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La Siesta

Un pezzo di Sardegna di quella bella e che adoro, che non scimmiotta milano o ibiza. Sulla provinciale rientrando a Cagliari, altezza Capitana, in uno dei tanti incroci dimenticati da Dio, il bar La Siesta (mai nome fu più azzeccato per descrivere l’aria che respira) sembra un’oasi nel deserto.

Qui puoi fare un salto nella Sardegna anni 80, di birre Ichnusa e gazzose Primera quelle per rinfrescarti quando in auto stavi senza condizionatori d’aria.
I banconi marroncini, il listino prezzi con le lettere da comporre (strano non siano in lire), gli espositori color argento con una sfilata di orzate, mirti, Amaro Averna e Villacidro, e al banco una bellissima ragazza tatuata, mora, con capelli lunghi e lisci, labbra morbide.
– ciao, prego
– un cappuccino, un cornetto e un bicchiere d’acqua
– acqua da mezza?
– no, un bicchiere pieno.
Lei, uno sguardo profondo e semplice, che potrebbe raccontare da sola la mia idea Sardegna.

A volte ti prende così (racconti serali inutili)

A volte ti prende così. Finisci il lavoro serale, spegni il Mac e poi hai una voglia matta di uscire. Senza meta, prendere la macchina e girare, forse cercando te stesso o altri scampoli d’estate.
Musica sempre a palla, Sky and Sand, Kalkbrenner. Toc totoc toc toc totoc toc…

In the nightime

when the world is at it’s rest

you will find me

Mi ricordo che ho chiuso così il ‘Thank god it’s friday’ dell’inverno scorso tra chi ballava bicchiere in mano e occhi chiusi, trasportato dalla mia musica e chi non capiva quel pezzo e pensava fosse un lento e aspettava ritmi più forsennati.
Ricordi, spudorati ricordi. Ogni canzone una serata, una stagione, un posto.
Poi ti ritrovi qui, a riascoltare quel pezzo maledetto. A farti un giro per rendere meno inutile questo lunedì, nel tentativo di trovare altre anime disperse o semplici segno di vita o complicità o ispirazione. La monotonia della città rende complicata l’esistenza e pure addormentarsi non è mai facile.

Allora esci, qualche soldo in tasca, alla ricerca di un bar.
Via Roma, la mia prospettiva Nevski, semafori rossi, semafori verdi, semafori che decidono chi passa chi no. Bar all’angolo. Malfamato. Due strani figuri seduti sull’angolo parlano di loschi affari e controllano la situazione. Un altro, giubbottino North Sail e cappello leccato da K2 dei bei tempi che chiede alla barista se è sporco di fango o meno.
Caffè e un bicchiere d’acqua, prego. Poi un mirto. In tv una rete satellitare trasmette qualcosa che nessuno vede.
Te lo allungo? Dice lei. Potrebbe apparire una spudorata avance e in sere così ci starebbe pure svoltare la serata con sesso transitorio, in realtà parla del caffè anche se mi ruba un sorriso malizioso. All’ingresso, il tizio continua a dire “ma sono sporco di fango”. Lei non risponde.

Passa il mezzo per pulire le strade. Schizza detergente. Nei pavimenti di via Roma brillano le luci. Auto sfrecciano incuranti della cunetta e del pavimento liscio.
Risalgo in auto. Il giro continua.

I found myself alive

in the palm of your hand

as long as we are flyin’

All this world ain’t got no end

Un altro libro finito

Mi son fermato qui. Ho ordinato un caffè senza pretese in un bar della vecchia Praga. Mi sono seduto. Ho acceso l’Ipad. Finito un libro. Ho passato un’ora grondando di curiosità per vedere quel che sarebbe successo, mentre il mondo passava fuori dai vetri ed un calore familiare mi coccolava.

Ultima pagina, finito.

Era “Chiedo scusa” di Frisko.

Caffè di comprensione

Bar del centro, chiedo caffè e mezza d’acqua.
Il piattino resta senza tazzina, c’è solo il bicchiere pieno. Uno, due, cinque minuti. Il barman si mette a fare altro.
A quel punto capisco: si è dimenticato di me. Richiamo la sua attenzione. Senza sbraitare. Senza lamentarmi del servizio su fb come fanno tanti senza dare una seconda chance a chi sbaglia. Che avrei dovuto fare?
Appena compreso l’errore è costernato. Sa bene che un cliente potrebbe parlare male di lui, ora.

Capisco bene: di questi tempi la mente vola via facilmente. Siamo presi da mille impegni, pensieri, problemi. Ci distraiamo con poco. Anni difficili e tutti ci siamo dentro in questo casino, inutile negarlo.
Può accadere.
Così lo rassicuro. Non perderà un cliente.
Ho gustato un ottimo caffè e ho messo un po’ di pazienza nel mio bagaglio personale.

La comprensione è un’arma meravigliosa.
Molto spesso la ricevo da altri, amici e non, anche in maniera inattesa, quando sbaglio o non sono preciso. Basta e avanza per sapere che sono sempre in debito.

Per le strade di San Michele

Una domenica come tante, dopo un sabato movimentato.
Mi concedo un po’ di relax. Risveglio, accendo facebook, scrivo qualcosa, controllo la posta e poi esco a fare colazione. L’immancabile automobilista con l’impianto a tutto volume che spara reggaeton è un classico.
Doccia e mi alzo. Obiettivo, dicevo, colazione. Perché non farla in casa? Perché questa tradizione ti obbliga a uscire e quindi ha evitare di fare i bradipi tra le proprie quatto mura. La domenica il rischio è forte. Ti obbliga a prendere la bici e a raccontare una passeggiata tra le rovine e le miserie di San Michele, alla ricerca del primo bar (possibilmente malfamato o comunque non di classe) disponibile.

Attraversi il quartiere con una tranquillità unica e ti godi tutto il tuo tragitto in bicicletta. Le doppie file, il mercato della piazza, i motorini che impennano, il caos e gli arrotini sono rimandati a lunedì. La domenica tutto si ferma come per incanto e nell’aria c’è solo profumo di carne arrosto e pasta al forno, con annesso rumore di piatti. La gente è chiusa dentro le case, guarda la partita del Cagliari. Anche al bar, si ascolta la radiocronaca di Vittorio Sanna: qui non c’è Sky, sembra essere tornati indietro, ai tempi di Bruno Corda. Quanti pomeriggi alla radio per sentire quella voce, quel collegamento e ricordarsi a memoria gli spot: formaggi ovini sardi, la moto ce l’hai, Mario Casula Valeri, Neon Europa.
Conquisto una delle ultime paste a disposizione. Cornetto con nutella, insieme a cappuccino e mezza naturale. Classico. La barista cerca di disegnare un qualcosa con il caffè. Apprezzo il gesto. Gli avventori hanno tutti una birra in mano: a quest’ora per me sarebbe impossibile solo concepirla. Eppure ricordo quando nelle gloriose trasferte sconvolts sulle sporche navi Tirrenia, tra posti ponte e traversate infinite, sporchi dalla notte prima, si faceva colazione con la bionda sardegna.

Consumo e vado via, tempo di vedere che tutta l’attenzione pende sempre e solo sulle parole del commentatore di radiolina, il bravo Vittorio Sanna, che documenta con dovizia di particolari le gesta dei rossoblù.
La mia bici è legata al palo. Un tipo, all’uscita, birra in mano, mi dice che non c’era bisogno di legarla. Io sorrido e attacco bottone: “me ne hanno rubata una tempo fa”. Lui fa i complimenti per la mia due ruote, io minimizzo dicendo che era in offerta a città mercato, nulla di speciale. Qualche minuto di battute sulla crisi, sui tempi, e riprendo il mio cammino. Nei nostri quartieri chiacchierare è un attimo: c’è sempre un argomento a disposizione.

Slego e parto. Il senso civico a San Michele è un’espressione…. senza senso: cacche nei marciapiedi e rifiuti random. Passo a prendere il pollo in via Mandrolisai. Entro nella rosticceria e chiedo uno di quelli in vetrina. Mi servono subito. Ascolto un padre che analizza minuziosamente la gara del figlio, credo sia un giocatore del Cagliari2000 che disputa le sue partite. “hai fatto un gesto inconsulto” afferro solo questa frase. La prestazione forse non è stata all’altezza e i genitori, si sa, sono dei mister aggiunti.

Tempo perfetto, nuvoloso ma clima gradevole. La domenica, giorno di riposo, riassestamento e riorganizzazione. Devo finire il mio ultimo mix (chiamatelo cd, megamix, invernixi, compilation) per poi metterlo a disposizione di chi abbia piacere di scaricarlo e ascoltare la mia musica. Ho voglia di fare mille cose, ma ne faccio sempre un dieci per cento.

Almeno a scrivere ci riesco. Così non dite che non vi penso mai e che non scrivo mai nulla.

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