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Esperienze che lasciano il segno

Due anni fa più o meno cominciava una di quelle esperienze che avrebbe cambiato tante cose della mia vita, il Cammino di Santiago. Ho ritrovato un po’ di me stesso, ho scoperto tante nuove strade, ho capito qualcosina in più del mondo, ho conosciuto persone bellissime come Erika e Giorgio Zannoni.
Spero che la vita mi riservi ancora mille di queste avventure e vi consiglio: investite in esperienze più che in oggetti.

Le prime restano per sempre.

La lezione del Cammino

Una delle grandi lezioni che ho appreso dal Cammino di Santiago di due anni fa è che hai uno zaino sulle spalle e devi mettere solo gli oggetti necessari, nulla di più. Scoprirai qualcosa di importante ma anche qualcosa di cui potevi fare a meno, farai scelte, andrai forte e piano, ci sarà caldo o freddo, ti sorprenderai per qualcosa di semplice di cui ti eri dimenticato crescendo, avrai compagni per un chilometro o tutto il tragitto, ci sarà collina, montagna o pianura ma prima o poi arriverai alla mèta e allora capirai molte cose della vita, in primis che la leggerezza è il segreto per andar lontano.
Spero che questa lezione resti sempre dentro di me.

Ringraziamenti e bilanci tra Santiago, Madrid e Cagliari

Mentre sono tra le nuvole del volo Santiago-Madrid, prima di puntare verso Cagliari ripenso un po’ a questo viaggio, e parto proprio dalla fine. I fuoriprogramma, le cose più belle della vita. Eppure li temo, perché barcollo sempre tra desideri di liberazione e ansie da cagliaritano.
Non dire, non fare, non pensare, chissà cosa accadrà? Poi scopri che regalano sorprese e cambiano serate altrimenti destinate a raffreddarsi tra noia e sbadigli, come ieri sera.
Stamattina sveglia alle 7, doccia e corsa all’aeroporto (finalmente non otto ore prima come mio solito per le mille paranoie). Tempo per una colazione carissima (7€ per spremuta, cappuccino annacquato e una napoletana… Esiste frastimiamo e lodiamo?) e si parte. Ho sempre pensato che consumare in aeroporto sia un errore grossolano ma, stupidamente, ci casco sempre. Come in tante altre cose in cui dimostro di essere uno scemo patentato. Persevero. Come nel mandare sms dall’estero o usare l’iPhone e sprecare batteria quando poi mi servirebbe per cose serie.

Facciamo un po’ i bilanci di questo viaggio dopo circa 150 km percorsi a piedi in totale (113 di cammino e altri sparsi), 11 bus presi, 4 voli aerei.

Cose positive:
– la capacità di fare amicizia con gente che non ho mai visto e mettermi in gioco. Adattativo
– meno vergogna nel chiedere le info all’estero (orari bus, strade), mio grosso cruccio (rideranno di me?). Invece, tutti disponibili
– curiosità sui piatti locali (tranne il polpo, sia chiaro)
– sono rientrato in una chiesa dopo tanto tanto tempo
– numero di oggetti portati quasi perfetto
– risposta fisica più che sufficiente: ho usato giusto qualche anti-infiammatorio, ma nessun cerotto o altro strumento. Giusto qualche dolorino serale (sembravo Pinocchio)
– i cambi programma (andare in ostello invece che in hotel)
– il sacco a pelo
– l’iPhone, un vero compagno di viaggio utilissimo in tanti casi per prenotare, prender appunti, scrivere, fotografare, leggere libri e cazzeggiare
– aver usato una sola scheda telefonica lasciando l’altra (e mi scusi chi mi ha contattato al 392)
– ho capito che mi piace la Spagna e la lingua spagnola. Anzi, me gusta
– mi son appassionato di piccole cose: panorami, persone, mangiare le more in cammino, saltare un ruscello, incrociare un contadino, mangiare nelle taverne, lavare la roba col sapone. Low Tixi
– mi son sporcato sentendomi fiero di me. Er zozzone
– facoltà di adattamento inattese. Macgyver
– ho rispolverato gli occhiali da sole Bollè che usavo nell’estate del 2000: revival
– look trasandato e poca attenzione al vestiario: vagabondo
– mi sono ingegnato per risolvere la mancanza della scopetta del cesso nella camera a La Coruna con il getto dell’erogatore della vasca: geniale
– il bagno e il tramonto a Finisterre, sull’oceano: eccitante
– ancora una volta mi hanno scambiato per un 25enne e per uno studente Erasmus
– la colonna sonora scelta: Enya, Mannoia e colonne sonore varie mi hanno accompagnato

Cosa non mi è piaciuto:
– tutte le paranoie iniziali: sono il solito
– potevo risparmiare qualcosa di più sulle spese, organizzandomi meglio. Sprecone
– potevo portare ancora meno roba: due bermuda invece di tre, ad esempio.
– ho acquisito almeno 3 chili: inutile camminare e poi cenare a distruzione (ma non si poteva dire di no)
– a Ferrol ho sprecato una giornata (programmato male e tardi).
– ho letto le notizie provenienti dall’Italia: potevo evitare. Stupido
– due colazioni carissime a La Coruna e oggi. E poi ti lamenti di chiagliari?
– ho rischiato di svenire e morire alla prima tappa dopo aver bevuto una coca ghiacciata al termine di 20km di cammino. Un funerale a Portomarìn non sarebbe stato il massimo
– ho perso l’asciugamano, anzi me l’han ciulato, proprio prima del bagno sull’oceano
– ho perso gli occhiali ma, dai, ne ho fatto a meno alla grande. Zurpo

I ringraziamenti vanno, oltre che ai miei compagni di viaggio Giorgio, Erika, Guido, Ercole, alle due amiche brasiliane di ieri (Jaqueline e non ricordo l’altra!), a tutti quelli incontrati nel percorso.
Ringraziamento offline specialissimo per tre consiglieri d’eccezione: Antonello Lai (non quello di Tcs ma quello di Match e diario sportivo) per la prima spinta motivante; Pippo Pirisi per le preziose informazioni tecniche, i segreti e il prestito della mochila, Emanuele Angius per la segnalazione e Matteo Lecis Cocco Ortu (che tra l’altro è anche un bravo consigliere comunale) per gli ulteriori consigli prima del Cammino.

E poi dico grazie a chi ha seguito questo Cammino, letto il blog, si è sentito al mio fianco, si è ispirato e lo sta progettando e mi ha mandato messaggi e scritto su fb. Se avete bisogno di consigli e idee per fare anche voi questa esperienza, potrete contare anche su di me!

L'ultima notte (ancora giovane)

Mancano poche ore alla fine di questo viaggio che difficilmente dimenticherò, un giorno in cui sono letteralmente a cazzeggio per la Spagna tra La Coruna e Ferrel nella costa nord.
Ieri ci siamo salutati con gli amici con cui ho condiviso il Cammino. Spiace sempre quando arriva questo momento dopo tutti i giorni passati assieme. Si è creata un’amicizia speciale non solo per l’esperienza a piedi fino a Santiago ma anche per il clima scherzoso che si è instaurato tra noi. Non conto gli episodi che solo una strana cricca sardoemilianocampana poteva tirar fuori.
Guido, Giorgio, Ercole e Erika, conosciuti per caso alla partenza per Sarria e diventati per me inseparabili, una famiglia, mi hanno adottato e sostenuto: il massimo esempio del clima del Cammino dove nessuno è sconosciuto e straniero e tutti sono disponibili con te. Storie ed età diverse (io ero il pischello) abbiamo condiviso chilometri, mangiate assurde, bevute, incontri e discussioni su tutto, dalla politica alla religione, dai film trash alle nostre vite, aprendoci come non mai. Ma anche se i compagni di viaggio “non dovrebbero lasciarsi mai” direbbe De Gregori le strade si son divise. Con un po’ di dispiacere e la promessa di rivederci, magari a Campovolo in Emilia per il concerto pro terremoto. Loro partivano il 29 io il 31.
Così ho preso la mia mochila e mi son diretto a La Coruna, non senza il dispiacere di un cammino che andava a finire. Volevo vedere qualcos’altro, cercare avventure senza troppi progetti e come sempre il viaggio è stato fervido di pensieri e stati, situazioni più o meno curiose. Il bus come il treno e l’aereo sono preziosissimi per farmi scrivere con una velocità e potenza inaudite.
Ho prenotato un alberghetto centralissimo a 26 euro, Mi son goduto la spiaggia la sera, una passeggiata fino al faro, il vento sui capelli e il mare! Ho mangiato in un ristorantino anonimo nel centro storico, mi son visto el clasico Barca-Real e poi sono andato in giro per locali accompagnando la sera con l’immancabile cerveza e curiosando un po’ qua un po’ la’.
Stamattina sveglia tranquilla, colazione e partenza per Ferrel, consigliata da un mio amico (tra l’altro città natale di Franco). Il viaggio ha dato più emozione della città: sarà per il poco tempo, ma ho visto davvero poco, giusto un po’ di centro storico, mangiando a sazietà in un ristorante carino per 8 euro. Poi il rientro, la stanchezza, quella malinconia di un viaggio che finisce, la voglia di tornare, i pensieri del rientro, ma già l’idea su dove ripartire. Mentre scorrevano paesi che forse non avrei visto più ho pensato intensamente a me e alla mia vita, al ricominciare, al fatto che oramai vivo per viaggiare o forse viaggio perché il movimento mi dà vita ed energia.

Se apro i giornali spesso mi chiedo se quello in cui torno sia davvero il paese che voglio e sogno o qualcosa che non riconosco più come mio. E allora appena ho un po’ di soldi prendo e parto, così deve funzionare. Parto dove nonsonemmenoiodovevado, cercando esperienze e sensazioni nuove.
Il viaggio sembrava mestamente chiudersi tra tristezza e nostalgie, come oggi: invece di andare in hotel in qualche singola con bagno e tv accesa o dormire in aeroporto sono andato in ostello. Volevo vedere cosa accadeva, uscendo dalla zona confort. Ed ecco che il viaggio si rianima. Due studentesse brasiliane condividono la stanza con me. Entro e Jaqueline (una delle due) si presenta abbraccia e bacia. Subito l’atmosfera è cordiale. Quel che ci vuole per l’ultima sera.
Il rischio vale sempre la pena, la vita è una continua sorpresa. E la notte è ancora giovane.

Bagno nell'oceano

Risvegliarsi col rumore dei gabbiani in un piccolo albergo ed avere vicino a sé un bel porticciolo sull’Atlantico con le sue barchette e le sue ridenti case affacciate sul mare: siamo a Finisterre, estremo ovest dell’Europa, ultima tappa del Cammino, un po’ meno spirituale ma ugualmente degno di esser vissuto. Qui si pensava finisse il mondo. Qui tante navi, sorprese dalla furia del mare e dai venti, sono naufragate. Non a caso vien chiamata anche Costa della morte.

Ci siam arrivati ieri sera per compiere il rito finale: quel tramonto meraviglioso sull’oceano che è arrivato intorno alle 21.30.
Ma torno ancora indietro: ieri mattina a Santiago abbiamo partecipato alla messa del pellegrino, toccante benedizione di tutte le persone che hanno terminato il Cammino. Uno dei momenti più suggestivi è stata l’accensione e la messa in movimento del butafumeiro, un enorme incensario che domina sull’altare maggiore e che per essere mosso ha bisogno della forza di 5 persone che attraverso un sistema di cavi, carrucole lo fa muovere in maniera spettacolare.
Ho pregato per tanti, parenti, amici, conoscenti, come ho scritto ieri, sperando che quel pensiero sia giunto a destinazione, da chi solo guarda i nostri destini e le nostre vite dall’alto.
Dopo uno spettacolare panino in un market, abbiamo preso il bus per Finisterre. Tre ore di viaggio costeggiando la bella parte atlantica della Spagna fino ad arrivare al paesino sul mare. Neanche il tempo per rilassarci, siam corsi al capo Finisterre, al faro, per goderci il tramonto. Tre chilometri di strada a piedi (ma oramai siam allenati) per un gran spettacolo finale.
Tradizione vuole che questa sia l’ultima tappa dei pellegrini che bruciavano le vesti e facevano un bagno purificatore nell’oceano.
Per alcune ore ci diamo seduti sulla roccia che terminava ripidamente sul mare ad ascoltare il vento, l’oceano che sotto frangeva la sua forza sugli scogli e a vedere il sole via via scendere giù. Una cena in un ristorantino (Cala Figueira, vi dice qualcosa?) con immancabile bevuta insieme ad altri amici e amiche italiane ritrovate qui hanno chiuso la serata in questo magico posto nell’estremo ovest del vecchio continente.
Il bagno è stato rimandato a stamattina, in una spiaggia deserta a un chilometro dal paese. Anche qui una di quelle situazioni in cui la mia anima si sente in perfetta armonia con il mondo attorno: il mare in tempesta, il suo rumore, il cielo nuvoloso, il vento tra i capelli. Rotti gli indugi mi son buttato anche io nell’oceano. La temperatura non era certo quella dei nostri mari, ma l’emozione era troppa per rinunciare. Momenti unici di questo viaggio per uno come me che si innamora di questi posti e queste sensazioni. Siam tornati giusto il tempo per prendere il bus per Santiago delle 11.45 da cui vi sto scrivendo.
Ho ancora un po’ di soldi e energia per restare qualche giorno in giro qui, anche se il ritorno si avvicina e un po’ di tristezza sale.

Mi piace l’idea di vagare senza un programma troppo preciso, vedere come va. In questi giorni ho lasciato perdere tante convenzioni : il look, il vestiario, i rituali del cazzo che ti fanno cittadino di una società per timore dei giudizi altrui. Il mio gruppo non ha questi problemi, non ci mettiamo problemi in nessun momento se non di esser educati e disponibili. Ah la disponibilità, altra parola chiave in un cammino in cui non ho trovato l’indifferenza che cammina nelle mie strade. Esistono altrove mondi così, dove la gente fa ancora per il piacere di fare? Dove arriva sempre un sorriso e una cortesia?
Tra poco saluterò gli amici che ripartono oggi per l’Italia e mi farò questi ultimi giorni di nuovo da solo senza meta o meglio dove  il cuore deciderà di portarmi. A sud o a nord. Verso il Portogallo o verso la Francia.

Todo se cumple (l'arrivo a Santiago)

L’alba del giorno più lungo. Todo se cumple!

Ci siamo, Santiago ci aspetta; è il grande giorno dell’arrivo dopo circa 110 km di cammino.
Dopo la tradizionale colazione – caffe con leche, zumo e pan tostado – si parte! Solito orario, 7.30 più o meno. Lasciamo Pedrouzo e la sua casetta con foschia e freddo per l’ultima tappa, quella che ci regalerà l’emozione della fine. Ci aspetta un bel bosco con alberi che coprono il cielo e vari scollinamenti, come dice il nostro Giorgio.
Un po’ come nella mia vita parto forte per poi esser raggiunto davanti. Al primo bar tiriamo dritto, nessuna sosta, anche perché ci aspettano quasi 3 chilometri di salita. La strada è tanta ma fugge via come i nostri pensieri. Oramai tutto è familiare, questo viaggio è una parte del nostro cuore.
Una bella salita ancora, con il cielo e i colli avvolti dalla nebbia, prima di sentire il rombo degli aerei in decollo, primo segnale che ci avviciniamo a Santiago! Ma è ancora salita finché non si incrocia una trafficatissima autostrada: il sole ci sorride in lontananza facendosi largo tra la nebbia. Costeggiamo le recinzioni dell’aeroporto, dove i segni di altri pellegrini sono tanti: soprattutto maglie, pezzi di stoffa e croci fatte con i legnetti. Ne lascio una, sottilissima.
Rientriamo nei boschi e ci riperdiamo nel percorso, fino a trovare una bella chiesetta. Ci fermiamo per timbrare la Credencial pensando a come spesso questi piccoli rifugi del culto ti avvicinino a Dio più dei grandi ed affollati santuari; subito dopo troviamo un piccolo ruscello, il rio Caracolla dove i pellegrini si cambiavano le vesti e lavavano prima di arrivare in città. Ora dobbiamo conquistare il Monte do Gozo, che ci regalerà la prima vista panoramica di Santiago, dall’alto. Ci fermiamo a un baretto con la musica a tutto volume (reggaeton e Jennifer Lopez) per un panino e un po’ di relax. Ultima pausa prima della tirata finale: la discesa infinita e le prime case di Santiago.
Il cartello ufficializza l’ingresso nella zona nuova fatta di moderni palazzi e piuttosto impersonale.
Ci addentriamo per qualche chilometro, tagliamo in due la città e dopo vari km ecco che intravediamo il campanile della cattedrale: sono le 12.30. Ci godiamo anche qualche rintocco. Acceleriamo il ritmo, la stanchezza non si può raccontare, scendiamo, ecco la Puerta del Camino, una via stretta che ci porterà nella piazza. Ancora piazze e vie strette, per qualche centinaio di metri, finché sentiamo il rumore di cornamuse da lontano, il santuario si erge enorme a sinistra, un altro sottopassaggio ed eccoci sulla piazza, a concludere il Cammino, come tanti altri, ad abbracciarci, a complimentarci per essere arrivati dopo tanta fatica.
Eppure quel giorno che siam partiti proprio da qui, dalla stazione degli autobus, sembra lontanissimo e quella città un’altra città. Stavamo alla larga da quella zona per tenerci l’emozione dell’ultimo giorno, oggi. E ci siamo, con tutti i nostri carichi, lo zaino, le ansie, i pensieri, le promesse.
Una parte del gruppo va in giro, io ed Erika ci sdraiamo davanti al maestoso tempio della cristianità e ci godiamo questo momento. Il freddo e il vento non danno tregua, ma è una sensazione unica che scioglie ogni stanchezza e fatica, l’energia che ti passa dentro in questo momento, che più volte ho sentito nei miei viaggi. Mi stendo per terra incurante di potermi sporcare, testa sullo zaino, mio fedele compagno, guardo per un po’ il cielo. Le nuvole vanno veloci. Penso solo a questo momento, anni fa un sogno, giorni fa un miraggio, oggi è arrivato.
Il Cammino è finito, o forse è appena iniziato, o forse ancora la vita è un continuo cammino e questa è una bellissima fermata.

Le domande nella vita non finiscono mai per gente come me, ma è la ricerca della verità e dei miei sogni a darmi sempre un motivo per vivere alla grande, per non limitarmi a sopravvivere.

Un calcio all'armonia

Ed eccomi qui: sdraiato a prendere un po’ di sole con i panni stesi nel giardino di questa deliziosa casetta che io e i miei amici italiani del Cammino abbiamo trovato e dove oggi alloggeremo.
Una costruzione arancione ricavata forse da una ex abitazione di campagna, curata con tanto amore dalla proprietaria del vicino bar. Un arredamento semplice e tipico ma molto caloroso, che trasmette ospitalità e affetto. Uno di quei luoghi fuori dal tempo, che ti fa stare bene e non solo per quel profumo di lavanda che ti avvolge appena attraversi la porta, per quei soffici letti di una volta con biancheria che sa di Marsiglia o il pavimento che ricorda le vecchie case dei nostri paesi.

Siamo in relax, domani ultima tappa e se tutto va bene entreremo a Santiago di sera, per poi prendere la Compostela il giorno dopo.

Apro distrattamente Facebook e vedo che è iniziata la serie A: non è solo per il Cammino, ma quasi cado dal cielo. Non sapevo nulla: un po’ mi sento strano, un po’ idiota, poi penso che il calcio già da tempo per me ha un significato diverso. Ne faccio a meno, dedicandomi a un altro calcio, quello che mi piace, quello di base e dilettantistico.
Un anno fa ho tagliato sky e mediaset dal mio budget e riconfermo la scelta. Non avrebbe senso fare tanti discorsi. Seguo distrattamente le partite ma se mi chiedete i nuovi acquisti del Milan vi direi solo Montolivo, del Cagliari so ancora meno se non che le maglie sono marchiate Tirrenia ed evito ogni commento. Del resto della serie A pochissimo. Sono un asociale, una pecora nera, uno strano. Dire queste cose in Italia è pari a un sacrilegio.
Continuo a pensare che il calcio vada limitato a passione e divertimento non a droga. Ci sono cose ben più importanti e vivere per il calcio (come per la disco, come per la politica o la moda ecc) è qualcosa che non comprendo.

Equilibrio, altra parola chiave dell’esistenza, difficile da realizzare. La vita è fatta di tante cose, compresi eccessi e privazioni: se si riescono a trovare i dosaggi giusti tutto ha un senso, altrimenti il bicchiere trabocca.
A noi italiani piace il bicchiere traboccante, piace morire per il calcio e dimenticarci del resto, come se il calcio e basta ci salvi. Serve ma non è indispensabile. Ognuno ha libertà di scelta, ma i tempi d’oggi potrebbero anche farci guardare il mondo in maniera diversa e a scindere ciò che è importante da ciò che non lo è. Lavoro complicato.
Che sia vestirsi e seguire la moda, seguire uno sport, avere un ideale, fare sesso, lavorare, allenarsi o riposare, la disco o la tranquillità, la materia e lo spirito, l’umiltà e la supponenza, tutto ha bisogno di un equilibrio.

Il problema è quando il bilancino pende solo da una parte, quando queste cose diventano fissazioni, unico motivo di vita, e allora l’armonia si rompe.
Ho letto da poco questa bellissima frase: “la vita di noi normali è un compromesso quotidiano e sfiancante fra il bene e il male, la fantasia e il senso comune, la disciplina e la tentazione. Proprio per questo, forse, rappresenta la forma più sottile e profonda di eroismo”

Meno diciotto a Santiago

Dov’eravamo rimasti? Aiutatemi! Ieri sera, la tappa più lunga.
Ad Arzuà dopo esserci sistemati in un ostello (albergue) siamo andati in una piccola trattoria vicina per cena. Era come se mangiassimo in una sala da pranzo: la governante, insieme a quella che immagino fosse la figlia, avevano la cucina di fianco. Tutto molto familiare. Uno spettacolare minestrone che farebbe invidia a quello della valle degli orti, vino, birra, pollo arrosto e immancabile torta di Santiago.

Non ci crederete ma in ostello ho dormito meglio che in tutti gli altri alloggi e hotel e in più sono riuscito a lavare i panni sporchi. Tutti gentili ed educati. Unico problema gli acari, che subito hanno modificato il mio stato nasale, combattuti inaugurando il mio sacco a pelo appena comprato.
Mattina con solito rituale: doccia tixica (un rito immancabile), preparazione al buio (gli altri dormono) e partenza alle 7.30. Colazione in strada (caffelatte, pane abbrustolito imburrato e spremutona) per caricarsi. Fuori c’è nebbia e freddo, non si vede oltre qualche decina di metri. Si comincia!

I dolori delle sere prima la mattina sono solo dei ricordi (la sera posso dire di essere un rottame!) La camminata è bella variegata: si scende e poi si sale. Gioiscono le gambe, però, dai, bella sensazione ogni volta vedere cosa c’è dopo la scalata.
Costeggiamo un ruscello, alberi bassi, ancora tanta foschia e sembra di essere sul percorso del gioco dei pirati di Gardaland. Oggi tanti ciclisti ci superano, sfrecciano, anche pericolosamente, al nostro fianco. E poi tanti eucaliptus, pianta tipica di questa tappa e non solo.
Prima pausa dopo 6 km in 1 h e 20 per un caffè. Siamo a Calzada. In tv c’è una replica di Supercar: io e Giorgio la guardiamo e ridiamo. Intanto io cerco sempre di parlare di spagnolo utilizzando vocaboli mutuati dalle canzoni o inventando di sana pianta. Ogni tanto funziona, ogni tanto sfoggio l’inglese, ma capiscono bene l’italiano. Dispenso perdoname e gracias, hola e buon camino.
Dopo ogni sosta sento dolori e maledico la fermata, ma vado avanti e riprendo il cammino.

Chilometri di bosco senza anima viva, villaggi chissà se abitati, dimenticati dal mondo, horreos (granai sopraelevati) ovunque, tanta mierda (vista quella schiacciata sarò fortunato a vita) e solitudine.
Poi come sempre quando pare che non accada più nulla e sopraggiunga la ripetitività ci sono le sorprese: si materializza un tavolino con delle fragole in vendita, un tipo che ricorda vagamente Piero Pelù, che parla e scherza. Una scena come nel mago di Oz. Prendiamo due ceste a 4 euro e ci rimpinziamo subito.

Incrociamo più volte una statale dove le auto sfrecciano: attraversiamo con molta attenzione. Prendiamo un sentiero e dopo pochi metri c’è il monumento a Guglielmo Watt, un pellegrino morto durante il Cammino vicino a Salcedo. A O Xen incrociamo 5 pellegrini a cavallo, di cui uno anziano e uno giovanissimo. Tiriamo ancora per 2 km senza fermarci (km23). Ogni mojon (ceppo) raccoglie oggetti. Sono le 11.15 e finalmente arriva il sole. Ogni tanto ci si ferma a rimetter a posto tutto e migliorare la disposizione dello zaino. O, come ora, ci si toglie il kway. Io rallento per appuntare qualche pensiero o frase.
Sosta per pranzo (anticipatissimo h 11 30) a O’Empalme, a 4 km dall’arrivo per intenderci! Ci serve una giovane famiglia, il bimbo con la maglia del Barca. Tortilla panino e cerveza galiziana è il nostro pasto, mentre mi aggancio alla wifi e rispondo a qualche messaggio.
I miei compagni di viaggio conosciuti per caso sono fantastici: la veracità emiliana con la saggezza campana, un mix perfetto e inatteso. Io ci metto del mio. Come sempre prima di scoprire la mia età mi davano 25 anni. Ridiamo e scherziamo, sembra di conoscerci una vita.
Riprende il cammino, prendo appunti e i chilometri passano quasi senza pensarci. Il mojon segna 20 a Santiago, pensi subito a Cagliari-Monastir, resto un po’ da solo e cammino per i fatti miei, immerso nel bosco degli eucalipti che non fanno passare i raggi del sole.

Una grande salita ci porta a O’Pedrouzo dove la prima immagine della civiltà ritrovata è un campo da calcio!
Un paesino un po’ anonimo. Si discute se proseguire per Santiago, che dista 18 km, o meno: decidiamo di non forzare anche perché Ercole, uno dei componenti, lamenta un po’ di fatica. Siamo oramai un gruppo e anche il parere di uno (peraltro il più anziano) conta. Mettiamo da parte per un attimo gli slanci e i sogni di conquista, ci fermiamo e troviamo sistemazione in alcuni bungalows carinissimi e colorati a pochi metri dal Cammino. Ex case di compagna ristrutturate con molto gusto e con tanti oggetti tipici.
Meritato riposo e domani si riparte, destinazione Santiago. Se pensiamo che nel giro di 4 giorni abbiamo macinato quasi cento chilometri…
La lezione di oggi è che spesso vogliamo andare forte, ci sentiamo pronti ad ogni sfida e obiettivo, ma dobbiamo anche trovare il tempo per dosare le forze e saper attendere, ponendo un freno al troppo entusiasmo.

Così come con le persone: spesso è inutile rincorrerle, bisogna anche far uso di una saggia pazienza.

A Palas de Rei in una mattina

La sveglia è fissata per le 6, dopo una colazione con l’immancabile caffè con leche a 8 mila gradi fahrenheit e pane con burro si parte.

Il nostro capogruppo è Guido, maratoneta in pensione. Fuori è buio, 15 gradi, immancabile felpa e kway. Si comincia, lasciato Portomarin, con una bella salita sul bosco e poi un sentiero tra campi di grano e girasole.

Pian piano si accende un nuovo giorno: di fronte 25 km!

Un po’ doloranti, siamo però motivatissimi. Io sto bene, ho voglia di camminare. I primi chilometri sono praticamente uguali, costeggiamo una statale poco frequentata, siamo nella Galizia celtica, case tipiche. Un caffè e si riparte. Il percorso è più dolce, nulla a che vedere con quello di ieri, più interessante ma più impegnativo.

Incrociamo una coppia di amici che per un po’ ci fa compagnia. Un francese che ha una ditta di infissi e un pescarese commercialista che sentono me e Guido parlare di politica. Il francese, che abita a Pescara, mi sfotte: non vuol sentir parlare di politica, per di più nel Cammino. L’amico (anche lui un deluso dalla politica, di “destra” come me) mi incita: “un politico che fa il Cammino non può che essere un buon politico. Non mollare”. Mi strappa un sorriso.
Chiacchieriamo per qualche km, poi li perdiamo. Cose normalissime al Cammino.
A Llegonde si materializza una piccola oasi: timbro sulla Credencial, the, acqua e caffè caldo gratis. L’uomo seduto davanti alla scrivania è un argentino: non risparmia sorrisi e battute e e ti ricorda che in omaggio c’è il portadocumenti, una guida e un braccialetto. Mi viene subito in mente l’idea che ci sia ancora gente che fa le cose per il gusto di fare. Sorseggio the alla menta, faccio riposare le gambe. Ci sono molti altri pellegrini con cui si parla e si scambiano consigli, molti sono italiani. Si dibatte se fare tutta una tirata o fermarsi lasciando qualche chilometro: decidiamo di accelerare.

Si riparte! Ancora tanto da fare, lunghe salite ma dolci, non si incontra anima viva finché non accade qualcosa che attira la tua curiosità, mentre comincia a piovere: un piccolo cimitero con le tombe che danno sulla strada e, a pochi metri, si materializzano due porte di calcetto che idealmente delimitano un campo. Vita e morte vicini, senza timore. Continuiamo a camminare per altri 500 metri e una mandria di mucche ci incrocia. Ci fermiamo e osserviamo senza disturbare.
Torniamo in strada. La pioggia si fa pesante ma ecco il cartello Palas de Rei“. Siamo arrivati! Il paese ci aspetta: 25 km a piedi bruciati in neanche sei ore. C’è tempo per un bel bocadillo (panino) e una cerveza fresca, per festeggiare la nostra bravura.

Ci siamo guadagnati un pomeriggio di relax. Domani si riparte per Arzua, circa 30 km: la più lunga di questo Cammino.

Se ci pensi il Cammino è una bellissima metafora della vita fatta di salite e discese, cose che accadono che ti sorprendono, altre sempre uguali, e nello zaino porti tutti i problemi e le difficoltà come un peso nella vita: maggiore è il numero più fatichi e solo lasciando l’essenziale puoi camminare spedito. Alcune volte sei veloce, altre sei lento. Gli incontri sul Cammino ti ricordano che ci sono persone che ti accompagneranno per tutta la vita, altre per un po’, alcune le perderai, altre invece le vedrai solo di passaggio.

E magari quando meno te l’aspetti scoprirai persone nuove che condivideranno con te qualcosa.

Da Sarria a Portomarin

A Sarria arriviamo alle 11. In programma il reperimento della Credencial al vicino monastero e la prima tappa del Cammino fino a Portomarin, più o meno 23 chilometri.
Recuperato il prezioso documento ci attende subito una bella salita, una delle tante che troveremo.
Cammino insieme ad amici conosciuti qui: papà imprenditore e figlia di Reggio Emilia, un ex direttore dell’ACI e un’altra donna che ci lascerà a metà strada.
Non ci conosciamo, abbiamo storie diverse, veniamo da posti lontani ma tutti ci troviamo in quel luogo e senza quasi accordarci ci incamminiamo insieme. Bellissimo. È lo spirito di questa esperienza: conoscere persone per caso, senza chiusure verso nessuno, fare tutto il cammino, solo una parte o brevi tratte con loro o semplicemente salutarsi, e augurarsi “buon cammino” che detto a un cagliaritano fa sorridere.
La freccia gialla ci segnalerà la strada: sarà lei a indicarci il percorso. La troverò nei sassi, nell’asfalto, nei muri.
Si comincia e subito attraversiamo un bel bosco, costeggiando una ferrovia. Poi si apre uno scenario che cambia rapidamente: paesini remoti fatti di gente semplice e case di pietra, radure e praterie, campi, boschi e sentieri aperti. I dislivelli sono tanti, si saltano ruscelli, si entra quasi nei cortili mentre le mamme stendono i panni.
Quando pensi che tutto sia monotono ti appare una croce dove i viandanti lasciano attaccato qualcosa (una foto, una maglia, una scritta, l’etichetta del biglietto aereo), una fontana, una chiesa, un piccolo cimitero, un rifugio oppure una casa dove ci sono fuori frutti di stagione e acqua in cambio di un’ offerta.
Tutti sorridono. Non esiste straniero. Non esiste sconosciuto. Chiunque vi veda vi saluta e nessuno specula sui pellegrini: i prezzi di tutto sono popolarissimi.
Dopo 5 chilometri (siamo partiti tardi) pranziamo con panini e acqua in un bel posticino con musica celtica in sottofondo. Abbiamo fatto pochi km ma siamo già stanchi. Mi tolgo le scarpe, ricarico il cellulare, ci sediamo a tavola e prendiamo panini squisiti e abbondanti e acqua. Dopo mezz’ora si riprende. Ancora campi, radure, piccoli villaggi, case povere, muretti. Sterrati o asfalto, pavimenti di pietra o cemento. Incontriamo anche tanti ciclisti.
A un certo punto una bellissima scena: un vecchietto seduto si alza e ci regala un bastone appena tagliato e un fiore per Erika. Chiede di pregare per lui a Santiago. Che emozione!
Momenti in cui la strada si perde chissà dove e distanze che sembrano solo sulla carta brevi ma che sono spazi immensi da conquistare chiacchierando o in silenzio. Profumo di campagna e sterco, spesso lo scenario richiama la Sardegna.
Ceppo dei 100 km di distanza da Santiago, foto di rito poi un caffè e un’aranciata a Morgade. Come se fosse un’oasi. Chiacchiere al volo con tutti, c’è una nonnetta in un tavolo con le gambe sulla sedia. Portomartin è lontano. Anzi lontanissimo. L’ultimo tratto non finisce mai e in più ci si mette anche il sole che batte. Teniamo duro. La stanchezza si fa sentire, di dolori non ne parliamo, si va a rilento per ore finché dopo una ripidissima discesa si va in strada e si trova l’agognata meta che domina su un lago artificiale, dove prima c’era il paese (di cui si vedono le rovine) costruito ora su un’altura. Un ponte di 350 metri alla cui fine c’è una scalinata e una salita.

Sembra non finire mai.

I miei amici sono avanti, Erika cammina con me. Mi soffermo su una piscina e bel campo di calcetto. Ci offrono una coca gelata non appena li raggiungiamo. Un premio, una bevanda che tra l’altro non bevo mai. La finisco in pochi minuti preso oramai dall’entusiasmo di aver “vinto” la prima tappa, incurante del fatto che fossi accaldato. Errore: dopo cinque minuti, nella hall dell’albergo, mi gira la testa e per poco non svengo. Una stupidata che poteva costarmi caro. Gli amici capiscono subito e mi tranquillizzano. Dopo qualche minuto è tutto passato, cena e ora mi preparo per dormire.

Lezione: mai abbassare le difese anche se pensi di aver fatto tutto bene e di aver vinto.

Il pericolo è sempre dietro l’angolo. Così come la sveglia domattina alle 6.

Destinazione Palais del Rei, 25 km.