno degli altri isolotti più piccoli che appaiono e scompaiono con le maree…
Ajuy – prova a pronunciarlo! – è un villaggio di pescatori dalle casette colorate, si affaccia su una spiaggia di sabbia nera (il bagno è sconsigliato a causa delle forti correnti). Un percorso conduce ad un Monumento Naturale (le rocce più antiche delle Canarie) in cui osservare ad occhio nudo substrati sedimentari formatisi nelle profondità oceaniche e antiche fornaci di calce.
Vuoi meditare? C’è la Montaña de Tindaya. Tra rituali magici e resti archeologici di grande interesse, era considerata sacra dagli aborigeni. Conserva circa 300 incisioni a forma di piede.
Vuoi una spiaggia di Pop Corn? Ecco la Playa de El Hierro. Ti ritroverai davanti ad una distesa di “pop corn” e quasi avrai paura a camminarci sopra! Si tratta di piccoli coralli bianchi – i rodoliti – dalla forma capricciosa, risultato dell’erosione di alghe calcaree.
Vuoi un vulcano? Ecco il Calderón Hondo, tra i migliori conservati. Si arriva in cima (278 m) in mezz’ora, percorrendo un sentiero sterrato e ben delineato.
Da qui ammiri la natura dell’isola, i suoi colori rossastri con l’azzurro del cielo, gli infiniti coni vulcanici, le dune, il mare e la vicina Lanzarote, ma soprattutto passeggi lungo tutta la bocca del cratere! Occhio agli scoiattoli in cerca di cibo…
Vuoi una bella cittadina? Ecco Betancuria, l’ex capitale,uno dei più importanti punti di riferimento coloniale nella storia delle isole Canarie. Fondata nel 1404 dal cavaliere normanno Jean de Bethencourt, che scelse una valle interna, lontana dal mare per una migliore difesa contro i pirati. Se passeggi capisci la storia di Fuerteventura!
E PER MANGIARE?
Si comincia con una zuppa o un’insalata (entrantes) e poi il piatto principale che puo’ essere di carne o pesce. Le pietanze sono accompagnate da un contorno (guarnición) di verdura, legumi, riso o patate.
L’aperitivo non esiste ma puoi sostituirlo con le tapas: olive, tortilla, pane con pomodoro fresco e le famose papas arrugadas con mojo (piccole patate con buccia rugata con salsa all’aglio e paprika). Da provare il pimiento de padron, piccoli peperoni verdi fritti e i gambas a l’ajillo, gamberetti all’aglio. In alcuni posti trovi anche il prosciutto (jamon) iberico Pata Negra tagliato a mano con tecnica e ottimi formaggi (queso).
La carne propone pollo, maiale, vacca, coniglio e ovviamente la capra.
Per il pesce polipi e di tante varietà con lisca, ma anche murene e lapas (specie di cozza). Non ci sono crostacei perchè l’Atlantico è un mare freddo.
C’e’ tantissima frutta dalla Spagna mentre i prodotti autoctoni sono il platano (piccole banane), mango, papaya, avocado e fichi d’India dai quali si ottiene una famosa marmellata.
Altro prodotto molto amato è il gofio, miscela di farine di mais e grano, che si utilizza per dolci, mousse e biscotti o anche disciolto nel latte come se fosse un cacao.
E SE VOLESSI BERE QUALCOSA?
La birra più diffusa è la Tropical, che e’ di produzione Canaria e L-Apa, che e’ la prima birra artigianale prodotta da quattro giovani ragazzi.
Il vino buono viene importato dalla penisola o da Lanzarote che ha vigneti unici al mondo grazie al suo ecosistema. Famosi sono La Geria, la Malvasia Vulcanica de Lanzarote, El Grifo, etc.
Famoso anche il Ron Miel, un rum molto dolce ottenuto da rum, acquavite di canna, zuccheri e il miele d’api. Tra le bevande analcoliche c’è la Clipper, gassata al sapore di fragola.
CURIOSITÀ
-Non si spreca l’acqua. Sull’isola non c’e’ acqua ma un impianto dove l’acqua marina viene trasformata in acqua dolce!
-Piove poco, ma ci sono i microclimi, se ti trovi in un posto dove in quel momento piove magari a 10 km splende il sole.
Molti noleggi non coprono l’auto nello sterrato, occhio!
si parla anche tedesco e troverai… molti tedeschi!
COSA MI HA COLPITO
Una piccola isola, piena di scenari straordinari. La rilassatezza, il senso selvaggio e di lontananza che si gode in tante parti (certo, ci sono anche quelle straturistiche). E la grande capacità dei canari di rendere un luogo desertico e periferico, accogliente per un viaggiatore in cerca di emozioni!
E tu che aspetti?

Tre giorni fantastici a Malta: giorno uno!

Malta, perchè no? Ryanair, nelle sue destinazioni da Cagliari propone la bella isola a un tiro di schioppo dalla Sardegna. L’offerta è gustosa: bagagli esclusi, 9,90 a tratta. Malta, dove già son stato nel 2014, partendo però da Bergamo e alloggiando a Sliema. Un nuovo viaggio pensato e organizzato davvero in pochi giorni, come oramai è consuetudine, cercando di sistemare gli impegni di lavoro. Un domenica-mercoledì che significherà tre notte e tre giorni intensi, con arrivo serale e ripartenza sempre in serata!

aeroporto di Cagliari

Tante gente si affolla sui gate dell’aeroporto di Cagliari: la domenica sera, dopo un weekend al caldo di casa, è il momento per tanti sardi di rientrare in continente, così si dice, dopo aperitivi, cene, foto al mare e tag per far invidiare gli amici nordici sui social. Studenti, imprenditori, lavoratori, tutti ingessati nel loro outfit perfetto, Il sonnecchiante aeroporto di Elmas diventa più vivo del solito: file, disordine, caos, caffè e aperitivi si sprecano in quelle ore prima che tutto si riaddormenti. Qualcuno compra una maglia del Cagliari nello store Adidas, qualche altro cerca un vino o un dolcetto tradizionale – a prezzi assolutamente alti – negli store, pochi turisti disorientati cercano informazioni, altri ancora si addormentano nelle scomode sedie dell’attesa, attaccando i loro cellulari alle prese Usb.

Al Gate 1A, uno dei primi come si accede al grande hangar partenze, c’è di strano che parte anche il volo Ryanair per Malta. Di solito, alla compagnia irlandese vengono relegati i gate 16 o 18, i più lontani, nel piano terra. La fila non è prevista, esistono assembramenti casuali di persone che bisogna identificare come partenti per Pisa e Malta. Dove ti devi accodare? parte lo studio sociologico: chi può partire per Malta a fine febbraio? Chi per Pisa? E poi, ancora, quali persone saranno nella fila priorità? Una famiglia di romani e un altro gruppo di rumorosi sardi che discutono di priorità, file e di orari d’arrivo mi indica la giusta strada: questa sarà la mia fila!

Il volo dura un’ora e venti, direzione Sud, lambendo l’Africa. A bordo si vendono cibi e bevande calde e fredde con la voce femminile metallica che accompagna i passeggeri nella scelta del menù. Lo steward, verso metà della traversata, chiede l’attenzione: “È un momento molto importante, una grande notizia”, e il cuore comincia a battere. Terrorismo? Problemi al motore? Atterraggio d’emergenza? Quei secondi passano infiniti. “Dobbiamo annunciarvi che il volo sta procedendo secondo programma, il tempo è buono, arriveremo a La Valletta in perfetto orario. Ed ora… un momento fantastico – sale ancora di più l’attesa in cabina – comincia la vendita dei gratta e vinci”. Sospiro di sollievo. Al costo di 2 euro potete vincere i biglietti in palio da Ryanair e soprattutto aiutare i bambini dell’ospedale Gaslini di Firenze. L’hostess diventa una soubrette – volevo scrivere Valletta ma in un volo per Malta proprio non ci sta – accompagnando la promozione del collega con una passeggiata lenta e armoniosa nella corsia centrale, mostrando con orgoglio i pezzi di carta che potrebbero far diventare ricchi i vincitori. I passeggeri, assuefatti dall’orario serale e dalle luci basse, si svegliano dal torpore. La presentazione fa colpo: il gruppo di sardi, che prima aveva acquistato derrate alimentari e bevande quasi presagisse un atterraggio di emergenza in qualche località lontana dal mondo, producendo profumi da peggior cucina inglese, si accorda per comprare almeno una decina di biglietti, chiedendo uno sconto comitiva. C’è complicità in quella trattativa tra loro e lo steward e il siparietto diventa interessante. Sonnecchio e guardo la scena incuriosito. Alla fine pare che i biglietti siano diventati almeno quindici, ma un altro colpo di sonno non mi fa conoscere l’esito della lotteria a bordo.

Peaceville Malta

FINALMENTE MALTA!

Le luci della Valletta dopo il buio del Mediterraneo di notte anticipano l’atterraggio brusco del pilota che fa scattare l’applauso dei passeggeri, sballottati ma già pronti ad afferrare le valigie e scendere prima possibile. In aeroporto, oltre alle curiose scritte in maltese – una lingua derivante dai dialetti del Maghreb che mette assieme anche parole italiane, siciliane, francesi e inglesi ma scritta in caratteri latini – c’è da passare il controllo passaporti e greenpass attraverso postazioni fisse che sembrano le cabine dei vecchi quiz di Mike Bongiorno.

L’addetta alla sicurezza ha una camicia azzurra, il simbolo della società per cui lavora, una faccia gentile, parla un inglese facile facile e sorride. Mi licenzia con un “buona permanenza” prima di autorizzarmi alla ricerca del taxi. Sono quasi le 22 e non c’è bisogno nemmeno di fare troppe trattative: tutto è organizzato bene. Si prenota l’auto in un box all’interno dell’aerostazione, con un cartello che indica destinazioni e prezzi relativi. Per St Julien, dove c’è l’albergo, costa 22 euro. La tipa consegna un cartellino al tassista in attesa con scritta a penna la destinazione, tutto si svolge con un ordine quasi inatteso. Ricordavo in passato trattative in inglese e arabo italianizzato per evitare salassi proprio all’arrivo. Nulla di tutto questo. Il taxi è un pulmino Mercedes da star, comodo e silenzioso e scivola via dallo scalo per affrontare luci della notte maltese. Non ricordavo si guidasse a destra. Superstrade illuminate e veloci superano sobborghi, case diroccate, periferie che sembrano aver appena subito un bombardamento, toccando poi ville in stile Beverly Hills, palazzine del gusto nord africano e ancora grattacieli illuminati e palazzi in costruzione. Questa è Malta, tutto e il contrario di tutto. Peaceville, St Julien, la mia destinazione, è il quartiere del peccato. Appena lasci il taxi su Triq Santu Wistin alzi il naso e vedi megaschermi attaccati a grattacieli, centri commerciali, discoteche, night club, ristoranti, centri massaggi, lounge bar, Mc Donald’s multisala e sushibar. I bar sono aperti fino a tarda notte, pub irlandesi e club musicali si nascondono a St. George’s Road, oltre ai bar esclusivi presso Portomaso Marina. Non mancano ancora ristoranti di curry e di dim sum, nonché caffè libanesi oltre al Bay Street Shopping Complex include negozi di gioielli di pizzo e filigrana tipici maltesi e la sala giochi Multimax. Più vicino ci sono casinò e hotel di lusso. Tutto raccolto in pochi isolati dove Malta offre una delle sue anime. Ma basteranno cinque minuti di camminata per trovare un’altra isola, ben diversa e forse ancora più interessante. Quella caotica e disordinata e più vicina alle latitudini africane.

L’albergo è a due passi dall’incrocio fatato di Peaceville. Trenta euro a notte, una bella stanza confortevole con wifi che funziona (strano ma vero!), bagno agevole, mega-schermo escluso colazione, che non prenoto più da tempo. Le colazioni in albergo sono dei banchetti mascherati, un momento in cui, preso dall’emozione del viaggio, ti abbuffi con mix inverosimili e imbarazzanti. Non farò anche stavolta un piatto con uova strapazzate, bacon, prosciutto, marmellata e fetta di torta, no!

Nella hall il receptionist non mostra particolare empatia con i nuovi arrivati. Ti aspetteresti la classica frase in inglese, qual è il tuo nome, posso avere i documenti, invece lui alla domanda “ho una prenotazione” risponde con un asettico e veloce “sì, ho salvato la registrazione”. Attimi di disorientamento, cerco di capire, ma poi tutto si riordina nel giro di uno scambio veloce di frasi, evitabile nell’economia della discussione. Quando il tuo interlocutore parla un’altra lingua ti immagini sempre cosa potrebbe dire, e questo ti aiuta a tenere una onorevole conversazione e difenderti. Stavolta no, è uscito fuori dal campo delle ipotetiche frasi e quando salgo in stanza ho il dubbio che sia un italiano che parla volutamente in inglese quando sente altri italiani.

CENARE TIPICO MALTESE

antipasto maltese

Sistemata la borsa, è il momento di cercare un posto per cena. Camminando scopro che c’è una spiaggia vicino all’albergo, St George, e la sola vista di quel mare di notte, la vicinanza con l’Africa, la poesia del Mediterraneo, mi riporta a una dimensione più suggestiva di Malta.

Malta non dorme mai, basta aprire una app sul cellulare per accorgersi che in zona c’è qualsiasi tipo di scelta per cena: sushi bar, ristorante tipico, pizzeria, fast food, libanese, cinese. Tanto italiano, in tutte le sue forme. A fiuto, con l’intuito del viaggiatore, passeggio attorno al carnevale di luci da insegne e mega-schermi, col sottofondo della classica deep house con bassi profondi da aperitivo. Triq Santa Rita è un passaggio pedonale in salita, una scalinata che taglia il cuore della notte, tra offerte di un drink gratis se ne prendi uno a pagamento, signorine dall’aspetto tutt’altro che rassicurante che ti offrono l’ingresso ai gentleman’s club – recensiti come luoghi di sicuro spillamento di soldi sulla carta e sesso solo col binocolo – e volantini affissi che raccontano che la mafia rumena gestisce i locali e perciò, cari turisti, “state attenti”.

Poche anime in giro, la sera non è proprio primaverile. Lo stomaco chiede attenzione. Ma perchè in viaggio abbiamo sempre fame? Ho letto qualcosa della cucina maltese e, come per il resto, sarà un mix tra inglese, arabo e del meridione d’Italia. La ricordo così, senza particolare enfasi. E loro gli ricordo mai troppo dinamici. Il più vicino ristorante tipico si chiama Gozitan ed è pure ben recensito. All’ingresso un tipo vestito con un improbabile abito da sicario ti accoglie. Dentro c’è una solo tavolata di studenti italiani dai tratti nordici. Il personale non è particolarmente entusiasta di avere altri clienti a quell’ora. Capisco pure loro, specie di una domenica senz’anima, lontana dal caos estivo. Perchè questi luoghi, nella bella stagione, saranno sicuramente un’arena e la vicinanza di mega hotel e residence, in costruzione o chiusi per pausa invernale, la dice tutta sul turismo a Peaceville. Frotte di persone che affolleranno ogni angolo, a qualsiasi ora, alla ricerca di qualsiasi divertimento ed eccesso.

Il menù rispetta pienamente le influenze in cucina. L’antipasto maltese è ricco di sapori, ma non invitante nella presentazione: un piatto che va esplorato e capito. C’è il zalzett, la tipica salsiccia maltese aromatizzata al coriandolo; olive, capperi, gbejniet ovvero formaggio di pecora o capra; bigilla patè di fagioli locali da spalmare sui galletti, i tradizionali cracker maltesi salati che sembrano appena usciti da una qualsiasi confezione da supermercato del Mulino Bianco. Anche il vino locale, un Cabernet Sauvignon di cui non ricordo la marca, non risulta particolarmente entusiasmante.

Nel menù l’elemento essenziale è il coniglio: la cucina maltese è contraddistinta infatti, oltre che da profumi di erbe aromatiche della macchia mediterranea e similitudini con quella italiana, da vari piatti col coniglio. Leggevo che il più noto fosse il-Stuffat tal-Fenek “stufato (spezzatino) di coniglio“. Il coniglio selvatico è una specie autoctona a Malta, la stessa che si trova in Sicilia, Corsica, Sardegna, Elba e isole minori. Durante i primi anni della dominazione dei Cavalieri di San Giovanni, la caccia fu vietata. Molti maltesi continuarono nelle loro usanze per senso di ribellione, tra queste l’arte venatoria. Nel diciottesimo secolo ci fu la consacrazione a piatto nazionale, quando i Cavalieri liberalizzarono la caccia. Negli anni del divieto, le colonie di conigli selvatici si riprodussero in modo incontrollato e fu introdotta la tecnica di allevamento del coniglio domestico, importata dai Cavalieri francesi. Così, il prezzo di questa carne si abbassò tanto e diventò il pasto più accessibile per il popolo. Ecco allora lo Stuffat tal-Fenek con ingredienti ortaggi e spezie caratteristici dell’isola maltese. Quindi aspettatevi sempre tanto coniglio che a me, non so perchè, non piace proprio! 🙂

Il Gozitan tenta di essere tipico ma lo frega probabilmente la zona ultraturistica, costellata di alberghi, locali e residence che quando sono chiusi hanno un aspetto un po’ funereo e lasciano spazio a personaggi e movimenti poco raccomandabili. Il servizio è onesto ma non troppo entusiasmante, il prezzo assolutamente giusto (30 euro a testa per antipasto, secondo, acqua, vino e gelato). Sarà per l’ora, sarà per la stagione, ma potrebbero dare di meglio.

C’è stanchezza nell’aria. Nel taccuino però, segno la prima esperienza fatta: cucina tipica locale. Forse basta e avanza. Ma chissà. Al rientro, riprendendo ancora il cuore di Peaceville, le discoteche hanno acceso i motori, c’è il Footlose già pieno, e i Gentleman’s Club provano ad attirare qualche cliente in cerca d’amore. La notte non si ferma a Malta, nemmeno nei periodi più strani dell’anno. Ci son gli studenti, ci sono i ragazzi. La prima sera però niente esplorazione. La stanchezza sale. Meglio rientrare e preparare primo vero giorno a Malta!

Prima di ogni partenza…

Ryanair mi avvisa che devo caricare i documenti.
Un altro viaggio si avvicina. Spegnere tutto, andare in un altro posto. Niente Mattarella, Sanremo, Covid, odio, rabbia italica, solo bellezza del mondo, sulle cose da scrivere e sulla musica, emozionarsi. Un tetto di una casa, un tramonto, una vecchia bottega, una stazione dei treni. La canzone che ricorderai. Il blocnotes con gli appunti. Gli incontri inattesi. Le idee che scaturirano. I come fosse se.
Nulla, non riesco a stare fermo, vivere sempre nello stesso posto, fare e pensare le stesse cose. Mi annoia, mi uccide, mi imbruttisce.
Cambiare. Partire. Allontanarsi. Mettersi in gioco. Respirare. Sopravvivere, grazie al mondo. Capire. Sentirsi piccoli e periferici di fronte a tutto ciò che è diverso e altro. Senza perdere tempo che tanto il tempo non lo recuperi. Non è fantastico?

Da Tallin a Roma, il rientro in Italia

Quando vado via da Tallin sono le otto e mezzo e mi attendono tre di volo. Finisco die libro, ne inizio in terzo. Il tuoi vicini a me è estone che avrà speso almeno duecentoeuro tra . Sguardo fulmineo, lo avrei visto bene nel remake di Arancia Meccanica. Guarda un video lunghissimo sulla preparazione di auto e motori. Non capisco bene ae quel faccione che c’è sul tabley sia sempre lui. In tre ore l’equipaggio di Ryanair può proporti di tutto: toast, croassant, panini, “bevande calde e fredde” mi piace quando lo dicono, biglietti di lotterie, raccolte punti, ingressi in disco, pentole a pressione ed enciclopedie. Ma io son nel mio mondo mentale di cuffie airpods 2 e pensieri sparsi, nonostante fuori ci sia nulla e giusto qualche turbolenza. Che sul finale fa sballottare l’airbus.
Non ho lasciato testamento quindi per questa volta non ho voglia di morire, ma intanto faccio l’elenco delle cose da portare in caso di ammaraggio. Almeno il cellulare, dai, potrei salvare le foto. O in caso di disastro che bello sarebbe se lo trovassero e leggessero le mie ultime note e i video del volo!
È solo pioggia, un temporale e all’arrivo a Ciampino diventa già passato. Gli orologi tornano indietro di un’ora, scrivevo dal futuro.
La quiete tallinica è un ricordo. Esco nei parcheggi e tra taxi in offerta, cartelli con nomi disparati e autobus, urla da mercato in inglese che nemmeno quando facevo le elementari ero così scarso mi ricordo di essere tornato in Italia. Ci mancano solo i venditori di ombrelli e i buttadentro dei ristoranti.
Il mio bus per Roma parte tra venti minuti, alla piattaforma 1. Le altre destinazioni sono san Giovanni Rotondo e Ciampino città, poi lo schermo salta al giorno dopo.
Nella zona d’attesa una coppia con una coperta guarda un film. Un’anziana ha metà casa nelle sacche del supermercato, credo stia facendo un trasloco, magari dall’età e dal vestire – una punta su San Giovanni Rotondo. L’assistente dell’autista del bus Terravision, colori blu e rosa, ha la parlata napoletana, mi saluta e sa il mio nome. Poggio i bagagli con la solita stretta che non vengano rubati. Ma chi ruba a quell’ora? Poi mi chiede se fossi arrivato da Tallin e se ci fosse molta gente a bordo. Segue interrogatorio su come sia la città, che lui prima o poi ci vuole andare appena si organizza col lavoro. Che poi vuol dire che non ci andrà mai e se ci dovesse andare la scusa sarà credere che ancora le estoni si emozionino per gli italiani e che “dici buongiorno buonasera e ti cadano ai piedi”. Il bus si fa strada nel poco traffico della notte romana, piove e appena arrivo alla stazione Termini so che dovrò trovare la strada per l’albergo. Che la stazione in centinaia di viaggi è stato l’unico posto dove ho sempre temuto il peggio. Il lungo corridoio aperto di via Giolitti è il giaciglio di decine di senzatetto. Poi gruppi di uomini con il fare non rassicurante son fermi più avanti. Sul lato opposto della strada, sudici bar frequentati da altri uomini che sbraitano di fronte a insegne luccicanti OPEN e 24H. L’albergo sta dalla parte dello scalo ferroviario. Trovo subito una traiettoria prr evitare di incrociarli, aggregandomi a gruppi di ragazzi perché in cado fi aggressione nessumo mi verrebbe salvare. Vedo duro l’intervento del tipo con l’abito blu e l’amante che sale sulla
Sua Audi A12 e i netturbini che già troppo se prendono i rifiuti di una giornata a Termini. Quando arrivo all’albergo, dopo aver camminato con gli occhi simili a una telecamera di Google Maps, il ragazzo alla reception, indiano, non parla italiano. Nessun problema. La pensione è strategica alla partenza di domattina e so bene che prendere alberghi vicino a Termini significa firmare un patto col diavolo. La maggior parte si presentano con nomi terrificanti (Rossi, Mariano, Kennedy, Tokyo, Ariston, Calabria, Cina, Canada, Piemonte, Tito, Continental), sono ubicate al
quinto piano senza ascensore, sono squallide pensioni riadattate nel 1965 dove potrete trovarvi sul letto altre persone che son rimaste dalla notte lrima, avere bagni con cuniculi segreti, docce che sprigionano acque reflue oppure essere rapiti e portati in qualche sobborgo. Al terzo piano senza ascensore la mia cameretta con due caratteristiche peculiari: quando accendi la luce del bagno parte un tornato, la finestra chiude male e il bagno senza bidè. Avrei dovuto preoccuparmi subito dal fatto che non parlassero italiano. Giusto per la notte, una sufficienza stile miei compiti di latino al Pacinotti.
Il primo obiettivo è mangiare e farmi una passeggiatona per Roma. Sotto l’albergo una pizzeria aperta tardi. Bingo! In verità anche qui c’era la fregatura. 4 euro e cinquanfa per una mkdesta pizza al taglio. Il tipo, che non capisco bene se sia indiano o sardo – ci sono le icnhusa e un quadro in ceramica con la Sardegna – mi chiama subito “amico mio” e questa espressione fa già capire la sorpresa alla cassa. Dopo aver ricevuto l’ordinazione sparisce per dieci minuti per riscaldare la pizza. Penso che sia fuggito con la mia, poi riappare dicendo accomodati, quasi stessimo parlando del ristorante all’ultimo grido. Poi chiede il pagamento della pizza. Aggiungo una bottiglia d’acqua grande e sono 6,5. Offro mio malgrado 20 euro e accetto quel prezzo Ritorna nei meandri della cucina e sparisce ancora. Sarà fuggito? Quando torna dice di aspettare che ha clienti da servire. Ipotizzo strategie in caso di furto: chiamare la polizia o i carabinieri? E chi si scomoderebbe per dieci euro e più di resto? Farebbe ridere. Immagono la scena. Poi magari lui è amico delle forze dell’ordine e mi direbbero “guarda, lo fa per non andare a spacciare”. Dopo di me arriva una coppia di inglesi e poi un francese. Mi sincero che i prezzi non siano stati riservati solo a me. Ho la paura che il mio volo da bravo ragazzo – leggi jolly – autorizzi tutti a fregarmi. Non è così. La pizza arriva e pure il resto. Vado via perplesso per non aver avuto coraggio e rifiutato quell’obolo. Prendo un bus notturno sfidando anche qui le forze oscure per una passeggiata notturna verso il Vaticano. Roma è straordinaria, è bella. Peccato che quando esci dalla poesia del centro storico il resto sia da dimenticare. Quando torno in albergo si son fatte le due. Provo a prender sonno. Il lavandino ha una perdita. Sotto ci dev’essere qualche sommossa popolare, voci indistinte e urla di giubilo. Forse stanno crocifiggendo qualcuno. Non mi azzardo ad aprire la finestra. Riprendo sonno. Alle 4 e mezzo tocca ai vicini di stanza svegliarmi: dai rumori credo stiano portando un cadavere e occultandolo nell’armadio. Poi discutono animatamente con lei che rinfaccia a lui di aver bevuto troppo. Fuori ancora tumulti. Non so come ma mi riaddormento

Hola

Helsinki, meno 7 gradi

Quando vado via da Helsinki la città dorme ancora. La colazione continentale è fatta di uova, pane tipico con marmellata, pomodori, affettati, olive, cappuccino e frutto. Anche oggi non chiedetemi perché.

Sono le nove quando restituisco la chiave badge all’hotel Anna ed esco. Ci sono 7 gradi sotto lo zero, sette!, forse la temperatura più bassa che abbia mai vissuto in vita mia, restare fuori per piú di dieci minuti o tirare fuori le mani per fare una foto è un’impresa: si congelano più veloci delle pozze. 

La città comincia il suo lento risveglio. I primi caffè sono oasi di calore e sorrisi, nei mercati donne con grandi cappotti e berretti da colori antichi sistemano la frutta. Il tram sferraglia prendendo qualche intrepido passeggero che sfida la prima mattina. C’è vomito ovunque perché qui l’alcool è un problema sociale.

Se dovessi rappresentare queste giornate finlandesi direi freddo, rilassatezza e armonia. Temperature inconcepibili per chi vive vicino al mare ma anche il loro fare lento, l’armonia dei luoghi, l’ordine di ogni angolo e i loro toni, mai sopra le righe. 

Ieri ho trovato un bel ristorantino – Kastan Moljia – dove mangiare a prezzi abbordabili. Nel mare magnum dei posti di Helsinki, tutti con costi assurdi, questo ‘buffet alla finlandese’ aveva un formula divertente e un prezzo irrisorio. C’era qualsiasi bontà tradizionale, zuppe, aringhe e salmone, pane tipico, poi ancora dall’alce alla renna. Presentazione alla buona, conduzione familiare iper gentile, pochi tavoli e ambiente tipico con cimeli, corna e tutto quello che rende il posto inmerso nel proprio paese. Per fortuna sono arrivato prima che finissero i posti a sedere. Il conto? 35 euro, considerato che la birra costa 7 euro e il caffè 3!

All’arrivo al terminal traghetti sono quasi assiderato. Mi son giocato la mano destra che non risponde più agli stimoli. Il cuore batte a intervalli di tempi calcistici e penso a cosa dovrei dire in caso di malore, io che soffro pure di pressione bassa. E se stessi male in nave, mi prenderebbero con l’elicottero? E mi soccorrerebbero qui oppure se ne fregherebbero? Paranoie.

Cerco su google “mani ghiacciate”: sfregare, tisana allo zenzero e abbracciare persone calde. Ehm… la persona più calda qui vicino è una sellerona che se mi avvicinassi sarebbe pronta a stritolarmi.

Mi attacco a un divano, sfrego le mani, spero che tutto passi. Pian piano corpo e mani riacquistano livelli accettabili. 

Gate 2, ripartiamo. Si sale sul traghetto, l’immenso Viking. Vado al salone bar dove la gente prende già birra con leggerezza e un impianto con bassi potentissimi prima somministra delle simil las Ketchup, poi un pezzo arabo ma cantato in Finlandese poi ci inonda di house. A quest’ora come potete? Ma forse è il karma!

Hola

Curiosità dalla Finlandia

Ventiquattr’ore a Helsinki girovagando in lungo ed in largo in questa città, studiando le abitudini dei finlandesi, sbirciando in ogni locale, in ogni negozio carino e colorato che trovavo e attirasse la mia attenzione. 

Allerta spoiler: Helsinki è piena di sorprese.

Allerta due: un giorno non serve per capire nulla (e mi son fatto aiutare da un po’ di letture)!

Helsinki una città di design, dai palazzi ai vestiti, sino a come vengono serviti i piatti per il pranzo. Non a caso la città è stata nominata capitale mondiale del design e alcuni anni fa l’UNESCO. Oggettistica, borse, arredi, moda, tutto risponde al design. C’è anche il “design district” con architetture intricate, negozi di antiquariato, negozi di moda, musei, gallerie d’arte, showroom e caffè.

Per due terzi la Finlandia è coperta da foreste, è diventata una repubblica parlamentare nel 1917 e dal 1995 fa parte dell’Unione Europea. Solo il 7% dei campi è usato per coltivazioni, il cigno è l’animale simbolo, si parla finlandese, svedese e sàmi – e detestano essere chiamati scandinavi perchè non lo sono! –  il consumo di caffè procapite annuale è di 9,9kg. Un dato che significa: bevono caffè più di noi italiani. E di caffè, sempre “poco costosi”, ne trovate tanti, dove rifugiarsi a Helsinki, come ho fatto ieri prima di assiderarmi. 

Una torta e un caffè e sembra di stare a New York, con il loro aspetto minimal. Tutti con wifi,  dove poter riparasi dal freddo inverno, magari con un libro o studiando, lavorando. 

Ma come ci si sente in giro? Helsinki è tranquilla, introversa, si sente il rumore del tram e il vociare dei gabbiani. Poche chiacchiere da un tavolo all’altro, poche risate sguaiate, glorioso silenzio e rispetto. Che palle, dirà qualcuno!

Sapevate che è stata pure creata una pluripremiatapizza per Berlusconi quando fece una delle sue infauste battute come “il culatello di Parma è meglio della renna affumicata di Helsinki, che l’educazione fisica si fa col pattinaggio su ghiaccio, che ci sono i mondiali di trasporto di tua moglie, che è la terra dei mille laghi (187 mila!), che ci sono 18 abitanti per kmq, che 400 parole sono legate alle renne (350 mila) e che le saune, nate qui, son ovunque, perfino in Parlamento?

Per finire gli stereotipi: crediamo tutti che sia un paese infelice. Ni. Per il terzo anno l’Onu, al netto di un tredicesimo posto mondiale per suicidi (3 volte più dell’Italia), lo colloca come primo paese per felicità (l’Italia al trentesimo). Quanto è complesso e bello il mondo…

 

Da Tallin a Helsinki

E da Tallin non te la fai un salto a Helsinki? Giuseppe Marcialis suggerisce l’ennesima avventura e allora è un attimo fare il higlietto per una nave Viking Line, chiamarlo traghetto è offensivo, e farsi due ore e mezzo nello scuro Mar Baltico.
Dimentico le vergognose carrette del mare italiche, la nave è un portento: saloni, lounge bar, zone bimbi, pulizia e cura. Un viaggio perfetto – qualcuno ha preso pure la cabina – e la capitale finlandese si svela fai primi isolotti. Io sorrido, un’altra bandierina, il posto più a nord dove son stato. E Helsinki si rivela gran sorpresa. “Non c’è niente”, “solo freddo” mi avevano detto. “È bruttina”, avevano rincarato altri. Niente di più sbagliato. Helsinki è una piccola gemma tutta da scoprire e basta immergersi nella quotidiana ordinata e silenziosa di questo popolo misterioso di pelle chiarissima per coglierne il senso.
Poche ore di luce, il sole è optional come gli alzacristalli sulle vecchie panda, il mio tour de force prevede pero’ un giro di esplorazione veloce che tocchi almeno i punti più importanti e si prenda il tempo per fermarsi, lavorare e pensare in qualche caffè per caso.
Il mercato, prima tappa. Capita sul tragitto ed è impossibile non passarci visto che sta proprio vicino alle partenze dei traghetti per le isole. Dopo aver passeggiato tra le sue corsie e ammirato ogni bontà (salmone, cervo, aringhe, carne o chips di renna e via dicendo) mi godo una zuppa e con un pezzo di pane di segale sormontato da salmone, granchio o gamberetti, in uno dei tanti baretti. Prezzi alti, e questo sarà la costante di Helsinki! Fuori nell’area esterna, il Kauppatori, tanti banchetti con frutta, verdura, pesce fresco e piatti pronti tutti in stile nordico. Ma davvero la loro cucina fa così schifo? Solite idiozie!
A due passi, ma sono dieci minuti, la Cattedrale luterana e piazza del Senato, uno spazio armonioso e il bianco della chiesa quasi accieca i tanti turisti che affollano la zona. Salendo le sce ci si sente Rocky di terz’ordine ma merita: si gode una bella vista verso il fronte del porto!
Un salto alla Chiesa nella roccia dove di mezzo c’è un motivo musicale. È la chiesa che non ti aspetti nella città che non ti aspetti, appartata rispetto al centro, è scavata nella roccia tanto da non essere visibile all’esterno. Dentro, i contrasti la rendono diversa dalle altre, un rifugio riadattato, una enclave, tanto da essere una delle attrazioni più visitate. Sembra più una costruzione avveniristica che un luogo di culto. Il silenzio regna sovrano e l’atmosfera è intima, grazie anche al tanto legno.
Poi c’è Uspensi, Cattedrale ortodossa che domina questa parte di città e che può valere uno stop. Dopo aver visitato la cattedrale, passo a Katajanokka, quartiere residenziale con bei palazzi e scorci sul mare. Le luci di Natale disegnano geometrie di regali, renne, stelle. Lo shopping riunisce i finlandesi in un grande rito collettivo.
Raggiungo Kallio, il quartiere dei bar, che in questa zona si susseguono l’un l’altro senza praticamente soluzione di continuità. Potete andarci dopo cena, quando si riempiono e al loro interno scorrono fiumi di birra. Io ci passo prima, fedele al mio andar contro.
Il freddo pungente, siamo a meno tre, mi sfida. Le mani gelano, ogni punto scoperto punge e il cuore comincia a battere. Cerco un bar ma trovo una sfilza di locali esclusivi dove probabile che mi prendano per terrorista. Appena leggo Gallery mi sento rilassato. Ho bisogno di una pausa, subito!
(Continua)

Un giorno a Tallin

Tallin è una città che con un po’ di buona volontà, scarpe comode e pochi fronzoli, giri in un giorno.
Dopo una sontuosa colazione negli eleganti e tetri saloni del St Olav Hotel, fatta di salsicciotti, patate, uova, pomodori, olive, pane nero, marmellata di lamponi e cappuccino – non chiedetemi con quale ratio faccia questi accoppiamenti – punto alla collina di Toompea, dove si trova anche l’omonimo castello. Fa freddo, pioviggina e ci sono poche anime che si aggirano per la città e si perdono nel vicoli ciottolosi del centro dove le botteghe artigiane, gli uffici e le scuole ogni tanto nascondono ai turisti – per fortuna! – caffè solitari per trovare rifugio.
Prima tappa è la Cattedrale di Aleksandr Nevskij, una delle Chiese più imponenti della città. Leggo che non sia amata dagli estoni, in quanto è da sempre il simbolo della chiesa russa del paese e del potere dell’impero zarista. Infatti, dal 1944 al 1991 l’Estonia fece parte dell’Unione Sovietica, ma penso lo sappiate o andiamo maluccio. Ci sono 5 grandi cupole, al suo interno è custodita la campana più pesante della città, di ben 15 tonnellate!
Ogni volta che entro in una chiesa ortodossa sono sempre alla ricerca di particolari e differenze con quelle cattoliche, come l’assenza di banchi e la scelta dell’iconografia. Mi inebriano l’odore di incenso e i gesti lenti del prete. Un fedele accende una candela e la colloca in speciali candelabri rotondi disposti di fronte a ogni icona. Poi si segna più volte guardando l’icona, poi la bacia e vi appoggia la fronte per qualche secondo.
C’è un gruppo di donne e uomini che intonano un canto, penso sia un funerale. Ne ho conferma quando all’uscita una bara viene portata fuori da una vecchia auto adibita a carro funebre.
Proseguo facendo affidamento sul mio sesto senso per trovare un caffè vicino a un punto panoramico. Nalg ja janu cafè, così si chiama. Un salotto retrò, comode poltrone, lampadari, oggetti di altre epoche, dove sentirsi al caldo e bersi un bel caffè con una bionda banconiera al bar dallo sguardo di famme fatale di un qualche james bond. Nel parco vicino dei bimbi giocano a nascondino mentre una nonna spiega un giocattolo a forma di camion a una bambina. Dal loro vestiario penso stiano aspettando il bus per andare a sciare, non spiegherebbe tanta attrezzatura! Alla cassa il caffè costa 2 euro cinquanta, sorrido di buon grado, riprendo il cammino mentre la tipa sta cucinando qualche strana zuppa in un pentolone. Non mi stupirei che nel prossimo giro ci fossero dentro proprio i bimbi del parco!
C’è la vicina Chiesa di San Nicola, un vero e proprio museo d’arte medievale, dedicata al santo patrono protettore dei marinai e dei commercianti, uno dei luogi di culto tra i più antichi della città. Al mio ingresso ci son delle donne che stanno pulendo e sistemando gli oggetti sacri con una piccola catena di montaggio attenta. Si fermano e discutono, il tema potrebbe essere che Smac brillacciaio è in offerta speciale al market vicino.
Al suo interno un museo d’arte sacra, con meravigliose opere, principalmente del Tardo Medioevo. Mi affascina la “Danza macabra” di Bernt Notke, uno dei capolavori dell’arte estone (e sì, anche qui c’è arte)!
Scendo gli scalini e riprendo il centro storico da Via Pikk, la Strada Lunga, un strada antica e molto suggestiva, ricca di meravigliosi scorci in cui scattare qualche foto. Il silenzio e il camminare ordinato rende questa atmosfera molto particolare. Questa via è famosa per ospitare le sedi delle Gilde, ovvero le antiche corporazioni della città, un tempo frequentate dai rappresentanti di varie professioni. Non perdetevi la Gilda Maggiore al numero 17, e la Gilda S. Olaf, al civico 24, ovvero la più antica della città.
La Città Vecchia di Tallinn è dichiarata Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 1997. Qui potrete immergervi nell’atmosfera e nell’anima medievale della città. Le auto sono bandite, quindi non avete problemi, è ancora in vigore il motto “il pedone ha sempre ragione”.
Passo spesso, visto che sta vicino al mio albergo, nella Rajekoja Plats, il cuore della Città Vecchia e dove si trova il Municipio di Tallin, che oggi non svolge più alcun ruolo politico o amministrativo, ma viene ospita ricevimenti, cerimonio ed è la sede di un piccolo museo di storia della città. Ancora vicino c’è la Farmacia Raeapteek, una delle più antiche d’Europa ancora attive, il più vecchio esercizio commerciale di Tallinn e da ben dieci generazioni è gestita dalla famiglia Buchard! Costruita all’inizio del 1400, oltre agli arredi originali ha anche un piccolo museo. A solo un minuto si trova la via Vene, l’antica via dei mercanti russi, oggi ricca di botteghe e locali.
Entro in una via laterale che mi ispira poi scopro che sia il Passaggio di Santa Caterina, in estone Katariina käik (ho fatto copia e incolla), uno dei luoghi più affascinanti del centro storico. E’ come fare un salto indietro nel tempo, grazie agli edifici in pietra e alla presenza di antiche botteghe e attività artigiane, dove potrete vedere diversi artigiani all’opera, intenti a lavorare ceramiche o gioielli, oppure a soffiare il vetro. Faccio un po’ di foto, provo a immortalarli e mi stupisco che ancora ci sia questo amore e rispetto per l’arte e l’artigianato. Mi stupisco di tante cose, da viaggiatore. Penso alla decadenza di molti nostri centri, ai nostri artisti e quanto la nostra creatività sia considerata inutile. Penso alla decadenza del mio paese.
Il freddo e la pioggia cominciano a combattere con me. Ma mi piace l’atmosfera, la sento poetica Trovo un ristorante vicino che sta in un piano sotterraneo di un altro passaggio tra le mura, si chiama Munga Helder. Non so se sia la marca di qualche preservativo o altro oggetto sessuale ma lo trovo interessante. Il menù ha almeno un piatto che mi piace della lunghissima e tipica descrizione presente. Penso debbano istituire prima o poi un corso “leggere i menù all’estero” perché ti spiegano tra poco anche chi lo ha cotto.
Al mio arrivo c’è solo la banconiera ad aspettarmi, una stangona di almeno due metri – forse di più, ma non mi avvicino per sicurezza – con occhiali e sguardo dittatoriale che forse si chiede che ci faccia da quelle parti e se non abbia sbagliato posto. Chiedo una birra in offerta, una tartare e un’omelette. Ovviamente se pensi all’omelette non puoi dimenticarti che dentro potrai trovarci tutta la cucina estone! E infatti, più che un’omeletta sembra la mia tasca nei viaggi. Tra un piatto e l’altro passano due secoli circa – ma che starà facendo nel mentre? -. e quando le chiedo il caffè finale – un espresso italiano, con un sorriso per dirle “ohhh fammelo bene!” – mi porta il conto, all’interno di un libro che sembrano le tavole di Mosè – ma del caffè nessuna traccia. Chiedo ancora del caffè, mi risponde ok, caffè, ma non lo porta. Capisco che il conto anticipato era un gentile modo per dire “ma quando te ne vai?”. Allora, mi chiedo: che avrò fatto di male? Forse aver attaccato il cellulare alla presa? Forse essere andato in bagno? Forse aver detto still water? Eppure ho dato fiducia a un ristorante dove non c’era nessuno, se non altri due loschi personaggi che si son presentati dopo, e non mi stupirei se fossero i protagonisti di qualche omicidio efferato in zona.
Riprendo il cammino senza una meta precisa, chiedendomi ancora quale peccato abbia fatto alla tipa del Munga Helder. Torno nelle vie conosciute girando ancora per qualche piazza interessante, come quella della Libertà . In epoca sovietica era conosciuta come Piazza della Vittoria e ospitava le parate per la Rivoluzione d’ottobre. Ora è dedicata a concerti con uno strano e curioso giro di luce pseudopsichedelica nei pali, di ispirazione sovietica, che va a tempo con le campane. C’è anche la grande Croce della libertà, un monumento alla Guerra d’indipendenze estone nel 1918. Di notte, illuminata, ha un aspetto davvero suggestivo.
Manca poco al tramonto, orario 15:30 dal mio iphone, allora un’ultima camminata prima che tutto sia notte anticipata. Cerco poi un caffè con vista sulla città, trovo il Vanalinna Rahva Raamat, che ha dentro una libreria. C’è chi studia, chi scrive e chi chiacchiera. Chiedo alla cassa una cioccolata calda, la signora di rosso vestita mi rispondono con la richiesta del green pass. Che qui non si chiama green quindi quando capisco la parola covid gliela mostro.
Mi siedo fronte strada in comode poltrone, mentre la luce del giorno va via, le auto corrono e si fermano al semaforo e una pioggia fitta inonda le strade. Un caffè anzi una cioccolata in una città sconosciuta, in una sera qualsiasi. Non conosco nessuno, non capisco la lingua. Non è forse questo il senso di un viaggio? Dopo due ore di stazionamento spensierato, tra litigate social, libri e appunti, mentre vedo cambiare i volti dei clienti ai tavoli vicini, scendo al bagno che si trova al piano di sotto. Curiosamente le porte sono indistinte per maschi e femmine. Quando vado via la città è oramai ha un altro scenario. Ho bisogno di caldo e trovo il centro commerciale. Zara, H&M, Adidas, Nike, Intimissimi. Mi chiedo perché ci caschi sempre. La mia permanenza dura il tempo di ritrovare un accettabile calore corporeo e della solita domanda “posso aiutarla?”della commessa di negozio, in questo caso Tommy..
Il centro di Tallin è ora una galassia di luminarie e alberelli a bordo strada, negozi che hanno addobbato le vetrine con cura e poca gente in giro. Tutto fottutamente bello e curato, che ti senti fuoriposto., Torno al mercatino di Natale che alle 18 sta per chiudere. Riesco a recuperare un tazza di vin brûlé che qui penso abbia una temperatura tale da non sfreddarsi nemmeno se lo si porta sull’Antartide. Alle 18:00 stanno chiudendo e pur volendo fare il bis, la tipa mi dice “ci vediamo domattina”. Cosa che avrei fatto subito un post su Fb, ma qui gli orari sono precisi e anche se ti presenti con una banconota da 500 euro non gliene frega nulla. E si gioca d’anticipo. Non è un caso che quando mi presento al ristorante alle otto e mezzo – con gli interni ambientati nel medioevo, sedie di qualche tonnellata e menù pubblicati all’epoca di Re Artu’ – anziché complimentarsi della mia scelta – hai sfidato la pioggia e il freddo e aiuti l’economia estone, benvenuto! – mi avvertano della chiusura tra 20 minuti quindi “sbrigati, eh”. Sempre una bellissima ragazza, ma con gli occhi da belva. Mangio con l’ansia di dover finire e ordinare. Mi sento assillato dalla cameriera che appena nota un gesto di rassegnazione o una pausa interviene sui piatti e li porta via. Prendo un pollo che sembra un caffellatte, visto che i porcini poi sono avvolti da una crema lattiginosa, insieme a un cesto di patate sabbiose. La birra al solito è sontuosa, ma qui è una costante. Scende alla grande. Sarà il piacere del viaggio? Per dolce tortino alle mele glassate con vaniglia. Ma la tipa diventa ansiosa quindi la vaniglia non la finisco. E col caffè arriva pure il messaggio subliminale: te ne devi andare. Rientro in albergo rinfrancato. Vorrei prendere sonno ma la coppia della stanza 202 fa scricchiolare le pareti di legno del vecchio St Olav Hotel con un dinamismo e palleggio da semifinale di Champions league tra squadre inglesi. Dopo circa 13 minuti di ostilità, lei annuncia di esser soddisfatto con un lungo gemito. Lui si mette a tossire poi va a vomitare in bagno. Vorrei aprire la porta e dirgli: signori, domani devo partire, potete scopare in silenzio? Poi dicono che siamo solo noi i maleducati….