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Empatia (grazie al coronavirus)

Ieri notte una mia amica mi ha scritto un messaggio, era il solito strano sabato, senza impegni da DJ, come oramai succede da qualche mese. Un sabato tranquillo, che vivi a casa, leggendo qualcosa o guardando la tv.

“Questa sera dopo aver lavorato a pezzi durante la giornata, pulito, fatto da mangiare ed ascoltato l’intervista di Tixi, verso le 19 sono andata a fare la mia solita 30 minuti di scale, su e giù. Cuffie e radio per caricarmi. Solitamente funziona ma poi ho sentito una donna alla radio che piangeva per la sua situazione, piangeva disperatamente
Ho pianto per un ora
Questa parte di vita mio dio non si potrà mai dimenticare, un silenzio e le lacrime. Oggi la mia creatività è andata a farsi fottere. Vorrei fare un post creativo ma non ci riesco domani sarò più positive amico caro”.
Le chiedo come mai quella donna piangesse.
“Per la sua attività, le bollette continuano ad arrivare e lei non ha liquidità non c’è la fa, lei come tanti altri. E sentirla, mio dio quanto piangeva era come se fosse morto un parente stretto. Qui la gente si sente tradita dalla terra
Da gente che parla e basta e io vorrei poterli aiutare, e non so come fare Nico, vorrei aiutare me te tutti ma siamo in movimento ma immobili. Non so scusa questa è la percezione”.

Credo che questa crisi dovuta al coronavirus abbia messo in mostra i nervi scoperti delle nostre comunità ma abbia anche permesso a tante persone di riscoprire e condividere una bella cosa: l’empatia e la sensibilità, la capacità di farsi carico anche del disagio altrui, anche se non si conosce. Ed è una qualità che hai o non hai, senza mezzi termini.

Ieri c’era un bel film in tv, Amarsi troppo. C’è una scena perfetta che racconta la parola empatia dalla voce del buon Ferruccio Amendola, doppiatore del come sempre impeccabile Al Pacino.

https://www.youtube.com/watch?v=7bfwJrxWJB4

Empatia

Ieri ho visto un babbo che accompagnava la figlia in bicicletta sotto casa. Poi ho visto un disabile seduto in una panchina. Da solo. Poi ancora un anziano fermarsi in un parchetto, sempre da solo.

Ho incrociato occhi stanchi e con poca speranza. Ho sentito la loro voglia di rubare un briciolo di sole e aria col timore di essere giudicati per quel bisogno elementare di vita.

Non mi è passato neanche per l’anticamera del cervello l’idea che fossero degli untori o di fare la sentinella. Non ho acceso il computer per scrivere “troppa gente in girooooo!1!1!1” e ricevere tanti likes.

Ho sentito l’umanità aggrapparsi al tentativo di sopravvivenza, al dovere di non rinchiudersi per soccombere di altro.

La guerra sociale è un concetto che a casa mia non entrerà mai, nonostante il quotidiano bombardamento di paura e colpevolizzazione.

La tragedia esiste, il rispetto per il dolore e lavoro pure di chi sta in prima linea nessuno lo nega, ma la costruzione comunicativa del senso di colpa non mi trova d’accordo.

Abbiamo bisogno di empatia e speranza, non di rabbia e frustrazione condivisa.

Assuefazione

Siamo talmente assuefatti all’indifferenza che oramai proviamo rabbia e odio verso i poveri e non verso i potenti. Verso i piccoli, verso chi prova a sopravvivere e combattere, verso anche chi riesce da solo.

Vuoi un caso? Zero solidarietà per i greci e la vicenda greca e nessuna polemica verso le banche e i politici europei. Il pensiero comune non si discute, ma ci lamentiamo sempre bene di tutto.

Importante è annientare chi prova a criticare e far opposizione, chi prova a farcela da solo e senza aiuto, mai discutere e attaccare chi ha devastato il nostro paese e chi è diventato bravo grazie alle scorrettezze. Per quelli i leccaculo e i fan sono sempre in servizio permanente. Sindrome di

Empatia ai minimi termini, solo voglia di aspettare che gli altri cadano, di lapidare chi zoppica, per poi essere felici e contenti. Pecore incapaci di comprendere e prover sentimento, pronte a saltare sui carri dei vincitori.
In questo c’è da ringraziare la nostra informazione, ma non è una scusa. E’ colpa nostra.
Siamo proprio messi male. Senza speranza.

Darsi

Non sono solito lavorare gratis, preferisco spesso non fare nulla che prendere due soldi, detesto chi svende e chi ruba agli altri, ma qualche volta scelgo di investire il mio tempo e la mia professionalità senza chiedere nulla.

Lo faccio per le persone che hanno realmente bisogno e che lavorano, secondo me, con gran passione. Che sanno chiedere e che so che sono oneste come me, e lo farebbero con me se ne avessi bisogno.

Un consiglio, una cortesia, una consulenza, un impegno, succede e ho visto che poi tutto torna quasi sempre con gli interessi. Tempo che ha un costo ma che tu volontariamente offri. E se non torna, c’è ingratitudine, fa parte del gioco anche perchè gli ingrati vanno avanti per poco. Ok, Rischio.

Spesso nascono grandi progetti e grandi amicizie. Anche perchè non serve solo rimpinguare il conto in banca, quello è l’obiettivo dell’uomo medio, c’è anche un altro conto più importante: quello della disponibilità e della generosità. Si chiama condivisione. Un conto che non vogliamo mai avere in rosso. Anzi, detesto chi pensa solo al cash e vi assicuro che ne vedo tanti tristi e cinici, spesso anche scarsi.

Sarà una filosofia poco intelligente, poco italiana, poco sarda, criticabile, rischiosa, inutile, ditemi quello che volete, ma non mi frega nulla.
Se dovessi ragionare solo con la moneta, magari avrei più fortuna, ma non sarei io. Tixi.

Ho scoperto una cosa di me

Ho scoperto che una cosa che mi gratifica tantissimo è la sensazione di riuscire a trasmettere qualcosa di positivo alle persone che mi stanno intorno, anche se mi rendo conto che dirlo è da presuntuosi e che non posso non apparire così. Read More