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Da Tallin a Roma, il rientro in Italia

Quando vado via da Tallin sono le otto e mezzo e mi attendono tre di volo. Finisco die libro, ne inizio in terzo. Il tuoi vicini a me è estone che avrà speso almeno duecentoeuro tra . Sguardo fulmineo, lo avrei visto bene nel remake di Arancia Meccanica. Guarda un video lunghissimo sulla preparazione di auto e motori. Non capisco bene ae quel faccione che c’è sul tabley sia sempre lui. In tre ore l’equipaggio di Ryanair può proporti di tutto: toast, croassant, panini, “bevande calde e fredde” mi piace quando lo dicono, biglietti di lotterie, raccolte punti, ingressi in disco, pentole a pressione ed enciclopedie. Ma io son nel mio mondo mentale di cuffie airpods 2 e pensieri sparsi, nonostante fuori ci sia nulla e giusto qualche turbolenza. Che sul finale fa sballottare l’airbus.
Non ho lasciato testamento quindi per questa volta non ho voglia di morire, ma intanto faccio l’elenco delle cose da portare in caso di ammaraggio. Almeno il cellulare, dai, potrei salvare le foto. O in caso di disastro che bello sarebbe se lo trovassero e leggessero le mie ultime note e i video del volo!
È solo pioggia, un temporale e all’arrivo a Ciampino diventa già passato. Gli orologi tornano indietro di un’ora, scrivevo dal futuro.
La quiete tallinica è un ricordo. Esco nei parcheggi e tra taxi in offerta, cartelli con nomi disparati e autobus, urla da mercato in inglese che nemmeno quando facevo le elementari ero così scarso mi ricordo di essere tornato in Italia. Ci mancano solo i venditori di ombrelli e i buttadentro dei ristoranti.
Il mio bus per Roma parte tra venti minuti, alla piattaforma 1. Le altre destinazioni sono san Giovanni Rotondo e Ciampino città, poi lo schermo salta al giorno dopo.
Nella zona d’attesa una coppia con una coperta guarda un film. Un’anziana ha metà casa nelle sacche del supermercato, credo stia facendo un trasloco, magari dall’età e dal vestire – una punta su San Giovanni Rotondo. L’assistente dell’autista del bus Terravision, colori blu e rosa, ha la parlata napoletana, mi saluta e sa il mio nome. Poggio i bagagli con la solita stretta che non vengano rubati. Ma chi ruba a quell’ora? Poi mi chiede se fossi arrivato da Tallin e se ci fosse molta gente a bordo. Segue interrogatorio su come sia la città, che lui prima o poi ci vuole andare appena si organizza col lavoro. Che poi vuol dire che non ci andrà mai e se ci dovesse andare la scusa sarà credere che ancora le estoni si emozionino per gli italiani e che “dici buongiorno buonasera e ti cadano ai piedi”. Il bus si fa strada nel poco traffico della notte romana, piove e appena arrivo alla stazione Termini so che dovrò trovare la strada per l’albergo. Che la stazione in centinaia di viaggi è stato l’unico posto dove ho sempre temuto il peggio. Il lungo corridoio aperto di via Giolitti è il giaciglio di decine di senzatetto. Poi gruppi di uomini con il fare non rassicurante son fermi più avanti. Sul lato opposto della strada, sudici bar frequentati da altri uomini che sbraitano di fronte a insegne luccicanti OPEN e 24H. L’albergo sta dalla parte dello scalo ferroviario. Trovo subito una traiettoria prr evitare di incrociarli, aggregandomi a gruppi di ragazzi perché in cado fi aggressione nessumo mi verrebbe salvare. Vedo duro l’intervento del tipo con l’abito blu e l’amante che sale sulla
Sua Audi A12 e i netturbini che già troppo se prendono i rifiuti di una giornata a Termini. Quando arrivo all’albergo, dopo aver camminato con gli occhi simili a una telecamera di Google Maps, il ragazzo alla reception, indiano, non parla italiano. Nessun problema. La pensione è strategica alla partenza di domattina e so bene che prendere alberghi vicino a Termini significa firmare un patto col diavolo. La maggior parte si presentano con nomi terrificanti (Rossi, Mariano, Kennedy, Tokyo, Ariston, Calabria, Cina, Canada, Piemonte, Tito, Continental), sono ubicate al
quinto piano senza ascensore, sono squallide pensioni riadattate nel 1965 dove potrete trovarvi sul letto altre persone che son rimaste dalla notte lrima, avere bagni con cuniculi segreti, docce che sprigionano acque reflue oppure essere rapiti e portati in qualche sobborgo. Al terzo piano senza ascensore la mia cameretta con due caratteristiche peculiari: quando accendi la luce del bagno parte un tornato, la finestra chiude male e il bagno senza bidè. Avrei dovuto preoccuparmi subito dal fatto che non parlassero italiano. Giusto per la notte, una sufficienza stile miei compiti di latino al Pacinotti.
Il primo obiettivo è mangiare e farmi una passeggiatona per Roma. Sotto l’albergo una pizzeria aperta tardi. Bingo! In verità anche qui c’era la fregatura. 4 euro e cinquanfa per una mkdesta pizza al taglio. Il tipo, che non capisco bene se sia indiano o sardo – ci sono le icnhusa e un quadro in ceramica con la Sardegna – mi chiama subito “amico mio” e questa espressione fa già capire la sorpresa alla cassa. Dopo aver ricevuto l’ordinazione sparisce per dieci minuti per riscaldare la pizza. Penso che sia fuggito con la mia, poi riappare dicendo accomodati, quasi stessimo parlando del ristorante all’ultimo grido. Poi chiede il pagamento della pizza. Aggiungo una bottiglia d’acqua grande e sono 6,5. Offro mio malgrado 20 euro e accetto quel prezzo Ritorna nei meandri della cucina e sparisce ancora. Sarà fuggito? Quando torna dice di aspettare che ha clienti da servire. Ipotizzo strategie in caso di furto: chiamare la polizia o i carabinieri? E chi si scomoderebbe per dieci euro e più di resto? Farebbe ridere. Immagono la scena. Poi magari lui è amico delle forze dell’ordine e mi direbbero “guarda, lo fa per non andare a spacciare”. Dopo di me arriva una coppia di inglesi e poi un francese. Mi sincero che i prezzi non siano stati riservati solo a me. Ho la paura che il mio volo da bravo ragazzo – leggi jolly – autorizzi tutti a fregarmi. Non è così. La pizza arriva e pure il resto. Vado via perplesso per non aver avuto coraggio e rifiutato quell’obolo. Prendo un bus notturno sfidando anche qui le forze oscure per una passeggiata notturna verso il Vaticano. Roma è straordinaria, è bella. Peccato che quando esci dalla poesia del centro storico il resto sia da dimenticare. Quando torno in albergo si son fatte le due. Provo a prender sonno. Il lavandino ha una perdita. Sotto ci dev’essere qualche sommossa popolare, voci indistinte e urla di giubilo. Forse stanno crocifiggendo qualcuno. Non mi azzardo ad aprire la finestra. Riprendo sonno. Alle 4 e mezzo tocca ai vicini di stanza svegliarmi: dai rumori credo stiano portando un cadavere e occultandolo nell’armadio. Poi discutono animatamente con lei che rinfaccia a lui di aver bevuto troppo. Fuori ancora tumulti. Non so come ma mi riaddormento

Hola

Da Tallin a Helsinki

E da Tallin non te la fai un salto a Helsinki? Giuseppe Marcialis suggerisce l’ennesima avventura e allora è un attimo fare il higlietto per una nave Viking Line, chiamarlo traghetto è offensivo, e farsi due ore e mezzo nello scuro Mar Baltico.
Dimentico le vergognose carrette del mare italiche, la nave è un portento: saloni, lounge bar, zone bimbi, pulizia e cura. Un viaggio perfetto – qualcuno ha preso pure la cabina – e la capitale finlandese si svela fai primi isolotti. Io sorrido, un’altra bandierina, il posto più a nord dove son stato. E Helsinki si rivela gran sorpresa. “Non c’è niente”, “solo freddo” mi avevano detto. “È bruttina”, avevano rincarato altri. Niente di più sbagliato. Helsinki è una piccola gemma tutta da scoprire e basta immergersi nella quotidiana ordinata e silenziosa di questo popolo misterioso di pelle chiarissima per coglierne il senso.
Poche ore di luce, il sole è optional come gli alzacristalli sulle vecchie panda, il mio tour de force prevede pero’ un giro di esplorazione veloce che tocchi almeno i punti più importanti e si prenda il tempo per fermarsi, lavorare e pensare in qualche caffè per caso.
Il mercato, prima tappa. Capita sul tragitto ed è impossibile non passarci visto che sta proprio vicino alle partenze dei traghetti per le isole. Dopo aver passeggiato tra le sue corsie e ammirato ogni bontà (salmone, cervo, aringhe, carne o chips di renna e via dicendo) mi godo una zuppa e con un pezzo di pane di segale sormontato da salmone, granchio o gamberetti, in uno dei tanti baretti. Prezzi alti, e questo sarà la costante di Helsinki! Fuori nell’area esterna, il Kauppatori, tanti banchetti con frutta, verdura, pesce fresco e piatti pronti tutti in stile nordico. Ma davvero la loro cucina fa così schifo? Solite idiozie!
A due passi, ma sono dieci minuti, la Cattedrale luterana e piazza del Senato, uno spazio armonioso e il bianco della chiesa quasi accieca i tanti turisti che affollano la zona. Salendo le sce ci si sente Rocky di terz’ordine ma merita: si gode una bella vista verso il fronte del porto!
Un salto alla Chiesa nella roccia dove di mezzo c’è un motivo musicale. È la chiesa che non ti aspetti nella città che non ti aspetti, appartata rispetto al centro, è scavata nella roccia tanto da non essere visibile all’esterno. Dentro, i contrasti la rendono diversa dalle altre, un rifugio riadattato, una enclave, tanto da essere una delle attrazioni più visitate. Sembra più una costruzione avveniristica che un luogo di culto. Il silenzio regna sovrano e l’atmosfera è intima, grazie anche al tanto legno.
Poi c’è Uspensi, Cattedrale ortodossa che domina questa parte di città e che può valere uno stop. Dopo aver visitato la cattedrale, passo a Katajanokka, quartiere residenziale con bei palazzi e scorci sul mare. Le luci di Natale disegnano geometrie di regali, renne, stelle. Lo shopping riunisce i finlandesi in un grande rito collettivo.
Raggiungo Kallio, il quartiere dei bar, che in questa zona si susseguono l’un l’altro senza praticamente soluzione di continuità. Potete andarci dopo cena, quando si riempiono e al loro interno scorrono fiumi di birra. Io ci passo prima, fedele al mio andar contro.
Il freddo pungente, siamo a meno tre, mi sfida. Le mani gelano, ogni punto scoperto punge e il cuore comincia a battere. Cerco un bar ma trovo una sfilza di locali esclusivi dove probabile che mi prendano per terrorista. Appena leggo Gallery mi sento rilassato. Ho bisogno di una pausa, subito!
(Continua)

Un giorno a Tallin

Tallin è una città che con un po’ di buona volontà, scarpe comode e pochi fronzoli, giri in un giorno.
Dopo una sontuosa colazione negli eleganti e tetri saloni del St Olav Hotel, fatta di salsicciotti, patate, uova, pomodori, olive, pane nero, marmellata di lamponi e cappuccino – non chiedetemi con quale ratio faccia questi accoppiamenti – punto alla collina di Toompea, dove si trova anche l’omonimo castello. Fa freddo, pioviggina e ci sono poche anime che si aggirano per la città e si perdono nel vicoli ciottolosi del centro dove le botteghe artigiane, gli uffici e le scuole ogni tanto nascondono ai turisti – per fortuna! – caffè solitari per trovare rifugio.
Prima tappa è la Cattedrale di Aleksandr Nevskij, una delle Chiese più imponenti della città. Leggo che non sia amata dagli estoni, in quanto è da sempre il simbolo della chiesa russa del paese e del potere dell’impero zarista. Infatti, dal 1944 al 1991 l’Estonia fece parte dell’Unione Sovietica, ma penso lo sappiate o andiamo maluccio. Ci sono 5 grandi cupole, al suo interno è custodita la campana più pesante della città, di ben 15 tonnellate!
Ogni volta che entro in una chiesa ortodossa sono sempre alla ricerca di particolari e differenze con quelle cattoliche, come l’assenza di banchi e la scelta dell’iconografia. Mi inebriano l’odore di incenso e i gesti lenti del prete. Un fedele accende una candela e la colloca in speciali candelabri rotondi disposti di fronte a ogni icona. Poi si segna più volte guardando l’icona, poi la bacia e vi appoggia la fronte per qualche secondo.
C’è un gruppo di donne e uomini che intonano un canto, penso sia un funerale. Ne ho conferma quando all’uscita una bara viene portata fuori da una vecchia auto adibita a carro funebre.
Proseguo facendo affidamento sul mio sesto senso per trovare un caffè vicino a un punto panoramico. Nalg ja janu cafè, così si chiama. Un salotto retrò, comode poltrone, lampadari, oggetti di altre epoche, dove sentirsi al caldo e bersi un bel caffè con una bionda banconiera al bar dallo sguardo di famme fatale di un qualche james bond. Nel parco vicino dei bimbi giocano a nascondino mentre una nonna spiega un giocattolo a forma di camion a una bambina. Dal loro vestiario penso stiano aspettando il bus per andare a sciare, non spiegherebbe tanta attrezzatura! Alla cassa il caffè costa 2 euro cinquanta, sorrido di buon grado, riprendo il cammino mentre la tipa sta cucinando qualche strana zuppa in un pentolone. Non mi stupirei che nel prossimo giro ci fossero dentro proprio i bimbi del parco!
C’è la vicina Chiesa di San Nicola, un vero e proprio museo d’arte medievale, dedicata al santo patrono protettore dei marinai e dei commercianti, uno dei luogi di culto tra i più antichi della città. Al mio ingresso ci son delle donne che stanno pulendo e sistemando gli oggetti sacri con una piccola catena di montaggio attenta. Si fermano e discutono, il tema potrebbe essere che Smac brillacciaio è in offerta speciale al market vicino.
Al suo interno un museo d’arte sacra, con meravigliose opere, principalmente del Tardo Medioevo. Mi affascina la “Danza macabra” di Bernt Notke, uno dei capolavori dell’arte estone (e sì, anche qui c’è arte)!
Scendo gli scalini e riprendo il centro storico da Via Pikk, la Strada Lunga, un strada antica e molto suggestiva, ricca di meravigliosi scorci in cui scattare qualche foto. Il silenzio e il camminare ordinato rende questa atmosfera molto particolare. Questa via è famosa per ospitare le sedi delle Gilde, ovvero le antiche corporazioni della città, un tempo frequentate dai rappresentanti di varie professioni. Non perdetevi la Gilda Maggiore al numero 17, e la Gilda S. Olaf, al civico 24, ovvero la più antica della città.
La Città Vecchia di Tallinn è dichiarata Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 1997. Qui potrete immergervi nell’atmosfera e nell’anima medievale della città. Le auto sono bandite, quindi non avete problemi, è ancora in vigore il motto “il pedone ha sempre ragione”.
Passo spesso, visto che sta vicino al mio albergo, nella Rajekoja Plats, il cuore della Città Vecchia e dove si trova il Municipio di Tallin, che oggi non svolge più alcun ruolo politico o amministrativo, ma viene ospita ricevimenti, cerimonio ed è la sede di un piccolo museo di storia della città. Ancora vicino c’è la Farmacia Raeapteek, una delle più antiche d’Europa ancora attive, il più vecchio esercizio commerciale di Tallinn e da ben dieci generazioni è gestita dalla famiglia Buchard! Costruita all’inizio del 1400, oltre agli arredi originali ha anche un piccolo museo. A solo un minuto si trova la via Vene, l’antica via dei mercanti russi, oggi ricca di botteghe e locali.
Entro in una via laterale che mi ispira poi scopro che sia il Passaggio di Santa Caterina, in estone Katariina käik (ho fatto copia e incolla), uno dei luoghi più affascinanti del centro storico. E’ come fare un salto indietro nel tempo, grazie agli edifici in pietra e alla presenza di antiche botteghe e attività artigiane, dove potrete vedere diversi artigiani all’opera, intenti a lavorare ceramiche o gioielli, oppure a soffiare il vetro. Faccio un po’ di foto, provo a immortalarli e mi stupisco che ancora ci sia questo amore e rispetto per l’arte e l’artigianato. Mi stupisco di tante cose, da viaggiatore. Penso alla decadenza di molti nostri centri, ai nostri artisti e quanto la nostra creatività sia considerata inutile. Penso alla decadenza del mio paese.
Il freddo e la pioggia cominciano a combattere con me. Ma mi piace l’atmosfera, la sento poetica Trovo un ristorante vicino che sta in un piano sotterraneo di un altro passaggio tra le mura, si chiama Munga Helder. Non so se sia la marca di qualche preservativo o altro oggetto sessuale ma lo trovo interessante. Il menù ha almeno un piatto che mi piace della lunghissima e tipica descrizione presente. Penso debbano istituire prima o poi un corso “leggere i menù all’estero” perché ti spiegano tra poco anche chi lo ha cotto.
Al mio arrivo c’è solo la banconiera ad aspettarmi, una stangona di almeno due metri – forse di più, ma non mi avvicino per sicurezza – con occhiali e sguardo dittatoriale che forse si chiede che ci faccia da quelle parti e se non abbia sbagliato posto. Chiedo una birra in offerta, una tartare e un’omelette. Ovviamente se pensi all’omelette non puoi dimenticarti che dentro potrai trovarci tutta la cucina estone! E infatti, più che un’omeletta sembra la mia tasca nei viaggi. Tra un piatto e l’altro passano due secoli circa – ma che starà facendo nel mentre? -. e quando le chiedo il caffè finale – un espresso italiano, con un sorriso per dirle “ohhh fammelo bene!” – mi porta il conto, all’interno di un libro che sembrano le tavole di Mosè – ma del caffè nessuna traccia. Chiedo ancora del caffè, mi risponde ok, caffè, ma non lo porta. Capisco che il conto anticipato era un gentile modo per dire “ma quando te ne vai?”. Allora, mi chiedo: che avrò fatto di male? Forse aver attaccato il cellulare alla presa? Forse essere andato in bagno? Forse aver detto still water? Eppure ho dato fiducia a un ristorante dove non c’era nessuno, se non altri due loschi personaggi che si son presentati dopo, e non mi stupirei se fossero i protagonisti di qualche omicidio efferato in zona.
Riprendo il cammino senza una meta precisa, chiedendomi ancora quale peccato abbia fatto alla tipa del Munga Helder. Torno nelle vie conosciute girando ancora per qualche piazza interessante, come quella della Libertà . In epoca sovietica era conosciuta come Piazza della Vittoria e ospitava le parate per la Rivoluzione d’ottobre. Ora è dedicata a concerti con uno strano e curioso giro di luce pseudopsichedelica nei pali, di ispirazione sovietica, che va a tempo con le campane. C’è anche la grande Croce della libertà, un monumento alla Guerra d’indipendenze estone nel 1918. Di notte, illuminata, ha un aspetto davvero suggestivo.
Manca poco al tramonto, orario 15:30 dal mio iphone, allora un’ultima camminata prima che tutto sia notte anticipata. Cerco poi un caffè con vista sulla città, trovo il Vanalinna Rahva Raamat, che ha dentro una libreria. C’è chi studia, chi scrive e chi chiacchiera. Chiedo alla cassa una cioccolata calda, la signora di rosso vestita mi rispondono con la richiesta del green pass. Che qui non si chiama green quindi quando capisco la parola covid gliela mostro.
Mi siedo fronte strada in comode poltrone, mentre la luce del giorno va via, le auto corrono e si fermano al semaforo e una pioggia fitta inonda le strade. Un caffè anzi una cioccolata in una città sconosciuta, in una sera qualsiasi. Non conosco nessuno, non capisco la lingua. Non è forse questo il senso di un viaggio? Dopo due ore di stazionamento spensierato, tra litigate social, libri e appunti, mentre vedo cambiare i volti dei clienti ai tavoli vicini, scendo al bagno che si trova al piano di sotto. Curiosamente le porte sono indistinte per maschi e femmine. Quando vado via la città è oramai ha un altro scenario. Ho bisogno di caldo e trovo il centro commerciale. Zara, H&M, Adidas, Nike, Intimissimi. Mi chiedo perché ci caschi sempre. La mia permanenza dura il tempo di ritrovare un accettabile calore corporeo e della solita domanda “posso aiutarla?”della commessa di negozio, in questo caso Tommy..
Il centro di Tallin è ora una galassia di luminarie e alberelli a bordo strada, negozi che hanno addobbato le vetrine con cura e poca gente in giro. Tutto fottutamente bello e curato, che ti senti fuoriposto., Torno al mercatino di Natale che alle 18 sta per chiudere. Riesco a recuperare un tazza di vin brûlé che qui penso abbia una temperatura tale da non sfreddarsi nemmeno se lo si porta sull’Antartide. Alle 18:00 stanno chiudendo e pur volendo fare il bis, la tipa mi dice “ci vediamo domattina”. Cosa che avrei fatto subito un post su Fb, ma qui gli orari sono precisi e anche se ti presenti con una banconota da 500 euro non gliene frega nulla. E si gioca d’anticipo. Non è un caso che quando mi presento al ristorante alle otto e mezzo – con gli interni ambientati nel medioevo, sedie di qualche tonnellata e menù pubblicati all’epoca di Re Artu’ – anziché complimentarsi della mia scelta – hai sfidato la pioggia e il freddo e aiuti l’economia estone, benvenuto! – mi avvertano della chiusura tra 20 minuti quindi “sbrigati, eh”. Sempre una bellissima ragazza, ma con gli occhi da belva. Mangio con l’ansia di dover finire e ordinare. Mi sento assillato dalla cameriera che appena nota un gesto di rassegnazione o una pausa interviene sui piatti e li porta via. Prendo un pollo che sembra un caffellatte, visto che i porcini poi sono avvolti da una crema lattiginosa, insieme a un cesto di patate sabbiose. La birra al solito è sontuosa, ma qui è una costante. Scende alla grande. Sarà il piacere del viaggio? Per dolce tortino alle mele glassate con vaniglia. Ma la tipa diventa ansiosa quindi la vaniglia non la finisco. E col caffè arriva pure il messaggio subliminale: te ne devi andare. Rientro in albergo rinfrancato. Vorrei prendere sonno ma la coppia della stanza 202 fa scricchiolare le pareti di legno del vecchio St Olav Hotel con un dinamismo e palleggio da semifinale di Champions league tra squadre inglesi. Dopo circa 13 minuti di ostilità, lei annuncia di esser soddisfatto con un lungo gemito. Lui si mette a tossire poi va a vomitare in bagno. Vorrei aprire la porta e dirgli: signori, domani devo partire, potete scopare in silenzio? Poi dicono che siamo solo noi i maleducati….

Una sera a Tallin

Lascio Roma a metà pomeriggio. Il caos della stazione Termini, il pullman per Ciampino e ancora a chiedermi quale santo difenda i miei bagagli quando salgo a bordo.
L’autobus Terravision – sei euro solo andata – ha un compito arduo: in quaranta minuti vincere il caos capitolino e portarmi nell’aeroporto povero di Roma quelle delle low cost. Sgomita e sbuffa, suona il clacson e cerca spazi come un Sebino Nela d’annata. Alla fine vince. I tempi son rispettati, quaranta giri d’orologio spaccati.
Ciampino è un bilocale. Controllo biglietto già all’ingresso e primo serpentone da superare con una tipa che sbuffa quando le chiedo se debba mostrarle anche il greenpass. Ma non lo vede questo qui che è già troppo se sto seduta all’aeroporto invece che farmi un aperitivo? Alla fine del labirinto si può scegliere tra direzione check in e diretto ai controlli. Forte del mio zaino da spalla – grazie Edoardo Piras – posso passare alle semifinali: stavolta c’è una fila davvero. Ci son due nastri a disposizione, pochi per l’afflusso di oggi. Ricordate di togliere tablet, computer, liquidi e oggetti metallici. Una ragazza ogni venti secondi riprende la litania come se leggesse il salmo a messa, ci manca sola ora pro nobis. Se consideriamo un turno di 6 ore quante volte l’ha detto?
Il tipo dietro i metal detector davanti fa il vigile con due mani che fanno palette: passa tu, poi passa tu. Col solito modo tutto italiano di trattar male la gente. Poi penso: ora stacchiamo da tutto questo. Manca poco. L’attesa è breve, nella zona A dell’imbarco per Tallin non c’è bar e il distributore non funziona. Problemi tecnici, leggo, formula valida per ogni motivo. Volevo prendermi una bottiglia d’acqua, sconto la solita fregatura di aspettare all’ultimo. Guardo triste il bric di acqua Fiuggi che mi aspetta.
Il volo dura 3 ore che passo scrivendo, leggendomi un libro di Paul Auster e ascoltando musica. Va in scena la vendjta di tuttto, biglietti, panini, snack, profumi. Vicino a me una ragazza bionda robusta controlla i miei movimenti con fulminei sguardi di condanna mentre guarda un film con un iphone di prima generazione tenendolo per due ore davanti. Non capisco bene cosa sia anche perché quando ci provo mi rifulmina.
L’atterraggio è morbido, per una volta il comandante non frusta i cavalli imbizzarriti e sballotta noi viaggiatori che abbiamo però il sedere oramai asfaltato e i gomiti ristretti. Squillo di tromba – che sa sempre di inchiappettata riuscita – e scritta gigante bianca Tallin nel piccolo aeroporto, tra pareti brandizzate da marche semisconosciute, salette curate con interni di design e parquet ovunque. La temperatura è scesa, ci sono chiazze di neve. Cammino per uscire dalla zona imbarchi incrociando spazi ordinati, bar con caffè italiano, distributori di acqua e bibite e pochi altri rumori. Ciampino è un ricordo. Niente più caos e nemmeno controlli particolari. Uscito dalla zona protetta – mi sarei aspettato almeno una perquisizione – un bimbo con giubbotto da sci e cappuccio bianco con il padre e la sorellina aspettano la mamma con un mazzo di fiori. Escono dalla porta girevole per incrociarla sul marciapiede e quando lei si gira le fano a sorpresa. Mi commuovo per quella scena da film. Un uomo con un berretto a quadri, rughe nel volto e profumo di tabacco guarda gli orari degli arrivi. Chi starà aspettando? La moglie? La figlia? Il figlio?
Davanti allo scalo passa il tram 4, quello che ti porta in centro, oltre alla linea 2 che arriva più tardi. Vicino c’è una sala d’attesa dove stazionano due uomini che penso restino là a guardare tutti i tram che passano fini al giorno dopo. Uno schermo gigante con le info sulle linee, una biglietteria automatica, parole chiare e semplici.
Il mio tram è direzione Tondi, passa tra 8 minuti. Siamo in pochi a bordo, una donna di una sessantina d’anni con una busta piena di medicine veste un giubbotto rosso e panta neri, due ragazze di Napoli, le uniche di cui si sente parola, e un’altra coppia seduta con lui di fronte a lei che si sorridono silenziosi.
Mezz’ora di buio attorno e sono in centro di una città ordinata, geometrica, il freddo che schiaffeggia la pelle, quella voglia di coccole e riscaldamento sparato al massimo e la sensazione che tutto abbia una dimensione ancora umana. In ogni angolo alberi di natale illuminati, vetrine addobbate con grazia, poche persone in giro, tutte munite di cappuccio e guanti. Finestre accese e vita domestica da scoprire.
Sono a Viru, davanti a Tammsaare Park. Le auto scorrono lente in grandi viali anch’essi illuminati. Nuovi palazzi si alternano a vecchie costruzioni tirate a lucido e altre dal sapore sovietico. Un piccolo chiosco solitario aspetta clienti che non arriveranno più. Una fermata dove incontrare fantasmi e pensare alle loro vite. Una grande croce illuminata davanti alla chiesa che rintocca le nove con una doppia tonalità.
Io amo le città nordeuropee d’inverno! Oltre alla magia mi fanno venir voglia di mangiare.
Il centro storico (illuminato per Natale) é uno scrigno dorato, richiama i tempi del Medioevo, di cui la capitale dell’Estonia mantiene quasi inalterate le tracce nelle sue strade, case e chiese. Si estende ai piedi della collina di Toompea ed é stato dichiarato Patrimonio Mondiale Unesco.Cuore pulsante della cittá vecchia é la Piazza del Municipio, dove tra le altre cose si trova una delle farmacie piú antiche d’Europa.
Ci metto pochi attimi a capire l’anima di una città. Mi è bastato camminare per sentirmi bene. Senza sapere nulla di tutto il resto, affascinato da cose semplici, una vecchia birreria, un bimbo che gioca con la neve, due donne anziane che parlano rientrando a casa, un market aperto e un chiosco che sforna panini.
Arriva una notifica al mio cellulare: APPROVATO IL SUPERGREEN PASS. Spengo qualsiasi flusso di notizie. Non voglio saperne più nulla.
Una scritta sul muro ricorda di non buttate il tempo o il tempo ti butterà. Non credo sia un caso averla incontrata.