Domenica chiude il quotidiano Sardegna 24. Partito da agosto 2011 con mille speranze e idee, con la voglia di rappresentare un’altra voce nell’immobile e precario mondo dell’informazione locale, il progetto editoriale va al capolinea dopo mesi di vicissitudini interne.
Come sapete bene anche io ne ho fatto parte, un semplice collaboratore della cronaca cagliaritana. Il paradosso era che uno come me, con una provenienza politica di destra, potesse far parte di una pubblicazione orientata dalla parte politica opposta.
Ho scritto un po’ di articoli finché, dopo le solite sensazioni personali (quelle che avverti in tempi non sospetti ma non ti spieghi mai) sono stato avvertito che le cose non andavano bene (per usare un eufemismo) e gli spazi si stavano riducendo. E poi la notizia, questa settimana.
Quando chiude un giornale, checché qualcuno stappi lo spumante e affermi di aver vinto (cosa?) la libertà si impoverisce sempre, malgrado si possa non essere d’accordo con la sua linea e i suoi contenuti. Si impoverisce soprattutto in Sardegna, dove è complicato proporre voci diverse, dove l’informazione è un lusso più che un diritto, dove si rischia sempre di più l’omologazione culturale.
Ho raggruppato un po’ di numeri e statistiche e oggi posso affermare tranquillamente che i miei rapporti con la carta stampata sono stati sempre tormentati. Probabilmente lo saranno sempre. Dai tempi di Week magazine (un bel sogno svanito per una serie di grossolani errori “editoriali”) al Giornale di Sardegna (là non andava bene la mia collocazione politica, mi dissero) a qualche breve sull’Unione fino ad oggi.
Diciamo che non è andata mai troppo bene o forse il mestiere del cronista dentro una redazione “tradizionale” non mi calza. Non che ciò mi dispiaccia, io sempre un po’ fuori dagli schemi, io sempre alla ricerca di novità e “andare oltre”.
Forse la battuta scherzosa che ho lanciato nei miei ultimi stati (“è meglio che resti editore di me stesso”) quando sentivo che solo scrivere sui miei canali facebook, twitter ecc, mi offra quella imbattibile libertà di esprimere le mie idee senza filtri e troppe reticenze non non era poi così falsa.
Sia chiaro, tutto il resto continua con grande passione (dalla direzione di Crastulo alla mia presenza su Tiscali fino alle altre collaborazioni) e l’ultimo pensiero è quello di essere tristi e delusi per una collaborazione che finisce. La crisi ci ha abituati a frequenti cambiamenti, chiusure e aperture. Sono già tarato mentalmente e pronto a riprendere.
Tutto prosegue. Ma con i quotidiani proprio non c’è storia. A questo punto mi chiedo: forse non ho abbastanza curriculum (!), forse non sono simpatico alla “casta”, forse sbaglio sempre tempi e spazi. O forse, come mi ha detto qualcuno, devo semplicemente avere uno sponsor importante per lavorare in questo campo. Purtroppo mi manca. Chissenefrega. Mi accontento di poco: anche scrivere su web. Le mie note e le mie riflessioni. Qualcuna, rileggendola, mi piace. Qualche altra avrei fatto a meno di scriverla. Ma non si può azzeccare sempre forma e contenuti.
Concludo con i soliti, doverosi, ringraziamenti. Grazie a tutte le splendide persone che ho conosciuto in questa breve esperienza professionale, quelli che mi hanno segnalato alla redazione e quelli con cui ho lavorato in prima persona (Ennio Neri, Stefano Ambu, Cristina Cossu). C’era anche il funambolico grafico creativo Tulai (che ha ridisegnato egregiamente il giornale) con cui ogni tanto mi incrocio e con cui spesso condivido sogni e delusioni editoriali.
Ho deciso di fare questo mestiere, una vocazione direi, ben sapendo che avrei avuto più delusioni che gioie. Scrivo da quando ero alle elementari. Non mi sono mai fermato, non ho mai perso la scintilla e la voglia di scrivere. Qualcuno la vede come pazzia, qualcuno non capisce che dietro gli stati c’è solo la passione.
Le passioni sono queste: affrontano stagioni, passaggi esistenziali, capelli che cadono e stanchezze esistenziali. Vanno oltre le mode e i tempi che cambiano. Ma rendono viva l’esistenza di un uomo più di ogni altra cosa.
E la scrittura è la peggiore delle passioni, soprattutto se la coltivi nella nostra piccola città.