Ti puoi aspettare da un dj che possa inventarsi e organizzarsi un viaggio in Spagna, di certo, e scegliere una delle tante mete che sanno di movida, musica, notti folli, sesso e droga. Quelle dove ti dimentichi ciò che è successo il giorno prima, per intenderci mezzanottemezzogiornomammaacasanonritorno, da raccontare come un’impresa titanica su Facebook con le immancabili foto da poser e tag nei locali e tutti che sbavano.
Ti stupisce che questo strano personaggio di quattro lettere scelga Santiago e la Galizia e ti chiedi: o non è un vero dj o è un dj atipico? Per me valgono entrambe le definizioni.
Del dj ora tengo una playlist confezionata su ipod e una bella magliettina color senape comprata a Londra anni fa, che si illumina di notte con davanti un segnale di pericolo con la sagome del dj e con una scritta sulle spalle carattere impact: “dj in action”.
Ma anche se ti travesti e giri il mondo nei posti più impensabili non ti spogli per un attimo delle tue passioni: ognuno è quel che fa, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Quindi non si può smettere di essere ciò che si è. Nel mio caso un allenatore, un dj, uno che scrive.
Appartengo a un mondo strano che molti reputano inutile, fanciullesco, adolescenziale. Il tempo libero, il divertimento, lo sport, costituito da persone che forse non sono mai cresciute e restano eterni bambini. Quelle che non troveranno mai un lavoro fisso, non staranno mai ferme, cambieranno sempre. Vivere la vita come si fa.
Le mie professioni sono le più incerte e instabili, dove il curriculum vale carta straccia e basta poco per finire nel dimenticatoio.
O sei primo e sei nel posto giusto o non vale. E poi gelosie, cattiverie, sgambetti. Qualcuno ti vede come un mito, altri come uno sfigato. Esperienza, bravura e passione contano tanto quanto. Nessuno lo decide. È la situazione che fa di te qualcuno, che ti rende importante e non viceversa. E quando scoprono che hai una laurea, che leggi e scrivi, più che ammirazione ricevi gelosia e vieni considerato un presuntuoso e una pecora nera. “Ma chi penserà di essere?”
Mi circonda un mondo lavorativo con una discreta quantità di stronzi, ma qualcuno ho scoperto essere davvero in gamba. Non che lo stronzo non l’abbia fatto pure io. A fine giornata tiro le somme e noto che sono sempre in rosso, perché esser stronzi pesa tre volte di più di essere in gamba. E finché non colmerò questo gap sarò sempre insoddisfatto di me.
Parlavo di passioni. Parlavo di vita, di me e quindi di voi. Delle passioni che ci vestono come i capi che portiamo ora indosso. Tutto questo “essere te stesso” non si costruisce con tutte le menate che possiamo comprarci, gli aperitivi a cui possiamo partecipare, i tag e le foto con Instagram, le amicizie interessate o l’iPhone 5.
Anche se i pubblicitari e la massa vorrebbero fartelo credere, avere gli strumenti, gli indumenti o gli oggetti delle persone di successo, questo non ti rende automaticamente tale. Non hai bisogno dell’ultimo gadget elettronico per sentirti apprezzato dagli altri. Quello di cui abbiamo bisogno è vivere esperienze che ci rendano fieri di noi stessi, combattere per le nostre idee e per gli altri, alimentare le passioni senza vergognarci mai di sembrare un po’ strani agli occhi della massa.
Sono gli altri che devono adeguarsi a te, non il contrario.