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Il deserto del Wadi Rum in Giordania!

Parto presto da Petra, la camminata di ieri mi ha tolto ogni velleità di uscita serale.

Il buffet del mattino in albergo è ricco, cerco di non farmi fregare dall’abbondanza e dalla scelta: uovo sodo, toast, un po’ di latte macchiato di caffè, pomodori e olive. Un mix dolce e salato senza senso.

Oggi andremo nel deserto guidando per la Strada dei Re, che attraverso colline e vallate senza anima viva e con pochissima vegetazione. La Strada congiunge Amman a Petra lungo un percorso di circa 300 chilometri ed è una delle strade più panoramiche da percorrere in Giordania in alternativa all’Autostrada del Deserto, più veloce ma meno scenografica.

Piccole case provano a sfidare la terra giocandosi la modesta quantità di acqua che la zona offre. “Le persone dovrebbero tornare alla terra” mi dice Amjad.

Immancabile è il check point della polizia – ne vediamo e incrociamo o davvero tanti – un sorriso e un Assalaamu alaykum (la pace sia su di te) e si passa. Il territorio è ben controllato, nessun timore. I turisti e i viaggiatori sono visti con rispetto assoluto.

Amjad ferma la macchina in un paesino e scende di corsa: dove sarà finito? Lo perdo di vista. Poi torna, correndo, sorridente e risale con due focacciozne olio e origano. A quel paese la mia dieta, mangiamo a metà mattinata! E questa focacciona è una bella botta. Tutto è concesso!

La prima pausa in un viaggio che durerà circa due ore e mezzo è in un bar con un vista strepitosa. Il cartello non lascia dubbi: Resthouse, the best View in the world. Le promesse, di fronte a un buffet di tabbouleh, humus, falafer, il pane pitta e il knafè, oltre a pomodori, olive, insalate varie, conquistato da un gruppo di tedeschi, sono mantenute. Un buon caffè turco e due foto e si riparte!

Ancora curve e prima di arrivare al deserto passiamo per la Piccola Petra nota anche    come Petra la Bianca o Siq al-Barid (Canyon Freddo). Anche qui c’è un pezzo di storia nabatea con diversi edifici scolpiti nelle pareti dei canyon di arenaria. 

È molto più piccola rispetto a Petra, un canyon di 350 metri che si percorro senza troppe difficoltà in una mezz’ora e che si conclude con l’immancabile baretto/bazar con il beduino che propone tè, caffè e incensi.

Anche qui risento l’atmosfera magica e surreale interrotta solamente dalla musica e dal canto di un simpatico anziano beduino e dal pianto di un bimbo subito consolato dai genitori.
Il deserto si avvicina. Lasciamo la macchina in una stazione di servizio e saliamo su una prima jeep. “Non vorrai mica salire dentro! Tu sei l’ospite speciale”. E io, un po’ perplesso, mi accomodo dietro. Sciarpa e occhiali. Al sole, al vento. La temperatura non è proprio primaverile ma quella corsa in jeep mi concilia col luogo. 

Grandi montagne si stagliano davanti e intervallano distese chilometriche di terra e sabbia. Una lunga striscia grigia prima di lasciare l’asfalto, costeggiando una piccola linea ferroviaria che è destinata al traffico merci e a qualche convoglio turistico! Effettivamente vedere il treno qui è una novità e penso subito al Treno di Tozeur di Battiatiana memoria.

Ammiro l’avvicinarsi del deserto e le sue braccia immense aprirci e diventare la nostra terra sotto i piedi. Rocce, sabbia, cammelli in lontananza, sassi, piccole piante secche, spazi che si perdono, cielo. 

Quando scendo dalla jeep comincio a connettere razionalmente che non sto in un posto qualunque: il deserto è un posto speciale. Il deserto è IL posto.

Mi accolgono subito al villaggio, il capo si presenta con un sorriso e una stretta di mano, ho tempo per sistemarmi nella tenda perché mi aspetta un’altra jeep che mi porterà in giro. Poi la tenda. Una stanza accogliente, addobbata di arazzi, con un letto comodo, delle coperte per la notte, un ventilatore e quando apro le tende davanti, il deserto a due passi e il cielo.

La posizione è davvero speciale, ringrazio gli amici del campo per questo regalo inatteso.

Quando usciamo di nuovo, il 4×4 entra nel ventre del grande Wadi Rum,  il più bel deserto del mondo, teatro anche delle avventure di Lawrence d’Arabia che visse qui tra il 1916 e il 1918 durante la grande rivolta araba e usato per ambientare molti film di fantascienza e avventura nello spazio.. Paesaggio lunare e marziano, con la terra rossa.

Grazie alla bellezza di questi paesaggi, il Wadi Rum è diventato un luogo famoso.  

Tocchiamo diversi punti, un canyon con alcune iscrizioni rupestri di Nabatei che lo hanno abitato, una duna altissima dove scommetto per 5 dinari di salire in 5 minuti – credo di aver rispettato la scommessa nonostante il fiatone e il cuore che batteva a mille- e ancora una specie di autogrill isolato. 

All’ingresso un ragazzo, in cambio di una piccola offerta, ti offre una tazza di tè con salvia e cardamomo in un bicchierino di vetro che gusti seduto in comodi divani circolari.  Intorno a me donne con il velo, anziano con abiti tradizionali, tutti sorridono, conversano e soprattutto mi ritrovo unico occidentale, tra gente del posto, seduta vicina che ti scruta in maniera curiosa e gentile. Quella cartolina di vita, così onesta e sincera, è un salto nel passato mi fa tornare indietro nel tempo, alla vita di paese della mia infanzia.  Amjad mi racconta che qui si fa una sosta per i tragitti e si trovano spesso pellegrini provenienti da altri paesi arabi.

Quando torniamo al campo ho un’ora di relax e poi un’altra uscita: la gita in cammello fino al tramonto!

Mi concedo qualche passo sul deserto, fuori dalla mia tenda: stupito dal silenzio e dall’idea di piccolezza rispetto a tutto quello che mi sta attorno. E’ una sensazione di connessione con l’universo che faccio fatica a sentire, abituato a rumori molesti e a quell’odioso sottofondo delle città. Ridete voi sapendo che faccio pure il DJ.

Come una carezza delicata il vento passa da una parte all’altra muovendo qualche cespuglio. Un rumore di aereo lontano e il movimento di qualche jeep poi nulla. Io e il deserto, soli.

I cammelli ci aspettano! Un tragitto lungo, senza raccontarvi la paura quando il tranquillo animale si solleva e scende, accompagnato da un beduino gentile che non sa una parola di inglese ma che mi rassicura prendendomi le mani e indicando dove devo tenermi. 

La camminata dura un’ora e lui, rilassato e pacifico, guida i due cammelli verso una duna da cui godermi il tramonto. Mentre cammina, con passo sicuro, con una invidiabile serenità, mi chiedo a cosa stia pensando, a come sia la sua vita. E mi dispiace un po’: mi prometto di non salire mai più su un cammello. La prima sensazione esperienziale ha dato spazio alla consapevolezza che non ci debbano essere persone o animali sfruttati mai in nessun modo. Lo so che noterete l’incoerenza del mio pensare rispetto a tante altre situazioni simili, ma questa è stato il pensiero mentre dondolavo!

Quando rientro le luci del giorno oramai andate via e il campo è una suggestione di luci e ombre. Il vento è salito e per restare fuori il fuoco acceso è un valido compagno di sopravvivenza. Gli uomini del villaggio tolgono dalla sabbia un gran pentolone fumante: è lo zarb. Questo piatto è servito solo qui al Wadi Rum. Si tratta di una pietanza a base di carne e verdure che viene cotta sotto la sabbia e ammorbidita con salse come lo yogurt e spezie piccanti.

La cena è in una grande sala di tappeti, narghilè e divani colorati con un ricchissimo buffet di piatti tipici, oltre a pane e verdure arabe. Tutto è lento e conviviale. Ci sediamo attorno, nessun tavolo per dare le spalle a qualcuno. Siamo io e altre tre turiste francesi. Ci scambiamo sorrisi e sguardi. Ho il mio taccuino davanti, scrivo ogni cosa che mi passi per la testa. Fuori  è buio e ci siamo siamo noi, ultimo baluardo di umanità. Ma chi sarà davvero il più forte dentro un deserto? Noi uomini o la natura?

Quando finiamo non sono neanche le otto e mezzo. Il vento è salito, ma Amjad e gli altri mi invitano ancora per un the davanti al fuoco. Come puoi aver freddo e sentirti solo e triste in un posto così? La stanchezza però c’è, lo ammetto. Mi rifugio nella mia tenda per leggere un libro finchè il battere della pioggia non viola quel silenzio religioso. Accolgo con gratitudine quel picchettare sulle fragili pareti e tutto quello che porta. Mi pizzico ancora nelle guance chiedendomi se sia tutto vero e io sia davvero qui, nel Wadi Rum.

Morfeo o chi per lui mi avvolge in un abbraccio finché i primi raggi del mattino non arrivano al viso. E’ l’alba. Il sole fa fatica a prendere il sopravvento nelle rocce. Ci riesce, stiracchiandosi. Mi godo ancora quel momento delicato, quel tempo lento, quel silenzio meraviglioso, come fossero un balsamo magico. Scrivo qualcosa, un gatto mi fa compagnìa per poi perdersi tra le rocce. La colazione è servita. Il campo si anima, gli zaini si preparano per la partenza. Le jeep tra poco arriveranno e tutto sarà un ricordo. Non è ancora il momento di andare. Quel silenzio del Wadi Rum è uno dei più grandi regali che abbia mai avuto!

Un giorno a Petra, con l’incredibile storia dei Nabatei

Quasi tre ore di auto mi aspettano da Amman a Petra. Lascio la grande capitale di primo mattino, nel traffico chiassoso del lunedì, e via, per un’autostrada che taglia in due la Giordania.

Si aprono scenari rocciosi e desertici. Piccoli villaggi, stazioni di carburante, bar improvvisati con insegne scritte a mano, uomini che ti invitano il caffè con un curioso coperchio e l’indicazione a fermarsi – all’inizio pensavo fosse solo per trovar parcheggino – officine che puliscono e cambiano gomme, persone sedute al bordo strada a guardare chi passa, distanze immense in cui spuntano spicchi di vita quotidiana, il volto puro della Giordania e del Medioriente, quello che più amo! Questa è una strada importante che conduce anche i pellegrini alla Mecca.

A metà tragitto, ci fermiamo in uno dei pochi autogrill che si trova nella zona di Karak. Amjad me lo suggerisce dicendo che qui c’è un buon caffè, un negozio per qualche ricordo e i bagni sono puliti. All’ingresso delle toilette – tra l’altro tutte col doccino! – è buona regola lasciare una piccola offerta.

Compro qualche souvenir e il keffiyeh, il copricapo tipico bianco e rosso, il suo colore in Giordania – che chiedo di sistemarmi a un ragazzo che lavora nel negozio. Mi spiega come funzioni e con lentezza lo dispone sulla mi testa arrotolandolo e sistemandolo bene. Che strano vedermi così, e anche sentirmi addosso un loro capo mi fa sentire ancora di più parte di questa comunità!

Il sorriso non manca mai e anche un caffè rigorosamente turco: ne farò incetta col suo gusto sabbioso e lungo che resta nel palato.

Quando lascio l’autostrada – non si paga pedaggio, l’asfalto è ottimo e ci sono vari controlli della polizia – le montagne si avvicinano. La salita comincia e dura almeno un’ora. Qualche godibilissima curva, qualche villaggio sperduto e la prima vista, da lontano, di Petra, che lascia senza fiato.

Arrivo a Petra!

Eccola, spettacolare! Come se fosse un mondo a sè, una creatura inserita in una scena già meravigliosa, tra ripide gole e montagne, in un luogo isolato e arido, tutto fatto di roccia e pietra (avrete tutti notato l’assonanza!). Un luogo che, basta pensarci, ha permesso che questa civiltà si preservasse ed è poi diventata, nel 1985, patrimonio mondiale dell’Unesco.

Vivere Petra è ben diverso dal guardarla su video o in foto. Superata la fila dei cancelli, mi tocca una prima camminata su uno sterrato aperto, che ancora non fa trapelare nulla se non alcune rocce erose e lavorate dal vento e dall’uomo.

Poi, superata qualche curva, inizia il Siq. Il nome arabo significa “la gola”, è un tragitto lungo uqai 2 chilometri, serpeggiando a destra e a sinistra, che si allarga e restringe. Un anfratto con pareti altissime che, a tratti, impediscono quasi di vedere il cielo!

Un po’ di storia con i Nabatei

Qui passavano le carovane dei mercanti che hanno lasciato iscrizioni, rilievi, piccoli buchi scavati dove venivano posti i simulacri delle divinità e al pavimento le offerte. Sui lati scorrono dei canali per portare l’acqua nel centro della città. E allora non posso che scoprire, grazie anche al racconto di Amjad, la meravigliosa storia dei Nabatei, un popolo di origine araba e nomade che non avevo mai sentito nominare a scuola. Al secondo secolo a.C. erano ormai sedentari e organizzati in una monarchia florida.

La loro capitale divenne Petra e i loro territori si estendevano in una regione a Sud del Mar Morto ed a Est della Giudea. Petra divenne una città abitata da circa 30mila persone e importantissima a livello commerciale. I Nabatei erano dei mercanti e aprendo la cartina geografica – ogni tanto fa bene capire dove sono! – scopro che la posizione del sito non è casuale: è tra Oriente e Occidente e permette di collegare i mercati dell’Egitto con quelli della Siria. Una posizione difficile da attaccare e facile da controllare da chi la abita. C’erano da difendere tesori come l’incenso, la mirra, le spezie, prodotti richiesti e costosi. C’era da difendere l’incolumità di quella città.

Amjad mi racconta che c’è ancora tanto da sapere e da scoprire su Petra ma il fascino e l’ammirazione per i prodigi e le architetture scavate nella pietra arenaria di colore rosa sono già tanti.

Non vi ho raccontato che questi anfratti sono anche e soprattutto abitazioni e tombe alte fino a 30 metri. Anche qui c’era la differenza di caste: le migliori per dimensione e cura dei particolari erano di chi rivestiva ruoli più importanti, le altre dei cittadini semplici.

Petra riuscì così a prosperare grazie all’abilità dei suoi abitanti, diventò una delle città più ricche al mondo durante l’antichità almeno fino all’arrivo di Roma che ne decretò il controllo.

Eppure i Nabatei non si diedero per vinti e ripresero le redini. Con la politica condotta da un sovrano di nome Areta IV, arrivano a controllare anche Damasco, in Siria, e una regione parte dell’odierno Libano. E solo più avanti tra il 9 a.C. e il 40 d.C. riuscirono a svincolarsi dal controllo di Roma e ottenere che il loro regno venisse riconosciuto.

Il tesoro, la meraviglia!

In questo periodo, venne scavata nella roccia la tomba monumentale che ancora oggi tutti associano a Petra, il El Khasneh (Il tesoro). Forse la ricordate per un film che si chiama Indiana Jones? Ebbene sì, è quella, è l’architettura di Petra più fotografata, ha circa 2000 anni e oggi è considerata una delle opere più note al mondo. Alta 40 metri e larga circa 25, la leggenda narra nascondesse – magari anche oggi? – un immenso tesoro mai trovato.

Petra conobbe poi il declino e il controllo romano con Traiano: i segni si vedono ancora. Il regno dei Nabatei divenne provincia, la capitale venne spostata a Bosra e i romani costruirono edifici, anche di notevole pregio artistico, infrastrutture e strade.

Una camminata faticosa ma bellissima

Tornando ai giorni nostri, il sito è esteso con un po’ di fatica basta una giornata (ma se non siete allenati lasciate proprio perdere e prendetevi più tempo).

Ci vogliono buone scarpe e forza d’animo sia per le distanze sia perchè ci sono impervie salite e scale, come quella per arrivare al Monastero una colossale facciata di quasi 50 metri di altezze larghezza. C’è anche un bar proprio di fronte, ma non mi fermo subito: scopro un bel panorama con pochi minuti di cammino. Uno scenario che domina sulla Terra Santa, incuriosito dal cartello “Vista alla fine del mondo!”, che, per la verità, mi aveva fatto pensare a un pacco. E invece…!

Ma Petra è anche altro. Passo davanti a tanti siti monumentali, il Tempio, il Teatro, la Tomba del Palazzo e tanto altro ancora. Incrocio curiosi bazar che diventano gallerie coperte, bancarelle che vendono tappeti, collane, incensi, souvenir, teli, statuette, bar e piccoli rifugi per rifocillarvi con un panino kebab, un caffè, un tè e una bottiglia d’acqua ma anche qualche beduino che dall’alto mi osserva curioso mentre faccio una foto. Sono ammaliato dai profumi di incenso e dal calore di piccoli bracieri dove i mercanti si riscaldano e tante piccole situazioni belle e inattese, dialoghi, saluti, sorrisi.

I beduini chiedo una piccola offerta se volete un passaggio in asino o con un piccolo mezzo elettrico. Se vi fa piacere, se ne avete bisogno, accettate contrattando (3-5 dinari) o dando una piccola offerta, altrimenti un sorriso e un no, thanks e andate per la vostra strada.

Io son sempre in difficoltà a contrattare ma superata la paura è tutto divertente e normale! Tanti beduini, mi racconta Amjad, si guadagnano la giornata così e il covid, che ha chiuso la Giordania al turismo, ha ridotto in povertà tanti, non dimentichiamolo mai!

Petra affascina e anche se dovrete condividerla con turisti non troppo educati e rumorosi (indovinate di quale nazionalità soprattutto?), vale la pena! Ci son tante leggende e curiosità in questo mondo così lontano e pieno di mistero. Una storia che non conoscevo. Una storia in movimento visto che il sito nasconde altri tesori che emergeranno dagli scavi.

Note da viaggiatore

  • Ci son tanti alberghi dove soggiornare a Petra. Una notte è necessaria per godervi davvero l’esperienza.
  • Potete godervi la suggestione di Petra illuminata con Petra by night, un evento alcuni giorni la settimana che prevede l’apertura serale e notturna
  • Ricordatevi che per entrare a Petra ci vuole il Jordan Pass un pacchetto turistico pensato ad hoc per i visitatori della Giordania che vi facilita l’ingresso nei siti (ecco il sito ufficiale https://www.jordanpass.jo)

Una mattinata all’IIS Atzeni di Capoterra: grazie ragazzi!

Passo dopo passo, giorno per giorno.

Una bella mattinata passata come ospite dell’assemblea degli studenti del IIS Sergio Atzeni di Capoterra a parlare del mestiere del giornalista e del DJ e convidere esperienze ed errori di un percorso di vita indipendente in Sardegna, irto difficoltà e di piccole soddisfazioni.

Abbiamo parlato anche del progetto @ver_ che vede coinvolti anche alcuni ragazzi della scuola.

Sono partito con la storia di Claudio Ranieri, l’allenatore del Cagliari, che ha accettato di prendere in mano la squadra in un momento complicato. Una sfida complicata ed esaltante, che ci insegna come viviamo sempre di rischi di perdere ma anche di occasioni per sentirci vivi.

Come ho raccontato, l’importante è sempre fare e provare senza chiedere permesso e senza piegarsi.

“I sogni sono oltre la paura”.

Grazie ragazze e ragazzi!

I colori di Malta

Perché Malta? Perché Malta è uno di quei porti sicuri dove poter andare in bassa stagione e senza stress. Un posto fatto di profumi, mare e soprattutto colori.

Con la sua posizione nel centro dei Mediterraneo, Malta da sempre è crocevia di popoli, esperienze e culture differenti. Ed è proprio questo melting pot che continua anche oggi che ti stuzzica a farne un luogo interessante, ricco di sfaccettature e complessità da scoprire.

Un’ora di aereo e ti chiedi sempre perché abbia tardato tanti anni a visitarla.

La prima volta venni nel 2015, restio e allontanato dai luoghi comuni: caos, sporcizia e costruzioni. Tutti confermati, ma c’è dell’altro. Oltre un turismo cafonal e di massa che per fortuna è concentrato in estate. Puoi andare oltre e trovare quei motivi che ti fanno amare il Mediterraneo.

Storia, architettura e bellezze naturali, colori. Ma anche e soprattutto la leggerezza che ti fa amare il Mare Nostrum e le sue destinazioni, un po’ come cantava Juan Serrat.

Il colore è il fil rouge che invita a scoprire Malta, quel mix tra l’azzurro di mare e cielo soprattuo e quel colore beige-giallo paglierino che è la pietra calcarea con cui è stata costruita l’isola.

Passeggiando per città o villaggi, poi, ancora qualcos’altro illumina le facciate: le porte colorate (come pure i balconi, detti gallarijas) dipinti in verde o rosso, con variazioni sul tema) e con vistosi battenti, gli il-ħabbata.

Molti dei simboli sono riconducibili ad auspici di prosperità, potere e ricchezza.

Mdina, Valletta e le Tre città

La Mdina è l’antica capitale risalente al IV millennio a.C.. Sorge sul punto più alto della città da cui si riesce a controllare a 360° ogni arrivo dal mare.

Conosciuta come “La città del silenzio” perché ci abitano poco più di cento persone, ti abbraccia tra i suoi vicoli stretti e gli edifici tutti di colore giallo paglierino, le porte colorate e le strane maniglie a forma di pesce, che celebrano la storia di Malta legata al mare.

La Valletta fu fondata nel 1566 su una penisola rocciosa. Capitale dell’isola, è il principale centro culturale con chiese, palazzi nobiliari, musei e monumenti da visitare.

Lasciate subito la via importante, la Triq ir-Repubblica e buttatevi sulle vie laterali per scoprire angoli meno battuti. C’è poi una tappa imperdibile: la Concattedrale di San Giovanni. Caravaggio agli inizi del 1600, in fuga da Napoli, dipinse qui la “Decollazione di san Giovanni Battista” e “il San Girolamo scrivente”, ancora magnificamente custoditi.

A La Valletta svettano le architetture contemporanee di Renzo Piano. Il famoso architetto italiano è stato chiamato per ridisegnare il centro storico: tra le sue opere un nuovo edificio del Parlamento, un monolite spigoloso sollevato da terra, e un teatro all’aperto nelle rovine della ex teatro Reale

Vittoriosa, Senglea e Cospicua le Tre Città, raggingibili anche dalla Valletta (io ho preso una strana barcarola, condotta da loschi personaggi, dall’imbarco sotto i giardini di Barrakka): furono l’epicentro della resistenza di Malta al Grande Assedio dei turchi ottomani nel 1565 ed ebbero un ruolo centrale per la salvezza dell’isola.

Vittoriosa, in maltese Birgu, divenne la capitale al posto di Mdina dopo all’arrivo dei Cavalieri dell’Ordine nel 1530. Una passeggiata rilassante e due musei, come ad esempio il Maritime Museum il Palazzo dell’Inquisizione valgono la pena. A Vittoriosa sul Waterfront ci sono bar e ristoranti dall’atmosfera intima vi sazieranno.

Cospicua è la più piccola delle Tre Città dove, accanto all’eredità architettonica dell’Ordine dei Cavalieri, è possibile ammirare tre strutture che risalgono al megalitico: i luoghi di sepoltura di Ghajn Dwieli, Ta’ German e Ta’ Kordin. Mi son fermato per un caffè americano sugli scalini a due passi dall’Università americana (si chiamava Art Cafè).

Senglea è un piccolo paradiso di relax, dove è possibile passeggiare ammirando gli imponenti palazzi e la baia, magari dalla torre vedetta di Gardjola, uno dei simboli di Malta.

I colori non mancano mai, ovunque vi giriate.

Volevo parlare di Gozo ma vi rimando a una prossima puntata.

Dimenticavo: non sottovalutate gli autobus. Una vacanza lenta e immersiva per entrare nel quotidiano di Malta ha bisogno dei bus. Occhio agli orari, non sempre puntualissimi ma le linee coprono l’isola e il biglietto – con una tessera ricaricabile e vari abbonamenti – e costano davvero poco. Tutto a portata di cellulare. Checchè se ne dica, io viaggio sempre così, senza auto al seguito. E se qualcosa non funziona, mi rilasso e godo l’isola.

Lentezza e colori. Ma se non fossse così non sarebbe sud!

Nessuna lotta, solo dolore. Grazie Gianluca Vialli

(Il mio editoriale di ieri su vere.news)

Articoli e titoli. La parola ricorrente è battaglia. Anzi lotta. Combattenti ed eroi.

E se fosse un banale esercizio retorico? Ecco, si potrebbe anche iniziare a cambiare prospettiva su questa idea di lotta con la malattia che tanto piace e riempie il vuoto.

Nessuna lotta: c’è fortuna, destino e cure. Che alcune volte vanno, altre no. C’è una malattia ed ammalati da curare con mille difficoltà utilizzando tutte le possibilità che la scienza ci offre e con tutte le storture della nostra sanità. Ci son medici in gamba e altri meno attenti.

E‘ una roulette russa che sceglie le persone in maniera casuale, in cui puoi “lottare” quanto vuoi ma non decidi, se non in piccolissima parte, l’esito finale.

La morte fa parte della vita. Come la malattia.Non solo quella fisica, ma anche quella mentale troppo pesso sottovalutata. E fa tremendamente paura. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è. E questo rende l’esistenza precaria e temporanea.

Motivo per cui, mi hanno insegnato le perdite, dico no più spesso, non perdo un minuto con persone che non mi arricchiscono e a cui non posso dare il meglio di me, cerco di spendere il mio tempo al meglio, incurante di mode, giudizi, si è fatto così e soloni imbecilli di facebook che commentano le vite altrui.

E riprendo la grande lezione umana di Gianluca Vialli che in una bellissima intervista su Netflix ad Alessandro Cattelan che rivedevo pochi giorni fa: “Non ti devi dare delle arie, ascolta di più parla di meno, aiuta gli altri. (…) Cerco di non perdere tempo, di dire ai miei genitori che gli voglio bene. (…) Mi sono reso conto che non vale più la pena di perdere tempo e fare delle stronzate. Fai le cose che ti piacciono e di cui sei appassionato, per il resto non c’è tempo”

Grazie ancora Gianluca Vialli.

7 Parole per il 2023

Mi piace scrivere. Le parole sono importanti e aprono mondi e sensibilità da percorrere e sentire.

Ne ho tirate fuori sette che potranno guidarci nel nuovo anno

👉Pratica. Niente telento, niente ispirazione, solo duro lavoro e fatica, consapevoli che c’è da spalare fango.

👉Perseveranza. Continua, ripeti il gesto o il processo, anche quando sembrerebbe inutile

👉Bellezza e beatitudine, ricerca incessante, nonostante tutto.
👉Coraggio, per non fermarti alle difficoltà e per prendere le strade complicate.

👉Condivisione, creando buoni rapporti personali, curando persone pronti anche alle camminate in solitaria.

👉Pazienza, silenzio e meditazione, per calmare la rabbia, per chiarire i pensieri.

👉Consapevolezza, del momento presente, ma anche della dura verità: nessuno ti regala nulla. Men che meno chi pensavi dovesse farlo per qualche forma di riconoscenza. Anzi, parti dall’idea che nemmeno quello che hai conquistato è sicuro e che ogni giorno ricomincia la lotta.

Malta, Caravaggio e la bellezza dell’arte

Guardavo opere del Caravaggio a Malta, la decollazione di San Giovanni Battista. E poi San Girolamo scrivente. Dal vivo, senza fretta, senza stress, catturato per minuti infiniti.

Da tempo quell’occhio sulle opere è cambiato. E le sensazioni, anche quelle, son diverse. Come la voglia di farne incetta sempre e ovunque, superando quella paura figlia di una educazione a dover vivere e sopportare il brutto che ci ha sempre circondato.

Il nostro occhio poi non riesce più a trovare le differenze: accetta tutto e si accomoda.

All’uscita della chiesa ho avuto un brivido. Mi son fermato e guardato attorno. C’erano le bancarelle, i turisti nel loro lento passeggiare, i negozi plurimarca di qualsiasi centro turistico.
Poi ho aperto il social e ho pensato: come ci siamo ridotti? Ma quanto è brutta e volgare la nostra vita?
Possiamo fare ancora qualcosa?

Forse iniezioni di arte e bellezza, pur nella nostra incapacità di percepirle nella loro totalità, ci permettono di lenire quel disagio di sentirsi sempre fuori posto.

DJset di fine anno

Questo fine anno 2022 mi vedrai in consolle:

Venerdì 30 dicembre 2023 Bacan Cagliari

Sabato 31 dicembre Colonial Cagliari (cena) e nel party del Bacan Cagliari

Domenica a Palazzo Doglio

Dopo la Birra… il vino. Ci vediamo domenica 20 novembre al Palazzo Doglio a Cagliari per un nuovo evento di “Domenica a Corte” dalle 12 alle 19 con un djset speciale funky/house per accompagnare la degustazione e lo street food.

L’evento è organizzato in partnership con la Cantina Argiolas, Sella & Mosca, Tenute Faragò, Cantina Santadi e Olianas.

La Festa del Vino alla Corte Doglio è aperta a tutti.

Una sera a Tirana

Tirana, ore 18:55, forse ho scritto già troppo e non mi godo il viaggio ma il roaming inesistente mi aiuta a concentrami su pensieri e progetti. Ma ogni tanto mi sento debitore di chi mi segue con affetto

L’arrivo della sera è sancito del canto dei muezzin che inonda l’aria. Mi riportaalle atmosfere di Istanbul e poi Beirut dove ho vissuto questo rito. Vai da quelle parti e scoprirai l’effettocheffffa!

Per uno come me, che crede nella conciliazione delle religioni, curioso di conoscere la storia e di avvicinare le persone attraverso un’unica spiritualità è una carezza profonda.

Quando esco dal mio alloggio, dopo un delizioso sonno ristoratore, è già sera, luci e colori nuovi, il passo che si allenta e tutto diventa leggero.

Cammino lento, seguo il ritmo del mondo, cercando di registrare angoli, vetrine, particolari come una donna al chiosco che aspetta un cliente e una conversazione tra due autisti di taxi. Peccato non capire nulla, potessi sapere che si dicono! Sorridono, questo lo vedo, ma quale sarà il motivo? Il non sapere mi affligge più che mai.

Lascio la strada maestra e mi butto in quelle laterali dove le boutique e i negozi occidentalissimi, la banale riedizione di ogni centro città, vengono sostituiti da negoziati sgangherati, mercatini e bancarelle ricavate da garage, piene di contraffazioni di grandi marche, parrucche, magliette del Manchester e ancora cover di telefonini e reggiseni.

I palazzi mostrano nelle rughe del tempo e della povertà, tra fili elettrici e telefonici che si inerpicano come crocevie incomprensibili, parabole tv e motori dei condizionatori. I vicinati raccontano una Tirana diversa, popolana, popolare, povera e semplice, le macchine sono residui di tempi andati, i rifiuti sono parcheggiati non sempre con ordine, i palazzi non sono ancora finiti (e resteranno così, a vita).

Il senso di ogni viaggio: correggere il cammino previsto e virare oltre, senza paura di qualche sguardo minaccioso mentre scatto una foto e di qualche strano movimento che intercetto con la coda dell’occhio.

Sono i rischi del viaggiatore curioso, ma che porta rispetto per i luoghi e le persone. Non ci son dubbi che ho attirato l’attenzione di qualcuno col mio procedere curioso.

Quando riesco dal dedalo mi ritrovo in un’altra strada commerciale – Rurga Ismail Qemali – dove le vetrine tirate a lucido non mi emozionano più come quando ero piccolo e i macchinoni che sputano fuoco e fumo fanno la fiera del trash. Sento tutto questo banale, ma sono ben allenato a questo sfarzo volgare, non mi è nuovo.

Ragazzi e ragazze che vestono di marca si mischiano a uomini e donne con vestiti semplici e poveri, tute mal indossate e jeans portati male, in uno scontro generazione che racconta troppo. L’ansia dei più giovani di apparire e quella della mezza età di non aver nessun obbligo sociale da difendere, se non la macchina di grossa cilindrata come trofeo sociale. Ma tutto il mondo è paese.

Nei bar e nei locali non accettano carte di credito, il nero sommerso la fa da padrone. Così ho capito in una mezza giornata. Me ne faccio una ragione anche se devo cercare di evitare di farmi fregare dalle commissioni.

Un muezzin ricanta da un’altra moschea. I fedeli entrano composti, si tolgono le scarpe, le ripongono in un piccolo armadio di lato, salutano il custode e poi si perdono dentro ampie sale illuminate.

Una giostra illuminata gira con un bimbo a bordo e il papà che lo sistema, nell’attesa che ne salga anche qualche altro passeggero. Il bigliettaio è triste, sa che stasera non farà affari e la ragazza che dovrebbe smistare la folla ha il viso deluso e si accontenta dello smartphone. I bimbi a terra, invece, controllano in quale posto salire. Ce ne sono due. Appena la giostra si ferma, hanno le idee più chiare dei genitori che hanno appena pagato il biglietto. Uno sceglie il cavallo, l’altro, più piccolo, la carrozza magica.

Una strada lunghissima porta al Politecnico. Attorno ci son grattacieli allumati dalle geometrie curiose e altre che aspettano di illuminarsi. I semafori sono colorati anche nella struttura con dei led luminosi. L’effetto è suggestivo, come una camminata al freddo di una capitale europea avvolto da luci e da persone che mai incontrerò. Quella bellezza che si chiama viaggiare. Magari con Battiato in cuffia che canta Up Patriots to arm.

Mi guardo attorno. Tirana, Albania. La vedevo in tv, lo leggevo nei libri. Nei TG questo posto era storia: la dittatura, le migrazioni. Da piccoli era tutto troppo lontano e diverso. Oggi è emozionante essere qui. Cercare di capire. Un palazzo, un edifico, uno sguardo, una conversazione. Quel poco che basta, perchè ci vorrebbe tanto altro. E non ho pretese di capire in questo piccolo di giorni. Ogni città ha una vibrazione. Percepisci. Ti emozioni stupidamente anche sedendoti in una delle panchine e osservando il mondo che scorre, i parchi, le piattaforme, le coppie che si nascondono, gli anziani che si godono la pace di un parco.

Questa è che beatitudine, ma non dirlo in giro. Qui su Facebook, come diceva l’amico con voce squillante di Chia, non ti capiranno mai.

(le foto son volutamente poche per farvi immaginare)