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Come spiegare il mio lavoro a mia madre

E così mi chiedo spesso: come spiegare che lavoro fai, quando fai un lavoro difficile da spiegare a parole?

Me lo chiede ancora mia mamma che se la tenta sempre: ma perchè non ti cerchi un posto fisso? Perchè non fai qualcosa di serio? Io allora ci provo a far capire che lavoro per davvero, spesso anche con orari allucinanti e scadenze complicate, ma inutilmente.

E poi la gente ti vede in giro per il mondo, senza un ufficio, senza un orario di lavoro, apparire e scomparire, rivestire tanti ruoli (dal comunicatore al consulente, dal DJ al giornalista), fare tante cose.

Allora provi a spiegarlo pensando che se qualcuno non ti capisce non fa parte del tuo pubblico oppure non vuole capirti perchè fondamentalmente non fa quello sforzo mentale per arrivarci, oppure stai sui coglioni e quindi è tutto impossibile. Oppure puoi tentare di spiegarti con parole facili da capire, senza per questo sembrare meno professionale.

Vorrei spiegare che viaggiare e vedere è un fattore determinante, un valore aggiunto, per altri è una spesa e una perdita di tempo, un lusso e un fighettaggio.

Esiste un sottile filo conduttore a quel che faccio: la comunicazione. Che è una cosa sostanzialmente liquida, informe, nebulosa, usata e abusata. Che vuol dire tutto e niente.

Ho una piccola attività con partita iva che cura la comunicazione e l’organizzazione. Mi occupo di contenuti, di social network, di organizzazione di eventi, avvalendomi poi di altri professionisti laddove la mia competenza base (che è la scrittura, essendo, di base un giornalista) non arriva. Quindi quando devo affrontare progetti più impegnativi chiamo un grafico, un fotografo, un videomaker, dei collaboratori.

Da questo piacere/passione per la scrittura ho creato un lavoro. Che poi si declina in varie (e imprevebili) modalità, pescando passioni che ho coltivato fin da piccolo, che arrivano fino alla consolle da DJ (cosa che faccio da quasi vent’anni, mica scherzo!) e a Radio Sintony, passando per il calcio, il linguaggio della politica, quello aziendale, istituzionale e quello della ristorazione. Poi scivolano ancora nell’organizzazione degli eventi. Tutto questo con la cornice dei social network a fare da padrone, con immancabile musica in sottofondo.

La faccio semplice ma è complicata: la comunicazione, come dicevo, è qualcosa di impalpabile. Cambia di continuo. Necessita di stare attenti, curiosare, sperimentare, studiare e confrontarsi. Avere dei guru. Padroneggiare quanto è possibile gli strumenti. E se scrivi devi essere stimolato, così come facendo il DJ devi ascoltare, percepire, proporre ritmi nuovi.

Solo viaggiando puoi.

Poi, sia chiaro, io sono un lupo solitario. Non credo alla teoria che solo l’azienda possa realizzare dei risultati, e il lavoro di squadra mi piace quando tutti fanno la propria parte. Difficile di questi tempi.

Basta?

Ora sono a Barcellona, in un caffè, nel centro storico. Scrivo, aggiorno, posto sui social, mando mail, preparo relazioni e progetti, campagne social e proposte di lavoro. Molti pensano sia in vacanza. Mi dicono “stai sempre viaggiando”. Qualcuno pensa abbia problemi, sia un vizio. Non percepiscono che la nostra vita è questa. Che è una connessione stretta esistenza-lavoro. Un modo nuovo per intendere il proprio quotidiano.

Diranno: perchè serve un viaggio per farlo? Perchè le idee come le parole hanno bisogno di stimoli, suggestioni, luoghi e visioni. Per essere accattivanti, migliori, colorate e calde. Per essere quello che un cliente o committente da te si aspetta: IL MEGLIO. Per fare bene e star meglio tu.

Buona parte dei miei lavori è basata su internet. Detto in altre parole: senza la minima necessità di un ufficio in un posto specifico invece che in un altro. Tanto vale, a questo punto, porsi una domanda: perché  rimanere in una stessa città per svolgere delle mansioni che potrei finalizzare da qualsiasi angolo del pianeta? Da un posto magari ben più economico, che mi piace, dove poter essere più creativo?

Tutto questo è realizzabile, senza pensare che sia assurdo.

Ma sono certo che mia madre al  ritorno mi chiederà sempre, ancora, nonostante tutto: ma perchè non fai qualcosa di serio? Ti cerco un posticino fisso, magari in qualche ufficio? Sei grande, non puoi fare queste cose sempre! E poi altri diranno che sto sempre viaggiando, che costa troppo, eccetera eccetera!

Lo so. E’ la vita! E voi riuscite a spiegare il vostro lavoro? 😉

 

Lavorare Oggi

Ci sono tanti che non lavorano non perché non sono bravi, ma perché non hanno le informazioni per entrare nel mondo del lavoro. Per capire come fare un CV, un colloquio, per trovare una strada, per presentarsi decentemente, per organizzarsi una giornata. Scherzo, ma spesso bisogna “imparare a lavorare”. Non avete capito male.

Lavorare è complicato, nessuno vi paga per simpatia, e non basta più solo il titolo o genericamente dire “mi piace fare”. Oggi significa più di prima essere bravi, attenti, disciplinati. E badate bene che la competenza serve, ma se siete appassionati e vi sacrificate dimostrando di voler fare bene spesso colpite più di chi non si sporca le mani. Escludo dal ragionamento chi non vuole far nulla e si lamenta, chi pensa a The Wolf of Wall Street, ma quante risorse e talenti inespressi ci sono? Quanti tirano a sproposito fuori la parola comunicazione (pare che oggi sia il lavoro che tutti vogliono fare) e magari non sanno nemmeno cosa voglia dire e il loro destino è altro? Quanti hanno un talento ma hanno paura di rischiare e imparare? Quanti sono stati malconsigliati? Quanti non hanno idea su nulla e brancolano nel buio?
Ma anche i giovani si sveglino e comincino a chiedere, non solo ad aspettare.

Da parte mia, sempre massima disponibilità a consigliare. E chiedo a tutti quelli che possono, di AIUTARE sempre gli altri, in questo difficile momento per la nostra terra. Spesso un consiglio o un contatto può essere prezioso.

Lavorare sui social è così semplice?

Consigli inutili e discutibili per chi vuol lavorare sul campoSocial media manager, uno dei mestieri più ambiti in questi tempi.

Mestiere che sembra alla portata di tutti ma in realtà non è proprio così. Stando sul campo mi permetto qualche riflessione a rischio murrungi del web e etichetta di presuntuoso. Ma chi capisce recepirà il messaggio.

Un amico oggi mi ha chiesto un consiglio:

“Se vai a cercare un SMM o qualcuno che si voglia lavorare sui social cosa fai per prima cosa?”

Guardo anche come usa i social, come scrive, come si approccia al web.

Sembra una stupidata ma questa osservazione racconta tanto di un profilo, sia che posti un contenuto che ne posti cento. 

Ci sono inconsapevoli “esperti” di social bravissimi a usarli (senza magari volerci lavorare) e altri che vorrebbero lavorarci ma non ne azzeccano una o magari sono dei fantasmi o trovano nel social un modo per lavorare e sbarcare due lire perchè credono che sia semplice, una connessione e vai. Un po’ come il dj o il fotografo, altri mestieri inconsapevolmente low cost. 

Anche qui, conta spesso una base di talento innato e di piacere/capacità di scrittura e condivisione, oltre a tante altre cose che meriterebbero altre parole (studio continuo, strategia, organizzazione, confronto, osservazione, ecc.). 

Dubito che chi non abbia mai avuto il piacere della scrittura e l’utilizzo del web e degli strumenti di comunicazione sia capace di inventarsi SMM. Ma ovviamente è solo un mio umile parere.

Non si può lavorare con tutti

Scena al bar. Cliente maleducato e barman gentile che prova a non perdere la pazienza. Che sia sempre colpa dei barman, come leggo? Ovvio, qui non puoi selezionarli, però ci siamo spesso concentrati nelle nostre polemiche solo a guardare una parte del rapporto.

Allargo la riflessione.
Stamattina ho detto no a una collaborazione comunicativa. Mi sono dispiaciuto, ma credo di aver fatto la scelta migliore per lui e per me. Col senno di poi capisco i consigli di qualche amico esperto (vero Francesco Movidi?)

Siamo sicuri che lavorare con tutti quelli che chiedono il tuo tempo e la tua professionalità sia utile? Che fare tutte le serate possibili ti faccia apparire più o meno DJ? Questo non vuol dire non avere tanti contatti e arricchirsi di collaborazioni. Non vuol dire essere presuntuosi, ma…

Siamo nell’epoca del mercato al ribasso dove la concorrenza è tanta e l’unico modo del sopravvivere è capire e scegliere. Cosa? Il cliente, l’andamento del mercato, il presente e il futuro.

Fare tutto per tutti è squalificante. Bisogna osservare e decifrare. Lo stress di un lavoro e le sue prospettive. Se ne vale la pena. Non sempre dipende dal guadagno. Ci sono variabili non quantificabili economicamente.

Cerco il più possibile di capire serietà e prospettive di chi chiede una mia collaborazione. È un lavoro nel lavoro. Affino il fiuto. Magari sbaglio, magari no. Cortesemente, rifiuto se non ci sono presupposti. Oppure, se accetto, mi ci butto con passione innata (e chi mi conosce sa) come se fosse mio. Gioco in squadra col cliente, la sua vittoria è mia vittoria. Questa è la mia filosofia.

Mi sto accorgendo che sia molto meglio dire più NO.
Il tempo che rimane serve per imparare, osservare chi fa meglio di te, fare corsi e viaggiare. Spesso purtroppo anche per rincorrere chi mi deve pagare 🙂

Metti una sera con un cliente (il lavoro)

Nuovo cliente, brainstorming, contenuti per sito e i social, progetto editoriale ma anche altre idee di marketing.

Testiamo il servizio, proviamo a capire.

Studiamo.

Domande e risposte aperte.

Proviamo il sito.

Percepiamo lo spirito di chi comincia una nuova attività, i suoi sogni e le sue difficoltà. Rendiamo questo un messaggio, un testo, una suggestione.

L’orario di lavoro? Non è un problema se il tuo lavoro ti piace da morire.

In cucina

Ieri è accaduta una cosa nuova: ho dato un piccolo “aiuto” in cucina e a servire i tavoli per un inconveniente al nostro ristorante e mi sono accorto come sempre quanta differenza ci sia tra ciò vedi da cliente e il dietro le quinte. Un po’ goffamente ma con sorriso e cortesia, comunicando continuamente con le persone, ho provato a fare la mia parte con entusiasmo.

La lezione? Mi sono accorto quanto sia duro e faticoso, fatto di tempi e incastri, osservazioni e gesti, il lavoro di un ristorante ma al tempo stesso di quanto sia bello pensare di poter essere protagonisti di un momento conviviale delle persone come un pasto, che in Italia è un rito.

Chiunque pensa che lavorare in cucina sia l’ultima spiaggia o qualcosa di disonorevole sbaglia. Oppure un gioco da ragazzi, guardando la tv.

Eppure lavorare a contatto con le persone è splendido, ma non è per tutti.

Molti lo prendono come un “lavoro come altri” dimenticando sempre che qualsiasi lavoro, se fatto con amore, ha la sua bellezza e unicità e vi può portare al successo. Sì, SUCCESSO. Fate voi sempre la differenza!

E il successo è un grazie, un sorriso, un complimento e un cliente che torna.

La difficoltà

Chiacchieravo con un amico stamattina, uno di quelli come me abituati ad andare a mille con progetti e attività. Forse siamo troppo veloci per questo posto, forse troppo sognatori. Già immagino chi storcerà il naso.

Condividevamo però sotto un bel sole d’aprile una delusione, annaffiata da una spremuta d’arancia, e una riflessione: trovarci mille volte a ricominciare da zero e non riuscire mai a capitalizzare lavoro ed esperienza e star sereni.

Quasi che esperienza e competenza siano un peso e una vergogna da nascondere e più vai avanti più hai difficoltà a venderla, perché costi, perché sai, perché, ahimè, non sei controllabile.

L’estrema difficoltà di lavorare in Sardegna senza essere asserviti a qualcosa o qualcuno.

In fondo io resisto (e vi dico di resistere)

Bisogna provare a conquistare i propri sogni anche qui, in Sardegna. Non ci crederete, ma lo penso anche io. Nonostante tutto.
È durissima, lo ammetto. Vorrei andarmene, l’aria spesso è opprimente, il ritmo troppo lento, la mente chiusa, ma tante cose me le sono conquistate QUI. E a voi dico: si può fare.
Forse non avevo altra scelta e l’uomo quando deve sopravvivere tira fuori il meglio. O forse ho avuto un gran culo, ho trovato i compagni di avventura giusta e basta. A furia di tirare i dati e di capire dove sbagliassi. Sia chiaro: mai sentirsi nulla, arrivati, tutto cambia velocemente. Una tirata di dadi del destino e sei punto e a capo.

Questo posto non sempre mi piace, certa gente non sempre la apprezzo. Lo scrive spesso e penso di averne diritto perché appartengono alla generazione che fa, non che si gratta o che ha avuto tutto pronto.
Sono passato oltre porte sbattute, ironie di colleghi, sgambetti di amici e non. Ci sono stati, continuano. In ogni campo. Ho lasciato club, partiti, organizzazioni. Ho camminato spesso e volentieri da solo. E la solitudine o ti ammazza o ti rafforza. Ma ti permette pure di incrociare altri lupi solitari, alcuni diventati pure miei guru.

Insomma, se impari a soffrire e andare per la tua strada senza recriminare, senza aver paura di far scelte contrarie e ostinate, perdere amici o affetti, senza paura del freddo e della notte, imparando ogni volta dagli errori (quanti..), disciplinando la tua vita, dando il giusto peso a cazzate e cose serie, lavorando sotto traccia, beh… qualcosa torna sempre.

E anche se molti non avranno mai il coraggio di dirti ‘bravo’, certe soddisfazioni ti ripagano e ti danno l’energia giusta anche per aiutare chi oggi ha capacità ma magari è solo a corto di motivazioni. Perché non basta riuscire: abbiamo il DOVERE di aiutare anche gli altri a trovare la strada giusta per i propri SOGNI.

Poco importa chi vedrà presunzione in queste parole. Questo è un messaggio di speranza e una promessa: IO CI SONO.

Milano per un sardo

Milano è grigia, caotica, fredda. Milano corre e non ti aspetta.
Milano grandi strade, preferenziali, giardini tra il cemento.
Milano immigrati, terroni e aperitivi.
Milano badanti e donne in carriera. Suv e senzatetto. Sciure e walking dead al supermercato.

Non ci vivrei, lo dico sempre.
Ma Milano è stimolante, ti fa conoscere gente, misura i tuoi limiti, non gliene frega nulla di te, del tuo cognome e di quel che sei e di come la pensi o ti vesti.

Milano è il mondo a portata di mano.
Milano è quel che arriva prima, e tu lo vedi dieci anni dopo.
Milano è l’Italia che lavora e che non si dispera e non gliene frega più di innamorarsi.

Milano per un sardo è il solito dilemma tra cuore e ragione, tra sentimento e opportunità.

Tra le nuvole

Qualcuno la chiama vacanza, altri lo chiamano viaggio. Io sono per la seconda. 

Ti porti dietro portatile e smartphone, scegli una città, affitti una camera a poco prezzo e continui a lavorare. Con la differenza che sei altrove, impari una lingua, non usi la macchina, fai mille incontri casuali, hai la mente sgombra per lavorare e le idee e le parole sembrano venir fuori con estrema semplicità, specie quando sei nei posti più impensabili, gli aeroporti, i treni o i voli.

Io lo faccio spesso, quando ci sono periodi intensi in vista e vi assicuro che non è questa grande spesa.
Basta sapersi adattare: zero cene sontuose, alberghi lusso, shopping inutile e altre giocolerie da turista idiota. Parto leggero e senza troppi programmi.

Certo, ci sarà sempre l’accallonato nostrano che avrà da ridire quando un lavoro è inviato da Barcellona o Dublino invece che “dai pressi di Pirri”, come se questo facesse differenza, ma così funziona. Sono abituato alle callonate.

La tecnologia ci permette cose impensabili fino a ieri, il lavoro è cambiato, il Mondo è vicino, e chi non lo capisce (o come sempre lo capisce tra qualche tempo, dopo aver disprezzato questa filosofia) può sempre pensare che sia pazzia, follia, poca serietà e immaturità.