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Per fortuna che Ferrero c’è

Se c’è un personaggio del momento quello è il presidente della Samp Ferrero.
Attenti: colui che sembra un ignorante, pazzo o un giullare è uomo intelligente e capace, mediaticamente abile, finalmente (e come piace a me, direi!) di dissacrare il mondo del calcio che, come tanti altri mondi italioti, è pieno di seriosi, di intoccabili e di tristi. I cosiddetti nonmitocchettinonmicaghetti.

Una tristezza parte dai giovani che scimmiottano i calciatori di serie A già a 15 anni: li vedi prima delle gare muoversi senza un sorriso nelle loro cuffie d’ordinanza e nei capelli appiccicati da colate laviche di gel giusto per emulare i loro modelli.  Non ridono. Che tristi.

Poi ti allarghi ai giovani e vecchi politicanti, ai personaggi delle disco infiocchettati in abiti inguardabili che ripetono a iosa “elegante, fashion e serata al top” e non sorridono mai, a certi buttafuori, impiegati, docenti, giornalisti e tante altre sagome senza ironia.
Si rattristano e offendono quando parli ironicamente della loro squadra, partito politico, club, città, serata in discoteca, di come sono vestiti o di quello che fanno. Si offendono, non accettano la divertente rottura dei canoni, l’attacco ai luoghi comuni.

Quindi grazie er Viperetta!
Sdoganiamo l’ironia in un paese invecchiato, serio quando non serve e ridicolo quando si dovrebbe star seri, come nelle tragedie.

L’ironia è una grande qualità umana, una opportunità di crescita e sdrammatizzazione, ma naturalmente non è per tutti. Non tutti la sanno fare senza che diventi insulto (ecco, l’errore!) e soprattutto cogliere.

(nota per i meno attenti: l’ironia non attacca i significati profondi delle persone ma le loro mode, convenzioni)

Per fortuna che Ferrero c'è

Se c’è un personaggio del momento quello è il presidente della Samp Ferrero.
Attenti: colui che sembra un ignorante, pazzo o un giullare è uomo intelligente e capace, mediaticamente abile, finalmente (e come piace a me, direi!) di dissacrare il mondo del calcio che, come tanti altri mondi italioti, è pieno di seriosi, di intoccabili e di tristi. I cosiddetti nonmitocchettinonmicaghetti.

Una tristezza parte dai giovani che scimmiottano i calciatori di serie A già a 15 anni: li vedi prima delle gare muoversi senza un sorriso nelle loro cuffie d’ordinanza e nei capelli appiccicati da colate laviche di gel, giusto per emulare i loro modelli.  Non ridono. Che tristi.

Poi ti allarghi ai giovani e vecchi politicanti, ai personaggi delle disco infiocchettati in abiti inguardabili che ripetono a iosa “elegante, fashion e serata al top” e non sorridono mai, a certi buttafuori, impiegati, docenti, giornalisti e tante altre sagome senza ironia.
Si rattristano e offendono quando parli ironicamente della loro squadra, partito politico, club, città, serata in discoteca, di come sono vestiti o di quello che fanno. Si offendono, non accettano la divertente rottura dei canoni, l’attacco ai luoghi comuni.

Quindi grazie er Viperetta!
Sdoganiamo l’ironia in un paese invecchiato, serio quando non serve e ridicolo quando si dovrebbe star seri, come nelle tragedie.

L’ironia è una grande qualità umana, una opportunità di crescita e sdrammatizzazione, ma naturalmente non è per tutti.

Non tutti la sanno fare senza che diventi insulto (ecco, l’errore!) e soprattutto cogliere.

(nota per i meno attenti: l’ironia non attacca i significati profondi delle persone ma le loro mode, convenzioni).

Arrivederci Praga

Colazione, un po’ di lavoro sul macbook, bagaglio da rifare.
È una mattina sempre fredda quella della partenza. Il tempo corre veloce. Rumori di colazione in preparazione dalla sala, mi godo l’ultimo calore del letto. Aggiorno pagine e siti che seguo togliendo ogni traccia di festività passate. Una suoneria di vecchio Nokia rompe il silenzio insieme al ticchettio disordinato del cavo che tocca sulla bottiglietta d’acqua sul comodino. Apro la finestra: cielo scuro sui palazzi marroni di edilizia rigida. Controllo il cellulare: scarico.

Dopo aver perduto il caricatore del Macbook, ieri, una presina usb è partita. Per fortuna ne ho una di ricambio, ma pare che ad ogni viaggio debba fare i conti sempre con qualcosa che perdo o si fulmina. Oramai la lista è lunga. Prese, caricatori, cavi. Una maledizione.

Apro l’acqua della doccia, inondo il bagno di vapore e mi butto dentro. Poi mi chiedo: a che serve lavarsi e farsi belli e carini prima di un viaggio se tanto puntualmente dopo 5 minuti sarai sudato, i capelli scombinati e ti sederai in ogni posto immaginabile, compresi pavimenti dell’aeroporto?

Scende una neve dolce e soffice in questa fredda mattinata di Praga.

Fatto il check out, ho camminato per le vie del centro accompagnato dal rumore del trolley. Intorno a me la città riprendeva a vivere senza stress. Tutto sembrava seguire un ritmo regolare e rilassato. I tram vomitavano e ingoiavano gente alle fermate, le auto scorrevano, le massaggiatrici thai in attesa di nuovi clienti sedute davanti ai lettini, gruppi di turisti preceduti dall’accompagnatore con l’ombrello alzato aspettavano disposizioni, i negozi sputavano musica rabbiosa. Pitbull, Alesso, le ultime hits, sparate senza pietà da casse installate all’esterno.

In tutto questo, nessuno si curava del freddo e della neve e, pur essendo affollato, anche questo centro teneva un suo strano silenzio capace di farti distinguere ogni rumore.

Atterraggio.

Giubbotti dentro le cappelliere e fanculo se non c’è posto per i bagagli, urla, schiamazzi e applausi. Non ci metti molto a capire che stai tornando in Italia.

Sezione arrivi. Dopo essere sbarcati e rientrati in stazione, un breve percorso e si apre la porta. Esci dalla zona protetta. Sembra la porta dell’inferno. Aeroporto di Bergamo. Abituato ai ritmi tranquilli di Praga, ritrovi in un attimo tutta l’Italia. La sciatteria della gente, lo squallore in ogni forma, le urla di famiglie che litigano, le anime in pena alla ricerca di un’informazione, il caos che avvolge tutti, stranieri compresi, e l’immancabile ritardatario che corre e salterà le file. Mi nutro di coraggio, chiudo gli occhi, respiro forte e volo al controllo bagagli, visto che non hanno ancora ipotizzato che qualcuno potrebbe farci solo scalo. Invece si deve risorbire la fila. Bentornato, ancora una volta.

E se la colpa fosse anche nostra?

Leggendo le ironie sui politici sotto inchiesta mi sono sempre domandato se tanti cittadini con potere e soldi in mano sarebbero stati mossi da illuminazione divina o avrebbero fatto lo stesso, come se questo paese fosse stato distrutto solo dai governanti e non dagli stessi italiani.

Eppure le Iene, che tanti amano, raccontano di italiani normali che si adoperano in mille furberie. Ti giri e tentano di fregarti anche per pochi euro.

La mia memoria non inganna: chi ha votato questa gente, chi ha portato le loro borse, chi ha mangiato alle loro cene? Chi di noi è completamente senza peccato? Questo non vuol dire permettere o nascondere, significa però pensare che alla merda abbiamo contribuito tutti, chi più chi meno.

Un paese in retroguardia

Una delle cose su cui spesso mi sono scontrato con tanti è la sensazione che fuori dall’Italia, nonostante la crisi, si respiri un’aria diversa. La vedi e la tocchi con mano.
Una voglia di fare, di creare e di migliorare, di rischiare, di correre pur partendo da situazioni difficili che da noi non esiste più da decenni.

Il calcio ieri lo ha confermato. Il nostro paese è un pachiderma incapace di guardare avanti, fare progetti, regalare speranza e pensare futuro.
Un paese di continue mediazioni, tromboni e compromessi, di vecchi gelosi del proprio potere e giovani nati vecchi o talmente stupidi da non pensare al futuro e da non riuscire a prendere il posto dei vecchi.
“Figurine non uomini”, come ha detto perfettamente De Rossi.
Ogni tentativo di svolta e rivoluzione viene puntualmente osteggiato dalla classe dirigente e, peggio ancora, dagli stessi italiani, che boicottano chiunque si elevi oltre la mediocrità della massa e premiano i mediocri e gli imbonitori alla Renzi e Berlusconi. A loro piace questo: illusioni. E poi calcio, moda e televisione.

Ecco allora che quando ti confronti con qualsiasi altra nazionale o paese o quando viaggi hai la sensazione di essere tremendamente indietro, fuoriposto, lento e impacciato e a nulla vale la stupida presunzione di superiorità che vantiamo, forti di un passato che abbiamo buttato al vento o dei nostri abiti di marca.
“Ahhhh ma noi siamo italiani”, come se bastasse una frase per risolvere tutto. Oppure “Ahhh ma noi abbiamo il sole e il
mare” come se bastasse a far dimenticare corruzione, disoccupazione, mafia, ignoranza, come se fosse un diritto divino e non un dovere quotidiano vivere in una terra magnifica.

Nessuna fuga, perché non siam codardi, ma nemmeno stupidi da non vedere le macerie intorno e non raccontarle.
Non ci resta che continuare le nostre piccole rivoluzioni quotidiane, convinti che sia meglio apparire pazzi e fuoriposto, europei o cosmopoliti, che morire italioti.

(Se al posto di Italia metti Sardegna l’orologio lo devi spostare ancora più indietro)

 

Pillole finali

1) dimettersi dopo una sconfitta, così come hanno fatto Abete e Prandelli, è un gesto raro in Italia. La politica prenda appunti.

2) tutti si lamentano dei “giocatori figurine” e poi li adorano e fanno le stesse loro cose. Look stravanati, beats al collo, crestoni e tatuaggi.

Milano, un giovedì di giugno

Milano. Viaggio come racconto dell’Italia. Gente che urla già in aereo, occupa i tuoi spazi, che freme per scendere quasi dovesse correre verso la salvezza eterna. Assalto ai bagagli. File in autostrada. Stazioni sporche, lavori infiniti. Immigrati pronti a borseggiare, che si attaccano per monete. Caldo afoso. Gente che corre, che ha fretta, che sgomita e ti appuntella. Metro in ritardo. Metro senza areazione. Rumore di ferraglia. Ragazzine svestite come troie. Tatuaggi. Anziani con gli occhi senza speranza con un borsello di ricordi di un’Italia che non esiste più.

Cartolina perfetta di un paese decaduto.
Questo vedo e non rompete le palle se non c’è un filo di bellezza.

Rivoluzione, addio

La più grande lezione di questi anni (non solo di oggi, giornata post-elettorale) è che le rivoluzioni sono impossibili in Italia, figuriamoci in Sardegna.
Un paese morto e sepolto da decenni, dove qualsiasi novità o cambiamento viene osteggiata e combattuta. Se non ci pensa la politica o la burocrazia o il sistema o l’informazione, state tranquilli che ci pensano i nostri vicini. Invidia e mediocrità. Avete mai letto la Legge di Jante? http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Jante.
Teniamoci saldi i nostri piccoli e provinciali interessi che ci danno la stessa sicurezza della coperta di Linus: il calcio, le auto, i videovirali, la tv, i caddozzoni, ogni tanto la politichetta (o qui o là giusto per essere ultras), facebook, le foto, i nostri luoghi comuni, le frasi fatte, le mode.
E se qualcuno si permette di mettere in gioco questo sistema, di istruirsi, di pensare diverso, di rompere il giro della mediocrità e dell’omologazione, testa tagliata e avanti il prossimo.
Gli eroi non devono esistere: metterebbero in subbuglio i manovratori. Non è questione di destra o sinistra: sono solo sigle vuote. Ci hanno fregato.
Resta la mia piccola rivoluzione personale: scrivere e provare sempre a fare e pensare qualcosa di diverso, magari riuscirci, magari no, con la consapevolezza in fondo di fare cose inutili e apparire spesso antipatico e fuoriluogo o peggio ancora fuorimoda. Di non riuscire mai a trovare equilibrio e futuro.Viaggio spesso per sentire l’emozione che ti dà un altro paese, l’estero, l’Europa, il mondo, dove tutto appare sempre bello o diverso.
Forse non lo è, ma appena varchi la frontiera, sento un mondo diverso e migliore.
Appena torno in Italia mi bastano poche settimane per aver già voglia di fuggire ed essere incastrato dalla mediocrità che diventa anche mia.
Questo paese mi piace sempre meno. Meglio altrove. Meglio viaggiare. Meglio poter sperare.
Un’illusione che mi piace coltivare sempre. Rifaccio un biglietto e riparto. Anche solo per farlo. Mi autoilludo. E poi ricomincio.

Fuggire dall’Italia

Credo che tra le maggiori vergogne del nostro tempo e della politica, ci sia il fatto di non aver mosso dito per permettere ai giovani di realizzare i propri sogni.

Sì, parlo di quei giovani che non hanno una famiglia che permette loro di stare a dormire fino alle 2 del pomeriggio e avere un lavoro sicuro.
Li comprendo e li rispetto, quando fuggono e vanno altrove.

Il video racconta di tanti (compresi miei amici) che hanno lasciato questa terra per cercare fortuna sporcandosi le mani e ripartendo da zero.

Un video commovente che ricorda tutto quel di bello c’è fuori: la civiltà, il rispetto, il lavoro, la gratificazione. E’ vero che non cancellerà mai il nostro sole, il nostro cibo e calore, il mare e la bellezza del nostro paese, ma la colpa è anche e soprattutto nostra e spesso è meglio essere gratificati che prendersi il sole e vivere di nulla.