Campovolo 2012 Italia loves Emilia

Vidi il mio primo concerto quando avevo 14 anni. Era Vasco. Mi ricordo che era al Sant’Elia appena ristrutturato per i mondiali del ’90, ero in prima superiore, faceva un caldo assurdo, era appena finita la scuola e il tour si chiamava Fronte del Palco, uno dei più fortunati dell’artista emiliano.

Andai prestissimo con alcuni amici dopo aver convinto i miei (potete immaginare cosa pensassero dei concerti e di Vasco) e a furia di annusare erba e marijuana, che a quei tempi neanche sapevo cosa fossero, mi sentii pure male. Avevo bevuto e tra caldo e vapori assuefatti dovevo vomitare. Mancavano poche ore al concerto: cercavo un bagno e come per incanto si materializzò uno studente palestinese che a quei tempi studiava vicino a casa che faceva sicurezza negli spogliatoi dello stadio. Quando pensi agli angeli, quando pensi a quelle casualità felici che non ti spieghi. Mi fece passare, trovai un bagno e ci sbroccai l’anima credo. Qualche stanza vicino c’erano Vasco Rossi e la sua band. Ecco, posso dirlo: ho sbroccato negli spogliatoi del Sant’Elia, a due passi da Vasco Rossi. Che ricordi. Anche perché poi, completamente rigenerato, avete presente il post vomito? Mi godetti tutta l’esibizione.

Oggi tornare a vedere un altro concerto è un salto nel passato, un tornare bambino, immergersi in una folla, in tutti quei riti che fai solo ai concerti: arrivare inutilmente presto quando potresti arrivare più tardi, bere birra fino a non volerla più vedere per mesi, sdraiarti sul prato, litigare con le mosche e i grilli e ammazzare il tempo in ogni modo: 5 ore all’inizio di Italia loves Emilia.
Campovolo è uno spiazzo enorme che si riempie minuto dopo minuto. C’è gente di ogni tipo e età, ogni parte d’Italia. È uno dei teatri dei concerti storici della musica in Italia: casa oramai di Liga ma da qui sono passati pure gli U2.

Siam arrivati nel primo pomeriggio dopo un pranzo veloce a casa di Erika. In bicicletta, perché qui a Reggio le due ruote sono come la macchina per noi cagliaritani: un mezzo importante, fondamentale. Per raggiungere casa delle due sue amiche con cui siamo andati a Campovolo non vi racconto il tragitto in bici, io che guidavo, lei dietro: roba da Mr.Bean, tanto che lei mi ha chiesto “ma ci sei mai andato in bici?”. Io ovviamente ho risposto di sì ma le ho spiegato che non portavo una persona forse da quando avevo 12 anni. Così come non suonavo il campanello.

Ci hanno costruito chilometri di piste ciclabili, credo sia una delle città con il maggior numero: qui in poche parole non hanno fatto grossi problemi, non hanno ascoltato quei rompicoglioni che vogliono i parcheggi di fronte alla vetrina o a casa, quelli che parcheggerebbero anche dentro casa e quelli per cui andare in auto sia un tutt’uno con la propria identità sociale.
Differenze di civiltà che ogni volta (ahimè) mi fanno sentire in una periferia del mondo, accerchiato da gente fuori da ogni voglia di crescere e di limiti mentali e sociali. Ma vabbè….

In pochi minuti abbiamo tagliato in due Reggio, passando per due gallerie. Con la bici tutto è semplice: passi ovunque, parcheggi senza troppi pensieri e…resti in forma. Ritiro il biglietto acquistato online in un minuto, l’organizzazione è perfetta, tutto scorre e pensando che non si parla di poche centinaia di persone ma di 150 mila ticket capisco che si faccia sul serio. Qui la parola “sold out” detta orgogliosamente dagli organizzatori (il ricavato andrà alle popolazioni colpite) non è quel triste ritornello da evento a ebook dei locali cagliaritani. Non facciamo paragoni, dai…

Una birra, sdraiati sul prato a dormire e parlare. Chi gioca a carte, chi a pallone, chi mangia, chi legge. Con o senza maglietta, look più strani si mescolano e si incrociano. Giovani, vecchi, tatuati o no, tutti vestiti in maniera pratica e senza look troppo curati. Chi ostenta la pancetta, chi (tanti e tante) mutande in vista e culi flaccidi nel didietro. Tanta italianità popolare, gente da concerto.

Si riunisce una bella Italia, gli artisti riescono a raccogliere e unire generazioni diverse. Il palco è mastodontico, svetta come una cattedrale.
Il sole non risparmia: mi nascondo dentro il mio giubbottino, cerco la siesta. La musica in sottofondo è di Bob Marley, Simon And Garfunkel, poi c’è Tequila, un po’ di Hip Hop con il Dirty The Bastard e tanto altro. Poi i jingle delle radio: praticamente tutte quelle presenti. Qando passa radio deejay con Levels di Avicii la gente scatta in piedi e balla. Pochi secondi ma tutti si muovono: chissà cosa sarebbe successo se prima del concerto avessero messo un dj, magari Tixi. Suonare davanti a 150 mila persone, pardon suonare no sennò i musicisti si offendono, mixare anzi no perché qualcuno dice che non lo so fare, dai esibirmi davanti a questa platea….

La lista di artisti è un menù di prelibatezze: ci fossero stati anche Max Pezzali, Vasco ed Eros sarebbe stata un delirio. Accontentiamoci. Non li ho mai visti tutti assieme. Altro che Festival.

Ci avviciniamo all’inizio: nell’aria l’emozione si confonde con un buon profumo di maria. Guadagnamo metri, maledico i miei centimetri di statura. Fossi stato più alto e più bello chissà quante avrei contato oltre alle tante che ho colpito.

L’attesa è febbrile: ogni movimento dal palco fa scatenare applausi e urla. Il sole è andato via, Campovolo è un oceano di teste e luci. Immenso.

Comincia Zucchero che crea subito magia. Non conosco la sua canzone ma risentire uno dei cantanti della mia infanzia… Continuano i Nomadi che solleticano i ricordi con “Io vagabondo”. Solo oggi mi accorgo che non c’è il cantante a cui mi ero affezionato. Poi Giorgia (che voce) e i suoi brividi, le incursioni di Jovanotti (un vero mattatore), l’eclettico Zero (I migliori anni della nostra vita, presente!), la forza della Mannoia che comincia la sua esibizione con “Io non ho paura”, un mio tormentone di questi ultimi mesi, poi Tiziano Ferro anche lui a riscaldare le ragazzine.

C’é tempo per inattesi duetti, apparizioni sul palco, invasioni e rivisitazioni. Acclamatissimi i Negramaro e Giuliano, anche lui a duettare spesso con gli altri artisti. Baglioni ci porta indietro nel tempo, forse un po’ imbalsamato ma sempre all’altezza, la grinta di Elisa che sembra spaesata un po’ come al primo giorno di scuola, la furia animale di Piero Pelù e dei Litfiba (Tex…quanto tempo e che duetto con Liga!) e poi Biagio Antonacci e per finire tocca a due altri big come Jovanotti e Ligabue che non si risparmiano.

Gente che ci sa fare. Sono oltre quattro le ore di concerto interminabile e ti restano le ultime energie per goderti un grande finale con una riedizione di “A muso duro” di Pierangelo Bertoli. Tutti sul palco.

La stanchezza e il freddo non vincono. Campovolo si spegne lentamente. Uno spettacolo unico, forse mai era accaduto di riunire così tante voci. Ma quello che si è sentito oggi è una grande energia, una bella Italia riunita per una grande causa.
Una piadina e una birra, si aspetta che la folla si diradi e si torna, ancora in bici. È l’una e mezza, riattraversiamo la città con le due ruote per tornare a casa, cantando e pensando a quel che è stato. Passiamo per la cattedrale, le mie amiche parlano tra di loro, io vedo che si riattiva la linea del cellulare ricevendo una bordata di sms.
Non era un film, era tutto vero.

Stamattina la sveglia è alle 6,45: doccia, caffè e Erika mi accompagna all’aeroporto di Bologna.

Un abbraccio e un grazie infinito per l’ospitalità, giriamo pagina e prendo il volo verso Bruxelles. Evito di leggere le notizie dall’Italia e soprattutto da Cagliari. Fosse per me non parlerei più di calcio e politica. Vi sto scrivendo ancora dalle nuvole, forse è bello restare immersi in questo non luogo, in bilico tra un paese e un altro. Prima o poi tra le nuvole ci andremo, quando passeremo a miglior vita. Ultimamente penso spesso a come sia quel qualcosa che si chiama “dopo la morte”, se avremo ancora consapevolezza o tutto si spezzerà con l’ultimo respiro. Sarei curioso di sapere chi verrebbe al mio funerale, cosa direbbero le persone e come mi ricorderebbero. Ma anche di scoprire sul viso di gente che magari non mi sopporta da vivo una lacrima per me.

Il bip dell’aereo impone di spegnere il dispositivo. Perfetto, puntuale, come ho finito di digitare l’ultima frase.
Tra poco comincia la seconda tappa di questo strano viaggio.

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