Quando finisco un libro è come un piccolo traguardo, qualcosa da festeggiare, specie se il genere è la narrativa: non scorre con facilità e viene più volte abbandonato e ripreso, con buona pace del filo della storia.

Ho una lentezza esasperante nell’andare avanti, e tutt’ora osservo con vergogna una pila di quattro libri “work in progress”.

Per me le storie devono essere semplici, i personaggi definiti, la trama chiara: invece accade sempre il contrario, giustamente, e mi perdo di brutto. Allora mi rifugio nei saggi, nei diari o nei manuali, quelli scorrevoli e a capitoli. Come scrivere meglio, come curare le pubbliche relazioni, come gestirsi la scrivania, come avere pazienza, come migliorare questo o quello. Ridete voi, lo so…

La celebrazione della fine lettura prevede un piccolo premio: andare in libreria e per acquistare nuovi titoli. Come oggi, in una di quelle mattine in cui, organizzati gli altri impegni, sono andato a tagliarmi i capelli per farmi “bello” per le prossime serate in disco e, nell’attesa del mio turno, un’oretta, mi sono abbandonato nelle vie di quell’immenso centro commerciale, curioso, guardando il negozio Tezenis per le mutande nuove, chiedendo il prezzo dell’Iphone, entrando nel supermercato per comprare robe inutili: sbiancante per penne, elastici, immancabili bagno schiuma e un aggeggio per automatizzare lo spegnimento degli elettrodomestici.
Pago alla cassa veloce, quella dove non ci sono gli addetti ma devi passare gli oggetti nel lettore e sentire quel godimento al “bip”, e come sempre mi chiedo “ma che cavolo ho comprato?”.

Mi perdo nelle vetrine di un luogo insolitamente depurato, a quell’ora, dai gaggi e dalle famiglie allargate che la sera lo conquisteranno e allora, aguzzando la vista e le orecchie, sarà il momento in cui si potrà capire da piccole scene, da discorsi catturati al volo, come va il mondo.
Ma prima della tosatura, si entra alla Feltrinelli, una delle mie librerie preferite. In negozi così è come se il tempo si fermasse, vorrei aver letto già tutto, mi sento in colpa per aver letto poco. Vorrei sapere qual è il titolo perfetto per me ed invece mi trovo a brancolare nel buio alla ricerca di un’idea e di una copertina che mi colpisca. Leggo qualche pagina a caso, come se poche righe raccontassero tutto. Illusione. Esco con Pessoa e l’ultimo di Severgnini: un’accoppiata strana, inedita e illogica.

C’è qualcosa di logico in tante mie scelte? Nulla.

Mi taglio i capelli mentre sfoglio uno dei libri acquistati, la brava ragazza che mi conosce si adopera con gentilezza unica e speciale sulla mia chioma, mi chiede la lunghezza davanti e sui lati, rispondo una sfumatura qui e una spuntatura sopra, esce un look “lontanamente avvicinabile” a Skrillex (ma io sono un moderato/codardo e accenno sempre a qualcosa, ma non esagero mai).
Sono da Jean Louis David, il mio parrucchiere di fiducia, un covo di juventininteristi dove mi sento sempre a casa e azzeccano il taglio giusto. Non so da quanto tempo ci vado, pur non essendo vicinissimo a casa. Esco soddisfatto, pago e mi congedo con un’acconciatura che durerà fino alla prima doccia. Poi dimostrerò tutta la mia incapacità nel sistemarmi i capelli. Usciranno sempre look random o casual.

Passate le porte automatiche delle Vele, il dramma: dimenticarsi dove sia parcheggiata la tua auto e vagare come un idiota. Segni di invecchiamento o succede anche a voi?

La giornata scorre, intensa come non mai. Telefonate di lavoro, un po’ di relax e un salto al mercatino per portare roba usata. Ci sto prendendo gusto: tra solidarietà e vendita sto svuotando casa. Mi tocca alle due e mezza un sopralluogo per riparare le pompe di calore nella nostra seconda casa e la brutta notizia: sono da ricomprare. Scheda bruciata. Altra tegola. Lasciamo perdere.

Oggi è martedì. Palestra e teatro, l’accoppiata (ancora, illogica) di questo giorno. Ma non finisce mica qui: c’è spazio, più tardi, per un salto al Preep, un locale del Corso gestito da un amico, Lele Frongia.
Non so da quanti anni conosco i fratelli Frongia, Luca e Lele. Credo che tra poco festeggeremo i quindici anni. Nati tra aule e storiche feste universitarie dove erano sempre presenti a far baldoria i mitici “Erasmus” di cui spesso tutti parlavano come motivo d’attrazione per noi poveri sardi pagu bessiusu di quei tempi, i Frongia sono l’emblema degli eterni universitari che non invecchiano mai, spirito festaiolo, viaggiatori, musica revival, pinta di birra, party nei posti più impensabili e con i finali sempre con canzoni del repertorio italiano.

Soprattutto Luca negli anni si è fatto ricordare oltre che per il suo inseparabile giubbotto husky blu (si scrive così?), per storiche feste dove il divertimento era assicurato e fare conoscenze era più semplice. Roba d’altri tempi, sembra passato un secolo, quando forse il concetto di festa era ben altra cosa, almeno nei nostri ambienti.

Proprio Luca ha appena ricevuto un riconoscimento a Bruxelles, mentre Lele, il fratello più giovane, gestisce alcuni locali in città. Sono gli antifashion, antichoosy, gente friendly, alla mano. Se entri al Major puoi capire tutto della loro filosofia: musica pop, vinili in esposizione, ambiente caldo e accogliente, personale gentile. Ti senti a casa o a casa di amici. Non hai bisogno di aver un look codificato o di essere un poser. Sono lontani gli spot a colpi di locale fashion.

La programmazione é variegata e molto originale: ogni tanto, per esempio, viene organizzata una serata dove i clienti portano i loro vinili e li passano nella consolle. Party universitari, feste, live music. Il Capitan Preep di via Zagabria è invece un locale vintage che ricorda molto quelle mansarde dove ci sono esposti i preziosi cimeli di una vita: al posto dei quadri le foto degli amici, le cartoline, gli stendardi, i segni di anni vissuti intensamente. Un grande club di amici, dove i tavoli servono per poggiare giubbotti e birre, non per fare sfilate di supponente classismo cagliaritano, quello che fondamentalmente mi infastidisce.

Torno a casa con una gran voglia di scrivervi una giornata normale di tixilife. Metto benzina ad un automatico mentre, vicino a me, una cricca di persone di mezza età discute di qualcosa in penombra. Strano orario e luogo per una riunione.
Cifra trenta euro nel display, chiudo il tappo e vado via. Ceno con quel poco che ho in frigo, accendo la pompa di calore per riscaldare la camera e poi s’illumina l’ipad. Litigo con il cavo dell’antenna della tv che ogni sera sembra voglia non farmi vedere le reti Rai. Segno del destino? Mi arrendo per un attimo, ma già vedo che l’alternativa è Mediashopping. Meglio provare a far funzionare la presa, che sorbirsi le televendite Mediaset. Ci riesco, ma so bene che domani ricomincerà dovrò ancora trovare la posizione giusta, e ancora dopodomani, prima di decidermi a chiamare l’antennista.

Oggi al corso di teatro abbiamo terminato Sofocle, una prima infarinatura s’intende. Ho fatto il morto in una scena. La lezione più bella del nostro maestro Elio che incita noi corsisti a liberarci di paure e provare a dare il massimo senza timore, con cui chiudo la nota di oggi, è questa: “Bisogna iniziare a sbagliare di più, smetterla di trattenerci per timore di essere ridicoli, così troviamo la strada giusta“. E soprattutto, aggiungo, la felicità.

Ps: dimenticavo! Domani anzi oggi 31 ottobre mi potrete sentire come dj alla discoteca Charlie (per i più giovani) e più tardi al Jko  😉

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