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Milano, strada di notte

Strada di Milano, un uomo urla e bestemmia. Sembra un personaggio di una canzone di Liga, con la 127 supersport parcheggiata all’angolo.

Gilet di pelle, basettoni, capelli lunghi che malcelano una vistosa calvizie, scarpe a punta di ferro e rayban.

Forte cadenza da confine lombardo svizzero

“Tutta colpa di quelli uomini con la divisa, porco *io, io lavoro e loro non fanno un cazzo, porteteli qui, voglio i carabinieriii!”

Sembra pronto a fare una pazzia. Vaga per la strada.

Da lontano una donna, vestita con un modesto abito da casalinga, senza trucco, si avvicina.

Lo chiama. “Roberto, Roberto!”

Lui si gira, e come per incanto smette di inveire.

Tutta la strada è al balcone, pensa al peggio. Che succederà ora?

Un momento di silenzio interminabile.

Lei ha il potere di farlo calmare. L’aspetta. Si avvicina. Lei lo abbraccia, sussurra qualcosa di indecifrabile e lui ricambia stringendola forte. Piangono. Piangono insieme. In mezzo alla strada, alla luce dei lampioni.

Dai balconi sembra quasi partire un applauso che per rispetto resta silenzioso. E forse anche questa luna padana lassù si commuove, un po’ come è successo a me, ora.

Gilet di pelle

Strada di Milano, un uomo urla e bestemmia. Sembra un personaggio di una canzone di Liga, con la 127 supersport parcheggiata all’angolo.
Gilet di pelle, basettoni, capelli lunghi che malcelano una vistosa calvizie, scarpe a punta di ferro e rayban.
Forte cadenza da confine lombardo svizzero
“Tutta colpa di quelli uomini con la divisa, porco *io, io lavoro e loro non fanno un cazzo, porteteli qui, voglio i carabinieriii!”
Sembra pronto a fare una pazzia. Vaga per la strada.
Da lontano una donna, vestita con un modesto abito da casalinga, senza trucco, si avvicina.
Lo chiama. “Roberto, roberto!”
Lui si gira, e come per incanto smette di inveire.
Tutta la strada è al balcone, pensa al peggio. Che succederà ora?
Un momento di silenzio interminabile.
Lei ha il potere di farlo calmare. L’aspetta. Si avvicina. Lei lo abbraccia, sussurra qualcosa di indecifrabile e lui ricambia stringendola forte. Piangono. Piangono insieme. In mezzo alla strada, alla luce dei lampioni.
Dai balconi sembra quasi partire un applauso che per rispetto resta silenzioso. E forse anche questa luna padana lassù si commuove, un po’ come è successo a me, ora.

Una donna in strada

Incrocio una donna, parcheggia in modo maldestro la macchina, a due centimetri dalla mia. Non puo’ uscire. Non sa fare. Io la guardo con curiosità. Inveire? Frastimare? La vedo in difficoltà. Prendo iniziativa e sposto un po’ la mia. Si stupisce.
Mi regala un sorriso unico
A volte la gente ha bisogno di piccoli gesti inattesi e disponibilità.
Ho pensato a cosa avrei risolto incazzandomi.
Ho vinto 2-0.

Verso Atene

La solita levataccia. Mi alzo ma mi sento stranamente bene. Bicchiere di acqua e limone, Colazione con fette biscottate, marmellata e yogurt, mi bombo di farmaci come un atleta che deve vincere un record mondiale truffando visto che la pancia ieri non mi ha regalato nulla di buono. Finisco i bagagli con la solita meticolosità dell’incastro, scendo e prendo l’auto. Brina e freddo. Taglio in due la città in compagnia di fantasmi auto e il primo tre della giornata.
La radio propone ‘La leva calcistica’ di De Gregori, canto come un fesso mentre attraverso i lavori della rotonda di via Cadello pensando che tra poco qui sarà un puttanaio.

Via della Pineta, casa Maurizio, mio compagno di viaggio. Aspetto giù, il riscaldamento in auto ha raggiunto la temperatura giusta, infonde calore affettuoso mentre ripenso mentalmente se ho dimenticato qualcosa. I semafori segnano arancio. Scrivo questo post per ingannare l’attesa.
Finalmente, arriva. Tiro un sospiro di sollievo. Voliamo all’aeroporto. Elmas. Milano e poi Atene. Quattro salti in giro per l’Europa. Per sentire, per raccontare, per capire. Buongiorno anche voi.

Eccomi, serioso all’aeroporto di Bergamo.

Cinque cinque quattro

Nella storia di ognuno c’è sempre una via, una strada, per qualche giorno, per qualche tempo, per tutta la vita.

Il Corso Allenatori a cui sto collaborando per l’organizzazione si svolge a Selargius, in una bella palestra scolastica sita nella periferia. Read More

Duecentottanta chilometri

Pazzie di mezza estate. Prendere la macchina una sera, salire a Porto Rotondo e andarsi ad ascoltare Bob Sinclair, uno dei dj sulla cresta dell’onda da diversi anni, in un locale bellissimo, il Country Club e poi tornare, coccolati dalle luci dell’alba, il mattino dopo.

Pazzie che ancora ci piacciono e non ci fanno vergognare mai: senza troppi programmi, decidere e agire. Follie che fanno inorridire l’esercito dei lumaconi di facebook che queste cose non le compatiscono mai, per i quali è impensabile farsi 280 km andata e 280 km per un dj (quello di “a far l’amore comincia tu….”, vedersi un’alba, ascoltare la musica e immergersi nell’odiato mondo della Costa Smeralda (ma quanti bei posti ci sono…).

Lui è stato spettacolare: grande presenza scenica, capacità di gestirsi la pista, azzeccare il giusto mix tra tormentoni e dischi pestati. Tecnicamente non ci faceva addormentare: banditi passaggi lunghi e virtuosismi da gara tra dj. Alternava momenti di cantato ad altri di puro ritmo. Poi il diletto: passare i dischi della dance anni 70 e poi tornare ancora nei giorni nostri. Come sempre fuori dagli schemi, l’idea del dj che mi piace di più, quella che si snoda dal copione e costruisce una serata divertente e ricca di spunti. La schiera dei soloni della consolle si sarebbe inorridita se qualche altro avesse messo il revival. Ma lui l’ha fatto, senza vergogne e senza reticenze. Tshirt, capello folto, un saluto al microfono, mani al cielo ogni tanto. Attorno è un lucchichio di iphone che vogliono immortalare ogni momento. Più defilati gli “over” (come si dice a casteddu) rinchiusi nei loro privè e nascosti dalle tende.

Facile dire che il Country club di Porto Rotondo sia un altro mondo. Abituati come siamo. Prima ancora della vetrina e della clientela (altra cosa rispetto al vippaio indebitato casteddaio che ha la puzza sotto il naso per non si sa bene cosa), qui la clientela rigorosamente vestita in modo impeccabile, senza le eccezioni dell’amico-di e del cugino-di (ma qua entrerei in riflessioni sociologiche, e non ne ho voglia). Il cortorno è una deliziosa spezia. La location, il Country, dominata da una piscina, è impostata più sui privè che sulla pista da ballo (angusta e con il dj ad altezza cliente, sacrilegio). Racconta l’idea di un locale per incontrarsi prima ancora che per ballare. Con tutti i gingilli per sentirsi in un luogo da vip: i marchi si sfoggiano, c’è una jacuzzi in esposizione (si tira a sorte sul prezzo, credo 15 mila euro), l’angolo del merchandasing, lo spazio htc e ancora i marchi in bella vista. Ti giri e vedi Don Perignon, Moet & Chandon, Lamborghini, Range Rover e tanto ancora.

“La nostra filosofia di CLUB che prevede educazione, rispetto e voglia di fare casino senza esagerare… sono queste le poche cose che vi chiediamo! Tanta voglia di divertimento sano”. Filosofia pienamente rispettata e non affidata a chiunquesia che scrive su facebook tavoli esauriti, ambiente selezionato, che fa il p.r. e non spiccica neanche una parole in lingua italiana, ma ad uno staff con tutti i crismi.

L’età è variegata: dal ragazzino (e ce ne sono tanti) al sessantenne probabilmente con yacht ormeggiato in zona. I mocassini (oddio) la fanno da padrone. Nessuna ossessione se c’è il ragazzino che balla fianco a fianco con l’over. L’unico obbligo è il vestiario: camicia rigorosa e niente tagli o aspetti aggressivi. Così come il personale all’ingresso, rigorosamente in giacca e cravatta, fino a qualsiasi altro membro dello staff, cordiale e professionale.

Hai la sensazione di stare non a 200 ma a migliaia di chilometri dal nostro capoluogo e dal modo di fare intrattenimento delle nostre parti. Poi capisci perché qui pagano le donne e gli uomini, senza “se” e senza “ma”. Non credo che la professionalità e l’educazione siano appannaggio solo di territori come questi. Ma, dati alla mano, sembra proprio così.

C’è molto da imparare, sempre. Ed esperienze come queste, oltre a divertirti, ti danno dei punti di riferimento per capire “dove va la musica” ma anche “dove va una parte del mondo della notte”. O forse anche dove va una parte del mondo.

Dopo l’immancabile paragone in cui usciamo (io compreso) con le ossa rotte, mi fermo a un privè e osservo la sfilata di bottiglie e drink che arrivano nei tavoli accompagnati da scintillanti. I camerieri scivolano tra la folla divincolandosi e portando a destinazione il loro tesoro.

L’alcool scorre, i sorrisi e il clima di festa dell’opulenta società che qui si ritrova nel rito non ha freni. Si balla ovunque: a bordo piscina, sui tavoli, negli angoli. Di questa società poco mi frega. Non sono un antropologo. Sono venuto fin qui affrontando la Carlo Felice e i suoi eterni lavori, i cartelli con i limiti di velocità contraddittori (cinquanta, poi venti, poi ottanta) per amore di qualcosa di più. Della musica, mia serena e compagna di vita. E per godermi una bellissima alba, quella che vedo mentre comincio ad appuntarmi qualcosa nelle mie note, accompagnato dalla musica di Keith Jarreth, mentre mi fermo a riposare per evitare di addormentarmi al volante e le auto sfrecciano come saette incuranti.

La colazione è a Tramatza. Abbasanta oramai ha fatto la storia e tra le due la prima ti dà la sensazione di fresco e pulito. Due cameriere discutono dell’ultima cena fatta a casa, della carne avanzata, di quando rifarla. Mi assiste una cassiera con una forte cadenza, ma gentile e sorridente. Mi propone anche un menù, ma nulla. La mia scelta è sempre trittico: cappuccino chiaro, cornetto alla crema e mezza naturale.

Tramatza, crocevia di tante trasferte con i ragazzi, soprattutto all’andata.

La macchina riparte oramai da sola. Io vengo semplicemente trasportato da lei. Non è più alba, è quasi mattina. C’è tempo per ascoltarsi le notizie, canticchiare e accorgersi che Cagliari si avvicina. Casa. Tempo di rilassarci e dormire, recuperare un po’ di sonno, aprire facebook, aggiornare i miei quattordicimila stati e la posta, rispondere a qualche amico che ironizza su “Porto Rotondo che non è Sardegna”, quell’altro sulla sagacia che mi manca, su piazza Yenne, che stasera siamo di nuovo in consolle. Rari Nantes, piscina party, dj set. Almeno così sembra.

A far l’amore, intanto, comincia tu.

Osservatorio disco

Ogni tanto, anzi spesso, girando per strada a piedi o in auto nella mia città guardo la gente e cerco di indovinare se chi incrocio può essere o no uno o una che viene alle mie serate.

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