Ripartenze.
Cammino nel silenzio e nella neve di Sofia. Ci siamo io, un tram, due figuri neri che si perdono nella strada e alcuni vecchi taxi col motore acceso.
Freddo di un mattino non ancora arrivato, ultima cartolina di una città sconosciuta che sento già mia, come tante altre città capaci di conquistarti senza troppe cose. La fermata della Metto è Serdica, ma attenzione prima di arrivarci si scivola. Ecco. il biglietto non funziona – “vale solo se obliterato entro i dieci minuti” dice una donna dalla finestra dell’ufficio informazioni, guardando la scena dei miei inutili tentativi. Ma io che l’avevo fatto, premuroso, ieri, per paura – le mie stupide paure – di folle oceaniche di primo mattino.
Rifaccio il biglietto. Trovare la linea non è semplice. La metro 1 fa un gran giro, quindi bisogna usare il sottopassaggio per la connessione. Ogni città ha le sue logiche che non sto qui a capire alle 6 del mattino.
Non vedo la destinazione aeroporto, allora prendo la linea rossa – destinazione Business Park – che comunque va in quella direzione, in qualche modo arriverò. Riscendo a Mladost I e finalmente vedo il treno giusto. La direzione è Sofia Airport, le fermate sono Mladost III, Tsarigradisko shose, Druzhba, Iskarakso, Sofia Sveta Gora tutte accompagnate da una voce femminile robotica. Il treno si svuota lentamente, nessuno parte in questo giovedì di neve. E chi resta non ha un bagaglio o qualcosa che dimostri un volo verso un’altra parte.
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Il mercato di Sofia
Gli spruzzi di neve della notte sono già diventati acqua. La mattina è fredda a Sofia e in due giorni la temperatura è scesa di dieci gradi. Le persone accompagnano indossano vistosi cappelli che coprono anche le orecchie.
Pochi, davvero pochi, quelli che mostrano il capo. Annuncia neve ancora nel pomeriggio.
Camminare oggi non è proprio il massimo. Sul Bulevard Maria Luiza, vicino alla moschea Banya Bashia e alla concattedrale di San Giuseppe c’è il mercato centrale.
Un mercato atipico, ordinato e curiosamente silenzioso. I banconi puliti invitano assaggi di cibi dolci e salati. Una scolaresca viene messa in fila dalla maestra di fronte a un venditore di chincaglierie. Una donna mescola un contenitore di olive nere in attesa del prossimo cliente. Il kebab comincia a rosolare lento sul fuoco mentre gli anziani presidiano i tavolini del centrale Tosca Cafè che sforna con lentezza cappuccini e caffè da una macchina che sbuffa calore.
Al piano di sotto c’è un grande negozio che vende abiti usati a peso. Scorro magliette di altre epoche, giubbotti e maglioni che il tempo ha violentato, pantaloni sdruciti, presentati pulito e stirati nel tentativo di essere utili per qualcuno.
Sofia, quando lasci i percorsi conosciuti…
Quando lasci i percorsi evidenziati nelle cartine perfettamente allineate nelle hall degli alberghi, che riportano negozi e ristoranti che mai frequenteresti, succedono sempre cose interessanti.
Sguardi, vetrine, rughe sfumature, profumi, odori, crepe, dislivelli, le nudità di Sofia, capitale della segreta e temuta Bulgaria, si mostrano con la loro ansia di nascondersi al più presto dai giudizi occidentali.
Una donna porta fuori una pizza da vendere a pochi lev. Due signore discutono davanti a un negozio di capi d’abbigliamento. Nella scuola rimbomba un pallone da basket che prova ad entrare in un canestro troppo alto per dei bambi dalle guance arrossate.
Eppure questo prendersi a pugni tra linee e architetture veterocomuniste e il vuoto cosmico dei tempi moderni, materializzato da negozi patinati e con le scritte perfette resta degno di nota. Non so cosa scegliere. Conoscendomi apprezzo più i rimasugli dell’impero sovietico.
Sofia, mattina nella città che non conosci
Sofia, mattina nella città che non conosci.
Gli odori della cucina dell’albergo della prima colazione dolce e salata salgono fino alle camere impregnando le polverose moquette di questo albergo che sente ancora i postumi di un comunismo mai completamente rinnegato.
Sofia è così, sonnolenta, abulica, poco incline al turismo di massa. La devi scoprire, la devi respirare e vivere. Troppo per un turista che vuole tutto e subito e allora non ha altro che fare che cercarsi il primo H&M rassicurante. I palazzi istituzionali e le belle e ariose vie del centro fanno da contraltare ad angoli dimenticati dal tempo in cui palazzi maltrattati si affacciano su cassonetti della spazzatura, tram e autobus che spuntano stanchi con il segno di un’epoca diversa dalla nostra ma che qui ancora porta segni visibili.
La gente parla piano, i rumori della città sono impercettibili. Le auto scorrono lente, qualche stereo con musica dance ruba il dimesso silenzio di clacson inutilizzati e il fluire morbido di donne bellissime e uomini dall’aspetto spesso trasandato e dallo sguardo non sempre amichevole.
“Domani snow”, mi ricorda il venditore di spilline che dispone con razionale e severo ordine i suoi oggetti nel mercatino vicino alla Chiesa di Alexander Nevski.
Mi fermo a un caffè in un parco di città dove la giovane cameriera si alza dal tavolo dove sta studiando degli appunti per servirmi. I divanetti sono i classici da bricocenter, quelli che trovi in qualsiasi locale che prova ad essere elegante. Chiedo caffè, specifico espresso italiano e una bottiglia minerale. Anche qui l’aggiunta no gas evita di aver sorprese.
La tipa dopo due minuti e mezzo torna, prova a sorridere presentando un caffè che sa di non poter essere all’altezza di questo italiano, mi avvicina lo scontrino. Quattro lev. Trovo nella tasca l’importo esatto, glielo porgo e la tipa riesce a stiracchiare un altro sorriso.
Accendo il computer per controllare la posta. Scrivo e preparo la presentazione per qui. Poi ci sono altri punti nella mia immensa todolist.