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New York memories

Un anno fa ero a New York. Inutile dire che è stato uno dei viaggi più belli e intendi della mia vita. Andarmene quasi piangendo è stata la prova che questa città abbia lasciato un segno nel mio cuore e che abbia ancora un debito con lei.

(Ancora grazie ai miei compagni di viaggio virtuali Marcello Casu Andrea Laddo Stefano Cortis e a chi ha ispirato e organizzato tutto Giuseppe Marcialis)

Città da vivere

Giovedì sera, riordino il mio bunker milanese che è vergognosamente incasinato e prima di uscire preparo uno zaino per Barcellona e poi guardo il meteo nell’applicazione dell’iPhone. In base a quello oriento cosa portare. Mi piace memorizzare varie città, vederle quando apro l’applicazione ha un senso diverso. Significa pensare ai ricordi, alle cose che ho lasciato e alimentare l’ansia di tornarci.
In tre di queste ci ho vissuto, nelle altre ci sono ragioni per cui torno sempre e penso che il destino mi ci porterà primo o poi a vivere. È presto per fermarsi. E più passa il tempo più il mio bagaglio si alleggerisce, diventa minimo. Problemi alle spalle o filosofia di vita?

State of mind

Ero a New York, ero a New York. Le luci dei grattacieli di Manhattan, ed io nemmeno credevo di esserci. Il taxi toccava quartieri come fossero titoli di film. Luci gialle illuminava incroci troppo grande per me, piccolo e della provIncia.

Poi, andando via, quella sera ad Harlem, cenai in un qualunque locale tra il frastuono di gente che non avrei mai rivisto, i mega schermi del superbowl, hamburger e birra, nascondevo dentro la felpa grigia una lacrima e capii: qui ci sarei tornato a vivere. Era destino. E anche quel portiere mi disse: “New york is a state of mind, not only a town, my friend”

New York, New York…

Ero a New York, ero a New York. Le luci dei grattacieli di Manhattan, ed io nemmeno credevo di esserci. Il taxi toccava quartieri come fossero titoli di film. Luci gialle illuminava incroci troppo grande per me, piccolo e della provIncia. Poi, andando via, quella sera ad Harlem, cenai in un qualunque locale tra il frastuono di gente che non avrei mai rivisto, i mega schermi del Superbowl, hamburger e birra, nascondevo dentro la felpa grigia una lacrima e capii: qui ci sarei tornato a vivere. Era destino. E anche quel portiere mi disse: “New York is a state of mind, not only a town, my friend”

Seconde case

Ci saranno poche città che mi lasciano un segno indelebile nel cuore: New york quando me ne andai piangendo, Dublino sei mesi fantastici, Barcellona una seconda casa e ora Milano che ho paura che mi stia stregando o forse è solo bottiglia di Cannonau che mi dà alla testa e mi ricorda che sono nato in Sardegna ma sono cresciuto di aeroporto in aeroporto.
O forse sono solo fuggito.

Ritorni (trasvolando l'oceano)

Tra le nuvole. Le mille posizioni del kamatixi, stanotte provate tutte qui sul volo per cercare di prender sonno. Ho dormito. Non ho capito quanto ma almeno l’ho fatto.
Risveglio, cambio l’ora. Riallineo la mia vita con voi. Esco dal posto per sgranchirmi le gambe, mi lavo la faccia e pure i denti per avere quelle splendida sensazione di freschezza. Mi godo il monitor qui che racconta dove sia l’aereo. Siamo sopra l’Irlanda, oh mia cara Irlanda, terra di magia e di speranze! Quando tornerò da te? Non scherzare, stai sempre viaggiando Tixi! Vuoi già ripartire?

E’ arrivata una ricca colazione, ho scelto omelette. C’è un croissant, spremuta, biscotti, fagioli, patate e funghi. Creme e philadelphia. Poi frutta. Ci viene servita con la solita cortesia del personale Emirates, questi ci sanno fare. Ci coccolano.

Ho un vicino sarchiapone italiota che nemmeno vi racconto: uno che si è sdraiato come se nulla fosse qui di fianco poggiando la testa a due millimetri da me e che si sveglia puntualmente quando arrivano i pasti, mangiando come un abramito. Povero me! non toglie che il primo sole e il cielo azzurro, mi abbiano ridato un sorriso. In cuffia musica buona, risento la colonna sonora: via MJ. Tra due ore sarò a Malpensa, per provare a prendere il volo delle 14 a Linate, altrimenti sarà per le 18. Io ci provo.
Felice sabato a tutti 😉

New York, the Bronx

il Bronx che ti aspetti. Dicono sia il quartiere (anche se si potrebbe parlare quasi di provincia, visto la grandezza) più malfamato della terra, ma solo in parte è vero, in parte è un puro stereotipo. Almeno per quel poco che ho visto.

E’ una periferia, disadattata, dove gli sguardi sono tutto fuorché amichevoli e i negozi d’alta moda assenti. Dove hai sempre la sensazione che possa accadere qualcosa.
Molta gente staziona ai bordi della strada, negli angoli, alla porta dei locali. Barbieri, bar, negozi di roba usata, sfasciacarrozze e rivendite di casalinghi a prezzo basso. Times square è davvero lontana e le persone mostrano il loro volto meno elegante.

Pare che l’unica zona davvero pericolosa del Bronx è il South.
Gli italiani, che ora hanno una loro parte, la little Italy, ci abitavano negli anni Settanta e gestivano i traffici. Dopo il Bronx iniziò ad affollarsi di neri che subito presero in mano il business della droga che era in mano alla mafia.
Ecco, leggo, all’inizio i neri iniziarono a scontrarsi con gli italiani, successivamente eliminati gli italiani, iniziarono a scontrarsi fra di loro, organizzati in bande. Questo a sud, zona che ho evitato di visitare.

Oggi il Bronx è eterogeneo. Tanti neri ma anche ispanici e messicani. Angoli malfamati e strade normalissime. Gente povera mischiata a loschi individui con fare sospettoso. Rifiuti, auto ammaccate e discariche. Belle palazzine e anonime costruzioni.

Qui è nato l’hiphop, forse semplifico troppo. La musica si sente ovunque come parte essenziale, anima delle strade, così come il degrado, i playground e i graffiti. Questa è un’altra parte di New York dove non puoi non passare.

Buon compleanno a me

My birthday in New York.
Sono le 5:50 del mattino. Rumori di frigo e qualche altro segno indistinto di vita nella mia stanzetta vicino a Central Park. Mi sveglio con lo stomaco in subbuglio dopo una notte brava, girovagando per la grande mela, affascinato dalle luci, dagli incontri improbabili e le solitudini nei sedili di una metro, spegnendo qualsiasi contatto col mondo.

Le prime sensazioni sono:
– cazzo, ma quanti arretrati di studio ho quando rientro?
– galeotto fu il vino e i drink e ancora i drink
– ci son da due giorni e mi sembra di esserci da un anno, la sensazione di conoscerla è assurda
– è bellissimo ricevere messaggi quando sei lontano ed è bellissimo riceverli da chi sai ma soprattutto da chi non ti aspetti
– i messaggi più belli, poi sono quelli di chi ti dice, oltre agli auguri, qualcosa che ti spiazza, magari che ti legge, che ti segue, o magari racconta una parte di sé un sogno o un progetto o un problema e te ne fa dono quasi avesse trovato in te un ascoltatore affidabile se non un amico, e magari nemmeno ci conosciamo. Questi son i regali. Tutto questo è fantastico, sapete? 🙏

Lavoro un po’, ho anche un lavoro da portare avanti, altrimenti col cavolo che viaggio. Poi esco. 

Eccomi qui. Central Park. Mi godo il verde e l’azzurro e la metropoli a due passi. Sentirsi piccoli e insignificanti negli incroci di facce, storie e anime di NYC è bellissimo. Anche io ora sono di queste tante e lontane. Io con miei sogni e le scarpe su cui camminano. Io con le domande e insicurezze. Io in questa città, che arrivo dalla provincia dove tutto è presenza, ossessionante ostentazione e chiacchiera. E ora io sono uno, nessuno e centomila. Anzi milioni.

Il mio mondo è mille posti, mille voci, colori e paradisi, lingue e risvegli diversi e ogni posto oramai è diventato casa mia. Non c’è inizio e fine, andata e ritorno. Arriverò ovunque, mai stanco di scoprire e capire, ma soprattutto di amare.

Buon compleanno anche a me. #tixilife

Hudson river

Avevo voglia di mare, acqua, fiume, rumori di onde e barche. Hudson, New York. Sullo sfondo i grattacieli e Jersey City.
E quando arriva la sera, anche se poi sono le quattro e un quarto, incontro quella sottile malinconia che adoro provare in viaggio. Solitudine e lontananza. La mia anima ringrazia.

Pizza a Chelsea, New York

Pizzeria a Chelsea, bel quartierino residenziale. I grattacieli si diradano e i profili diventano bassi. Ain’t not sunshine riscalda l’aria di questa giornata grigia. Nessuno guarda le analisi del voto sui megaschermi. Una pizza corposa con mozzarella e basilico per me. Una birra. Un altro luogo segnalatomi dal mio amico dj Marcello Casu. La cameriera si scusa se manca il wifi, io ribatto sorridente che un locale così e pieno di bellezze come lei non può non averlo. Che lecchino!
Tra poco voglio vedere mare, ho necessità.
Poi penso: di New York ricorderò non tanto i monumenti o le strade, ma prima di tutto i sorrisi e le chiacchierate con gli sconosciuti. In ogni momento, in ogni posto, in ogni situazione. Un sorriso e una battuta. E malgrado il mio imbarazzante inglese, lo avete visto, son contento di aver condiviso attimi di vita con persone così lontane ma in quel momento vicine a me.