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Siviglia, tornare è sempre bellissimo

Tre giorni di viaggio a Siviglia, un luogo dove tornare sempre, caldo, accogliente, movimentato. Una città come un dipinto impressionista che si muove e respira.

Sono arrivato ripetendomi nella testa una frase banale e ricorrente: “Non sei triste, hai solo bisogno di un po’ di Andalusia”.

Siviglia sa fare il suo. È una città dove tornerei sempre. Cuore dell’Andalusia, nel sud della Spagna. Aggiungo tutta l’Ansalusia che ha un’energia speciale e merita sempre un viaggio, specie nei momenti di ansia e stagnazione personale.

Comincio dalla sua bellezza, attraverso l’architettura moresca. Siviglia è un gioiellino. La città è piena di capolavori come l’Alcázar, un palazzo reale con giardini geometici, e La Giralda, l’iconica torre campanaria della cattedrale di Siviglia che offre una vista panoramic sulla città. Non può mancare un salto, dopo una bella camminata dal centro, in Piazza di Spagna, una delle piazze più maestose che io abbia mai visto, circondata da un canale e decorata con ceramiche colorate: ogni volta che ci passo ci sono nuovi angoli e particolari da scoprire.

Siviglia e tutta l’Andalusia hanno un’altra rara qualità che ritrovo quasi sempre nei miei viaggi in Spagna: ti invita stare sempre in giro, goderti tutti gli angoli, camminare per le strade e lasciarti trasportare dai rumori, dagli odori e dalla musica, entrare in un bar, farsi una cerveza fresca, chiacchierare e lasciarsi andare. Il flusso che non si ferma e che vede protagonisti soprattutto i giovani che qui trovano delle Università di prim’ordine.

Da dj le mie orecchie sono sempre sintonizzate sulla musica. Siviglia è la patria del Flamenco, l’espressivo genere di musica e danza tradizionale spagnola. Ci sono in giro spettacoli autentici e coinvolgenti, ma anche suonate gitane. Ne trovi nei porticati in piazza di Spagna oppure vicino alla Cattedrale, in quasi tutte le ore del giorno. Una pausa musicale che merita.

Cammino sempre per le sue strade strette, con i balconcini, i piccoli bar – nel Casco Antigo ti suggerisco il popolare Er Tito – e i negozi datati. Stimoli sensoriali, patchwork di colori, suoni e odori che si fondono in una sinfonia caotica e gioiosa.

Come un moderno flaneur, mi lascio guidare ogni volta dall’istinto e dalla curiosità, pronto a scoprire ogni tesoro nascosto ma anche a riabbracciare quello che ho visto negli altri viaggi, magari con nuove consapevolezze.

La sera, che sera! Le strade si riempiono di vita e allegria. I bar, i ristoranti e le terrazze si animano di persone che si godono la vita. C’è un’energia che ti entra nelle vene. Tapas e gastronomia andalusa ti conquistano, con le crocchette di jamón, le patatas bravas e il salmorejo.

Un buon ristorantino economico è il Bodega de San Fernando in calle San Fernando dove potrai anche scegliere anche una semplicissima ma curata insalata detox (e non è così scontato trovarla). Un aperitivo invece è consigliabile nella plaza de San Francisco, anche questa animata di musica. Le opportunità sono davvero tante e troppe da raccontare!

Prima di partire mi godo un aperitivo tinto d’arancio in un baretto di nome Kiosko Bombay, davanti alle acque del Guadalquivir. Con una bella selezione houseggiante del dj locale, vedi il tramonto che scende sulle case, con un misto di meraviglia e nostalgia, consapevole che momento sia il miglior saluto alla città.

Contrasti e energia, cara Siviglia! Ogni angolo racconta una storia, ogni vicolo nasconde un segreto sotto forma di baretto o negozio curioso.

Promessa di inizio racconto rispettata: Siviglia ti dà qualcosa che ti manca! Magari sono riuscito con le mie parole a trasmetterla.

Sitges e la Catalogna, le due facce della Spagna

Prendere i treni di notte in stazioni vuote è una ginnastica per l’anima.

Lascio Sitges come sta per piovere.

La vitalità di queste città iberiche sul mare, così uguali con il “solito” lungomare di spiagge lunghissime, ristorantini, caffè , case basse e centro storico medioevale è sorprendente.

Ogni angolo rivela una ricchezza di storia e cultura, unendo il passato e il presente.

La Spagna e la Catalogna sono così, l’ho capito: tradizionali e rispettose del passato, tenuto orgogliosamente vivo delle insegne dei negozi fino alle feste religiose, ma pure consapevoli del presente e del dinamismo della società. Un compromesso, come nella lingua che rimastica i termini inglesi e li propone nella versione locale.

Si respira sempre una grande vitalità. La musica, il movimento continuo della gente, le birre come fosse una fabbrica, l’olio in ogni dove, la spiaggia come un agorà, i bimbi che giocano ovunque a pallone con le maglie del Barcellona, i parchi e le piazze affolate di giovani e anziani e la chiacchiera quasi fastidiosa della gente.

Non a caso qui è passato, leggo, anche il Modernismo catalano. Gli artisti continuano a trarre ispirazione perché l’aria sfuggente glielo suggerisce.

Ho incrociato così la storia di Santiago Rusiñol y Prats, artista, scrittore e drammaturgo catalano che ha esercitato in un’epoca di impressionante effervescenza nella cultura di una Catalogna borghese e cosmopolita.

La Chiesa di Sant Bartomeu i Santa Tecla, quella che si nota in ogni cartolina e foto, sembra quasi tuffarsi in acqua. Una bella scoperta all’interno: è ricca di ornamenti e di particolari. La trovi vicina al mare – strano, rispetto al solito – una sentinella silenziosa, un baluardo dalla furia delle onde che oggi non hanno dato tregua. Divide la città in due, così come due spiagge, la Platja de Ribeira e de La Fragata e quella di San Sebastià.

Proprio vicino alla Chiesa c’è il museo del Cau Ferrat fondato da Rusinol per conservare e mostrare la sua collezione d’arte. L’ha donato alla città per l’affetto che provava.

Quanto l’amore per gli artisti ha dato lustro alle città? Ma questo amore non va isolato: è poi attaccamento continuo di chi ci vive.

Da Siviglia in autobus verso Sud, destinazione Tarifa

Da Siviglia in autobus destinazione Tarifa ci vogliono ben tre ore. Dovrei farcela. Poi ci sono i fuori programma. L’aereo da Cagliari tarda mezz’ora. Problemi di autorizzazioni al decollo, spiega il comandante con un forte accento inglese.

Prima di raggiungere la aiuola di sosta qualcuno si alza e viene rimproverato al microfono da una hostess. Stesso rimprovero per un gruppo di turisti che sosta in pista in attesa forse di altri compagni viaggiatori. La grande scritta SEVILLA e un sole secco e deciso mi abbracciano quando arrivo nel sud della Spagna. 

La prima cosa quando arrivo in un altro paese è allontanarmi dai connazionali: sì, capisco che forse per alcuni sembrerà strano, ma non voglio più sentire una parola di italiano e abbandonarmi al luogo.

Il tempo è poco, ho il bus alle 14 in punto, meno di un’ora per andare in stazione, una follia se dovessi utilizzare il bus che collega l’aerostazione con il centro città. Manovro con il cellulare: la scelta è tra Cabify, che non ha mai usato, e Uber. Che bellissima invenzione è Uber e per fortuna in Spagna ancora resiste. Venti euro per la stazione Plaza Das Armas. Il budget va subito a farsi benedire, ma non ho altre scelte. Perderei il biglietto del bus e non so.

Il mio autista si chiama Pedro Jesus e arriva con una corolla nera. Lo seguo impaziente dall’applicazione. Le indicazioni dicono di andare a sinistra, e trovare il parcheggio. In realtà lui mi aspetta al parcheggio davanti. Per fortuna scrive. Lo ritrovo nella selva di auto che aspettano altri clienti. Forse Uber non può avvicinarsi per un qualche patto con i tassisti. Controllo le targhe, eccola!

“Nìcola!”, mi grida qualcuno. Sbuca da lontano l’autista con un sorriso e mi aiuta subito per lo zaino. Viaggio leggero, senza impedimenti, da un po’ di tempo. Lo zaino è l’essenziale e viaggio dopo viaggio ti misuri sulla ricerca del minor peso. Ad ogni viaggio posso ancora togliere qualcosa!

Siviglia è come me la ricordo. Bianca, sontuosa, soleggiata. La macchina costeggia il Casco Antigo, mancano dieci minuti alla stazione e per puro scrupolo riguardo il biglietto del bus. Sai quelle volte che vuoi essere sicurissimo di non sbagliare? E infatti, ecco l’errore: non parto da Plaza das Armas, la stazione grande, il terminal di città, ma da Prado San Sebastian! E dov’è?  Quasi mi vergogno di dirlo al tassista, ma poi trovo coraggio per dire che ho sbagliato, in un mezzo italiano, spagnolo e inglese figlio della fretta e della paura. Lui mi capisce e non so che accada in questi momenti, specie con Uber e con una prenotazione. 

Siviglia ha una tradizione di stazioni sbagliate con me molto interessante: tre anni fa per poco non perdevo il treno sbagliando la stazione. Là il tassista fece davvero miracoli violando almeno una decina di articoli del codice della strada e facendomi salire sul treno cinque minuti prima. O forse il tempo si fermò per me! 

Pedro Jesus mi chiede di ricambiare la prenotazione dall’applicazione, spenderò 2 euro in più. La stazione sembrava più vicina ma è quasi sul fiume Stura. Seguo il percorso sul cellulare, ansioso: arriverò otto minuti prima della partenza. Ne mancano diciotto, ma non si sa come a un certo punto Google Map si aggiorna e diventano cinque. Sospiro di sollievo. Tutto quadra! Un colpo fortunato.  

La stazione di San Sebastian, incastrata in un labirinto di strade, è piccola. Partono e arrivano i bus da tutte le province dell’Andalusia – Cadice, Cordoba, Jaen, Almeria, Malaga e Granada – e dalle principali cittá spagnole. Che bellissima invenzione è Uber e per fortuna in Spagna ancora resiste.Stazione di Prado San Sebastian, Siviglia

I bus in Spagna collegano tutta la penisola con un servizio davvero efficiente, nulla a che vedere con le sgangherate mobilità di casa nostra. Vengono puliti anche durante i tragitti, hanno connessione wifi – non sempre efficiente, dico il vero! – e son comodissimi. I tempi non son di certo quelli del treno, che comunque non vi fa arrivare ovunque in Spagna, ci sono ampie zone dove di rotaie non c’è nemmeno l’ombra, ma c’è la bellezza di una ulteriore lentezza, di vedere i paesi con un occhio più spensierato e senza spendere troppo. Mezza Spagna l’ho girata così!
Chiedo a un autista della compagnia Omes vicino al bus con la scritta Algeciras se passi anche per Tarifa. Mi dice che non è il suo mezzo e poi aggiunge “unos nueve!” indicandomi poi la piattaforma 19. Il bus non c’è ancora. Ho tempo per comprare una scorta d’acqua per riempire la borraccia e andare in una toilette dal sapore franchista. 

La stazione ha colori gialli e bianco, una serie di panchine al centro e una ventina di piazzuole di sosta. Alla partenza c’è una famiglia araba, una coppa di tedeschi, e ancora un signore che legge un giornale da cui non si stacca per buona parte del tragitto e altre donne che viaggiano da sole (una di queste scoprirò essere pure sarda!). Altri arrivano un attimo prima della partenza, ottima tempistica! Io non ce la farei!

L’autista controlla la mia prenotazione online, mi guarda e mi dà l’ok per salire. Prima di partire e salire urla in stazione “Algeciras” come ultima chiamata. Una signora si avvicina e cantilena che prenderà il prossimo. L’autista le risponde di fare come vuole e la salute prima di chiudere la portina con lo sbuffo.

Usciti dalla città affrontiamo chilometri e chilometri di campi e terre seminate. Ci sono campi di girasole, canna da zucchero, fichi e file di alberi lontani. Amo i tempi lunghi dei viaggi, mi fanno fare ordine nella testa. Mi chiedo sempre se debba lavorare, scrivere o semplicemente godermi il paesaggio attorno. Nel volo aereo ho rimesso ordine agli impegni di questo periodo, ho pensato, ho finito un libro da leggere, ho dato senso ad alcune cose che non si smuovevano. E anche ora che sono in pullman, amo quella leggerezza che mi permette di stare così, solo con i miei pensieri, senza nessuna altra distrazione. Non devo far altro che aspettare l’arrivo. Saranno ben tre ore, c’è una persona che guida per me, un mezzo che dolcemente scivola su una strada, nessuno che mi aspetti e nessun appuntamento in vista con lo stress del dovermi spostare in auto. 

Ripenso alle uscite ogni giorno, al traffico che da quando ho vissuto a Milano odio sempre di più – quello di Cagliari è roba da dilettanti, ammettiamolo – allo stress di dover conquistare un posto, di dover stare attenti agli inganni della circolazione, alla corsa senza fine degli altri. La macchina è uno dei fattori di maggior stress, insieme ai social e a whatsapp!

Da tanti anni ho provato a mettere una marcia più bassa. Sono consapevole che non sia possibile più correre. Mi godo il viaggio come impegno di lentezza e consapevolezza, come esercizio di gioia.  In cuffia arriva un giro di note finale dei Gotan project con Diferente, mi prende un momento di emozione verso il terzo minuto tanto che mi scendono due lacrime. Quel remix di malinconia, nostalgia, tristezza felicità si insinua nella pelle. Saudade, che ti prende e ti sorprende quando meno te lo aspetti. Camminando in un lungomare, in un tramonto o in un viaggio, magari anche semplicemente sotto casa. E allora ripensi al tempo che passa criminale, ai ricordi che svaniscono, a dove sei, la bellezza diventa un tutt’uno che ti obbliga a spendere bene il tempo, a non perdere un attimo della vita.

In autobus c’è una lieve musica arabeggiante. Il paesaggio non cambia, scivoliamo leggeri verso Sud. Ogni tanto si vede il mare e piccoli paesini. La prima sosta è Puerto Real, la stazione è una fermata davanti a un baretto di nome Nakalera. C’è uno spazzino con un gilet giallo che taglia una tortilla di patate con una birra in lattina rossa e tre uomini che si contendono una partita a carte con una bottiglia, serviti da una donna con pantaloni cachi. Non ho capito bene se qualcuno scenda o salga, riprendiamo la strada e siamo due passi da una grossa laguna e in fondo industrie e gru mostruose. E’ Cadice, non posso dimenticare mai il suo profilo. Eppure dietro quella civiltà industriale e allarmante, quasi fosse una novella Indastria che fuoriesce dalla laguna, si nasconde una città fantastica.
Cambio la playlist e punto sul NeoTango dove c’è un pezzo di un Bajofondo. Gli associo ai Gotan Project ma sono una formazione musicale di musicisti argentini e uruguagi. Si definiscono “collettivo di compositori, cantanti ed artisti”. Anche loro fanno questo delizioso elettrotango con quella carezza malinconica. Una loro canzone, Pa’ Bailar, diventa la colonna sonora per decine di chilometri. Hai presente quando un pezzo ti entra nella testa? Spensierata e divertente, un po’ scanzonata con questo lead strano che penetra le orecchie. 

Presa la A48 ci dirigiamo verso Chiclana de la Frontera, allontanandoci di nuovo dallo specchio d’acqua. A San Fernando la poesia viene annientata tra centri commerciali e stabilimenti, distributori e supermercati troppo grandi, cartelloni pubblicitari e concessionarie d’auto. Prendiamo direzione per Algesiras e Malaga, per tornare a costeggiare l’oceano che tra poco sarà Mar Mediterraneo.Paesi della Spagna

A Chiclana de la frontera scendono una decina di persone. Non so perché ma le conto. C’è una donna con un abito nero che ha un grosso fagotto e si fa aiutare da un giovane e un ragazzo che sale, mostra una tessera, ma viene rifiutato dall’autista. Così va via senza nessuna discussione. Vicino alla fermata, c’è un parchetto con bimbi troppo grandi che si arrapicano in scivoli e altalene, una donna che tiene un quaderno e studia con la figlia che ripete qualcosa guardando in alto, come a chiedere al cielo i suggerimenti. Ridono, insieme. Forse starà recitando una poesia? Un’altra donna ha un carrello della spesa che sembra un trolley gigante che spinge con estrema lentezza fermandosi ad asciugare il volto. Attorno è un insieme di piccole palazzine che compongono un quartiere popolare fatto di spazi ampi e zone dove incontrarsi e passare le serate. La tipica architettura urbanistica delle città spagnole che vuol dare occasioni di socializzazione alle persone.

Usciamo dal paesino e il paesaggio è sempre più arso dal sole come la destinazione diventa Sud. Se non sapessi di essere in Spagna potrei dire il Campidano in Sardegna, stessi colori, stesse visioni. Inizio a litigare con il cellulare che è appeso alla presa USB sopra il sedile. Cade più volte ma per fortuna non si fa nulla. La mente brucia di pensieri disordinati più dei geometrici campi, ognuno con le sue casette bianche, le finestre azzurre, capaci di resistere al sole di qualsiasi stagione. La scritta Burger King mi riporta al mondo moderno, nonostante un baretto dimenticato da Dio con una scritta azzurra su sfondo bianco La Vega e la sua offerta: si vedono miele, panini, spremute e colazioni. Non capisco l’associazione dei prodotti ma son certo che quel cliente solitario con un capello nero abbia trovato la sua birra giusta.

Tutto è poesia finché non ti imbatti nelle zone industriali fuori dai paesi, fatti di capannoni e di fabbriche, di costruzioni finite o a metà, residence perfetti che aspettano frotte di rumorosi turisti con annessi campi di Padel. Allora le forme bianche delle belle casette di campagna o che si affacciano sul mare diventano corpi senz’anima. Certo, l’economia, il lavoro, la modernità. Tutto questo fa parte del mondo che viviamo. Ma la poesia è altra cosa.

  “Conil, Conil!” urla l’autista, “dieci minuti per andare al bar o in bagno”. Scendono in tanti, non so se per andare via o rilassarsi. Due ore e mezzo di viaggio non son poche! La stazione di Conil è un grande capannone con quattro posti pullman, un baretto e quattro panchine. Un ragazzo sta aspettando qualcuno. Controlla e ricontrolla il cellulare e si guarda attorno: è  una ragazza. Quando si vedono l’abbraccio è infinito, dura troppo per essere un semplice ritorno. Due ragazze si raccontano segreti e storie con ampie nuvole di fumo davanti, inginocchiate in un blocco di marmo e un pacco di patatine da sgranocchiare. Due donne, non più giovanissime, sgranchiscono le gambe con movimenti circolatori coordinati. 

Quando ripartiamo ritroviamo ancora una distesa di campi stavolta animata dal moto circolatori delle pale eoliche. Perdo il conto di quante ce ne siano e quando la strada si fa una lingua d’asfalto lunghissima, lo spettacolo di questi marchingegni meccanici diventa  allarmante. Un gruppo di mucche prendono il sole chiedendosi il motivo per cui l’uomo violenti così il paesaggio. Anche qui è la civiltà che chiama e guai a discutere su questi modelli di sviluppo, potresti essere additato di arretratezza e anticonformismo radicalchic.

Finalmente mare, una lingua di sabbia infinita e tanti kite surf. Ci avviciniamo a Tarifa. Un’auto fa un sorpasso al limite del codice (penale) tanto che l’autista urla un violento “coglione!”. Qualche minuto in più e in meno e sarebbe stato uno scontro frontale, e non credo con conseguenze leggere. Ci pensate a quanto la vita sia un insieme di centimetri e di minuti? Spesso per pochissimo tutto può cambiare. Si chiamano coincidenze, sono quelle del destino. Essere nel posto giusto, al momento giusto. E magari vederne concretizzate altre: un incontro casuale figlio di un ritardo, una persona conosciuta incrociata in una metropoli, un volo perso che ti salva la vita. Oppure soccombere per quel caso del destino. 

La sfilata di colorati negozi per surfisti con scritte e bandiere diverse, prima ancora di uno sguardo all’orologio, mi dice che siamo arrivati. Finalmente! Tarifa, la stazione è un box, troppo piccolo per essere vero. Il sole colpisce ancora ma un vento fresco schiaffeggia la faccia. I ricordi affiorano, quanto tempo fa son passato? Avevo scritto un altro post! Una donna che viaggiava con me si avvicina: “Sei sardo? Si sente!”. Ha ascoltato una mia chiamata con mio fratello. Avevo fatto di tutto per non disturbare gli altri. Non ci son riuscito.

Un giorno a Siviglia

Un giorno a Siviglia. Dal Portogallo alla Spagna cambia tutto e siamo a un’ora di auto. Lingua, sensazioni, anima.
Siviglia è sempre bellissima! Mi stupisco ogni volta che ci passo.
Una frase di Antonio Gala recita che recita :” Il male non è che i sivigliani pensano che hanno la città più bella del mondo… il peggio è che può essere che hanno ragione”. La capitale andalusa ha veramente un “colore” speciale.
Certo ci sono città nel mondo anche più belle, ma quel che rende preziosa Siviglia è sicuramente il sole, il caldo e la gente.
E mi son bastate poche ore per riannodare ricordi. Sembra sia sempre il momento di una “Cervecita”, i bar sono frequentatissimi sempre, c’è rumore, movimento, dinamismo.
Il centro storico è enorme. C’è la cattedrale gotica più grande del mondo che non capisci mai da dove fotografare, di fianco c’è la Giralda (simbolo della città) e l’Alcazar reale (una fortezza araba costruita durante la dominazione araba in città), poco più in la c’è l’Archivio delle Indie, altro punto di interesse in città.
E poi i profumi: d’azahar (il profumo dei fiori di arancio) oppure d’incenso.

Le luci della sera, la campana della metro che passa tra vie piene di gente, il primo fresco che fa l’occhiolino con educazione all’inverno, i monumenti che si stagliano davanti, i camerieri che preparano le tapas in bar affollati fino a tardi, il rumore di un flamenco che si perde nell’aria.
Sono qui, in una città bellissima e vedo uno spoiler di Natale con il fumo che sale dai venditori di castagne e i mercatini già aperti. Sono qui, perduto e ritrovati, a chiedermi sempre perché debba partire ma poi voler tornare a casa. Per aver una scusa per ripartire domani.
“Ogni viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi”

Ma ora son stanco, un pochino di siesta e poi si riparte!

Visitare Valencia in un giorno (anche meno)

Farsi abbracciare dalla leggerezza e allegria spagnola in una bellissima destinazione che si chiama Valencia.

Prima tappa di questo viaggio di lavoro é un ritorno, una città tra il moderno e l’avveniristico. Un posto dove sentirsi a casa, un calore incredibile attraverso la gente, i colori, il mare, i monumenti e la tecnologia. Che sia giorno o notte non fa alcuna differenza, l’atmosfera è sempre magica.

Tocco terra spagnola nel pomeriggio quando un sole rassicurante fa pensare a un fine primavera. No, é novembre, eppure c’é qualcosa di bello nell’aria che ti racconta la voglia di star sempre in giro.

Il tempo qui é sempre mite, la media temperatura é 18 gradi con 300 giorni di sole all’anno.

Valencia è compatta, pulita, elegante, con ampi spazi pedonali, pavimenti in marmo, il centro storico da girare a piedi, altrimenti ci sono bus e metro ma vi serviranno giusto per raggiungere l’Oceanografico o il mare.

Se si ha poco tempo bisogna ottimizzare, ma senza stress da turista imbruttito. Adoro abbandonarmi al flusso della gente e alla curiosità del momento. Adoro sentirmi un abitante di ogni luogo che visito.

Una salto alla Cattedrale non prima di aver fatto un primi aperitivo tipico con una vasta scelta di pinchos, ovvero stuzzichini paragonabili alle tapas con tante varietà e gusti. Qui costano 1,50 euro forse è il più caro ma ci sono anche i valenciani a mangiare quindi sospetto che sia il migliore.

I prezzi sono clamorosamente bassi. Per 7 euro ti fai un aperitivo con tapas, per meno di 10 euro una corsa lunga in taxi, un alloggio costa dai 25 euro in su.

Alla Cattedrale si arriva percorrendo Calle de san Vincente Màrtir. Chiesa che rappresenta la storia architettonica della città, ha tre diversi accessi: Puerta del los Hierros (barocca), Puerta del Palau (romanica) e Puerta de los Apostoles (gotica).

Dal Miguelete, la torre della cattedrale, si può godere di una vista panoramica di tutta la città. Sembra che all’interno della struttura, precisamente nella cappella del Santo Graal sia custodito il calice che Gesù ha utilizzato durante l’ultima cena. Miti e leggende.

Non poteva mancare un salto alla più periferica città dell’arte e della scienza, dopo aver camminato per i Giardini del Turia, un vecchio letto di un fiume diventato parco urbano con spazi verdi, attrezzi sportivi, piste ciclabili, parchi gioco, angoli romantici e tanto altro.

Al Museo della Scienza ci arrivi con un taxi.

Già da lontano questa stupenda opera – anche di sera – attira l’attenzione e man mano che ci si avvicina si rimane sempre più sbalorditi per la bellezza che prende il sopravvento sull’incredulità e sulla curiosità.

Ideato dal celebre architetto Santiago Calatrava, racchiude 5 attrazioni, precisamente l’Oceanografic, l’Umbracle, il Palazzo delle Arti, il Museo della Scienza e l’Hemisferic.

Il sole é andato via e ora Valencia é sfavillare di luci, botteghe che si accendono e profumi di ristoranti. Non nascondo la mia emozione e sparo in cuffia una canzone malinconica che mi possa accompagnare in questo passaggio tra la luce del sole e quella dei lampioni.

Torniamo in Plaza ayuntamiento dove c’é la sede del Comune, da cui prende il nome.

Ci si incammina per Avinguda de Maria Cristina, piena di negozi e caffé, per raggiungere i pochi minuti il Mercato centrale. Una struttura imponente in acciaio con vetrate colorate e ceramiche dipinte a mano. Il Mercato é chiuso ma ne apprezzi la struttura elegante e le geometrie.

Attraverso plaza del Mercado arriviamo a la Lonja de la Seda, cioè il Mercato della Seta, centro delle attività commerciali e culturali agli inizi del XVI secolo. Patrimonio dell’Unesco dal 1996, la sua architettura tardo gotica la rende imponente e affascinante. Oggi è sede dell’Accademia Culturale di Valencia.

La notte fa rima col Barrio. Questo quartiere del centro storico di Valencia, è nato intorno al Convento del Carmen. Ancora sono aperti i deliziosi negozi di artigianato locale o negozi di vestiti di seconda mano e di marca; di notte il Barrio si anima, poi, per i locali che riempiono le stradine del quartiere.

Nel Barrio del Carmen bisogna assaggiare la paella, le tapas o il tipico cocktail locale, la Agua de Valencia.

Le piazzette si animano di gente come nella più classica delle tradizioni spagnole.

Il quartiere, il vicinato, le chiacchiere sottili e la musica, gli anziani e i giovani. Un modo di vivere che mi manca.

Tutto é un quadretto di leggerezza e magia che puoi accarezzare solo qui. E se é vero che la sera porti una sottile malinconia nell’aria, é vero anche che é difficile trovare posti dove sentirsi sempre a casa. Valencia é uno di quelli.

Barcellona, un’altra possibilità

“Quando si dorme all’aperto ci si sveglia sempre all’alba, e non c’è un caffè a Barcellona che si apra molto prima delle nove.”

(George Orwell)

Qualcuno mi chiede perchè io sia spesso a Barcellona. E’ possibile amare una città fino all’anima? E’ possibile avere un rapporto speciale con un luogo?

Molti credono che l’amore passi sempre e solo per le persone. Io rispondo: anche. Poi ci sono le mille cose che ti rendono felice nella vita e tra queste ci sono i luoghi dove sei stato bene.

Molti intrecci miei personali finiscono a Barcellona. Il mio primo viaggio scolastico, nel 1985. Il calcio. La canzone degli Zero Assoluto. Il mix perfetto tra la velocità metropoli e l’anima del vicinato. L’allegria. La musica. La politica. Le fughe alla ricerca di me stesso. Le notti infinite nelle discoteche del Porto Olimpico.

Eppure Barcellona non mi piaceva. Io amo la Spagna. L’ho vista, girata, assaporata. Con lo zaino e i bus dell’Alsa. Camminando verso Santiago. E la Spagna non è Barcellona. Ma un giorno questa idea è cambiata, quando ho capito che questa città fosse una dimensione perfetta per quello che cercavo. Allora ho deciso: amerò senza distinzioni l’una e l’altra.

Barcellona ti ruba con la sua meraviglia, quando le prime luci dell’alba rischiarano le strade silenziose, mentre la gente torna a casa dalla festa e gli addetti del comune lavano le strade lercie ridando nuova freschezza. Quando la sera si accendono le luci e ti perdi solitario nelle viuzze del Barrio Gotico, del Raval o di Gracia alla ricerca di un posto dove mangiare.

Ti ruba con quella sensazione di libertà e leggerezza che si trasforma in voci e musica per le strade, piazzette che si aprono d’incanto dove incrociare giovani e anziani,  baretti nascosti e librerie, bandiere indipendentiste che spuntano nei balconcini che osservano e benedicono i bambini che giocano a pallone sulle strade con le maglie di Messi.

Il Barrio gotico, decadente e suggestivo, ti regala sempre a qualche angolo nascosto in cui puoi perderti e con l’istinto trovare una chiesa, Santa Maria del Mar, la più bella tra le chiese.
Ti ruba il Raval, dove sono stato spesso per via della mia “casa”, un quartiere multietnico e un tempo covo di intellettuali e artisti, oggi pieno di strani personaggi, non sempre raccomandabili, mignotte e migranti.

Ti ruba l’anima quando fuggi delle inflazionate Ramblas e ti vedi aprire il Port Vell e la grande passeggiata fino a Barceloneta, altro mondo incantato da scoprire fino all’alba quando è d’obbligo bere un mojito in uno dei tanti Chiringuiti e osservare da lontano il profilo dell’Hotel Vel, uno dei simboli della rinascita.

Barcellona è stata questi anni la mia America, i miei weekend, i miei eventi, il Sonar, il Brunch, il BBF, le mille scoperte. Perchè quando smetti di fare il turista e diventi una via di mezzo tra viaggiatore e abitante cominci a vederla nel suoi particolari intimi. Il mercato di Santa Caterina, Gracia e i suoi ristoranti o lo skyline della città dal Bunker del Carmel.

Un giorno, salendo in questa altura spesso sottovalutata da tanti, iniziai a ripensare a tutte le cose fatte in questa città e a quelle che avrei voluto fare.Tuttavia, tutte le esperienze e le emozioni, positive e negative che questa città mi hanno trasmesso, hanno comunque creato in me un sentimento e una voglia di tornarci sempre.

Magari, un giorno, ci concederemo una possibilità. Reale e non più fuggente.

Barcellona, forse venticinque

Alla venticinquentesima volta che ci vado forse comincio a capire che Barcellona è la mia seconda casa e mischiarmi come se fossi uno di loro, studiare lo spagnolo, prendere contatti per lavoro e serate da dj, affittare una stanza e vivere normalmente e perdersi è sempre un piccolo passo avanti, un cambio pelle, un tuffo nel mare.
Allora ti trasferisci? Allora quando vai a viverci? Ma quanto spendi? Ma chi te lo fa fare? Ma perchè Barcellonav
Comporre e ricomporre.
Le persone non vedono mai le sfumature della vita, detestano la differenza, le incertezze, ragionano per scatoloni attaccati con lo spago e non hanno sogni da coccolare.

Ma chi lo dice che uno non possa vivere in tanti posti, pensare oltre, prima che qualsiasi luogo e pensiero e stupida convinzione lo rammollisca? Chi ha deciso che si debba nascere e morire in un posto e non anche altrove? Chi ha deciso che i miei pensieri non possano viaggiare? Noi e solo noi. Ci castriamo ogni desiderio. Ascoltiamo troppo. Rimandiamo decisioni. Speriamo che le persone siano le nostre copie e se non sono le detestiamo e boicottiamo. Abbiamo paura dell’entusiasmo. Soffriamo quello che non conosciamo.
Stare fermi rammollisce.
Amo perdermi in tanti luoghi. Che sia Barcellona, Dublino, New York o altro ancora. Amo tante cose. Di certo non star fermo.

Il rientro

viaromaOrario continuato, San Sebastian ore 5,30: sveglia. Si riparte prima che il sole arrivi, The one di Elton John come sottofondo, fermandosi ancora sul lungomare ad ascoltare per l’ultima volta di questo viaggio l’oceano, in questo freddo micidiale che taglia il cuore e le luci della disco diventano quelle dei semafori. Speranza o illusione…la parola è sempre quella: ritornerò! Il tempo non aspetta. Read More

Un altro viaggio comincia

È destino che malgrado mi organizzi per tempo nelle ultime ore prima del volo succeda sempre qualcosa. E così è successo anche oggi, dei documenti mancanti per una collaborazione mi hanno fatto accelerare tempi e battito cardiaco. Read More

Dove l'Europa tocca l'Africa (verso Tarifa)

tarifaChe persone trovi a una stazione di una città spagnola durante una settimana qualunque, lontano da un periodo di feste e vacanze? Anime erranti che vanno incontro a destini indecifrabili, che vogliono vedere l’alba o forse di giorno si nascondono. Poi ci sono io, zaino in spalla, biglietto appena stampato in mano e freddo nell’anima. Read More