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L'estate è finita (volo di rientro Cagliari-Linate)

Un silenzio irreale e poca gente sul volo Alitalia delle sette che unisce Cagliari Elmas con Milano Linate.

Lunedì 28 agosto 2017, l’aria fresca del mattino che profuma d’erba è il benvenuto sulla pista dello scalo milanese quando sgranchisci le tue gambe dopo un’ora abbondante sonnecchiando e svegliandoti giusto per lo snack “secondo quanto previsto nel volo”.

La giacchetta nera comincia a essere preziosa alleata, indispensabile ma precaria, mal si presta ad esser legata in vita, e cade sempre e ogni volta rifai un nodo, poi uno doppio, poi basta.

Pochi volti sorridenti, altri come il mio reduci quasi da un match di boxe ma senza premi particolari se non una platea che ti urla contro, nessun bimbo che urla felice ed eccitato, nessuna famigliola in assetto di rientro dalle ferie. Solo volti grigi. 

L’estate, anche se il calendario direbbe altro, è finita.  Non per me che andrò ancora a cercarla, ora che tutti se ne dimenticano e cominciano a pensare al resto, al rientro dalle ferie, alla scuole  all’università. No, proprio ora viene il bello.

“Ma tu sei pazzo a cercar l’estate in autunno e a rovesciare il corso delle stagioni, pensando pure di trovarla!”

“Hey baby, Miss Cold

Acting so tough

Didn’t know

you had it in you so be hurt at all

You waited too long

You should have hooked me before

I put my raincoat on

Okay, I get it

Okay, I see You

were fronting because you knew you’d find yourself vulnerable around me”

 

 

Bon ton del volo

Manuale di bordo.Perchè non allegare al biglietto aereo un vademecum per il viaggiatore? Una sorta di bon ton del volo. 

Propongo alcune semplici idee.

Caro amico, nel viaggio condividerai tempo e spazio con altre persone. Abbi cura di te e di loro

1) cura la tua igiene personale

2) cura la tua igiene della bocca

3) non urlare, chiedi permesso, ricorda di ringraziare

4) rispetta la fila

5) controlla i tuoi bimbi, aiuta gli anziani

6) muoviti con garbo e attenzione

7) ricorda che in viaggio troverai persone diverse da te, per religione, lingua, usanze, rispettale.

8) rispetta e non sporcare o danneggiare gli spazi comuni, tavoli, sedili, servizi igienici, postazioni. Vengono usati anche da altri

9) arriva in aeroporto sempre con anticipo e organizzati per il controllo

10) rilassati e stai sereno!
(Che poi se ci pensate, possono valere anche fuori)

Ritorni (trasvolando l'oceano)

Tra le nuvole. Le mille posizioni del kamatixi, stanotte provate tutte qui sul volo per cercare di prender sonno. Ho dormito. Non ho capito quanto ma almeno l’ho fatto.
Risveglio, cambio l’ora. Riallineo la mia vita con voi. Esco dal posto per sgranchirmi le gambe, mi lavo la faccia e pure i denti per avere quelle splendida sensazione di freschezza. Mi godo il monitor qui che racconta dove sia l’aereo. Siamo sopra l’Irlanda, oh mia cara Irlanda, terra di magia e di speranze! Quando tornerò da te? Non scherzare, stai sempre viaggiando Tixi! Vuoi già ripartire?

E’ arrivata una ricca colazione, ho scelto omelette. C’è un croissant, spremuta, biscotti, fagioli, patate e funghi. Creme e philadelphia. Poi frutta. Ci viene servita con la solita cortesia del personale Emirates, questi ci sanno fare. Ci coccolano.

Ho un vicino sarchiapone italiota che nemmeno vi racconto: uno che si è sdraiato come se nulla fosse qui di fianco poggiando la testa a due millimetri da me e che si sveglia puntualmente quando arrivano i pasti, mangiando come un abramito. Povero me! non toglie che il primo sole e il cielo azzurro, mi abbiano ridato un sorriso. In cuffia musica buona, risento la colonna sonora: via MJ. Tra due ore sarò a Malpensa, per provare a prendere il volo delle 14 a Linate, altrimenti sarà per le 18. Io ci provo.
Felice sabato a tutti 😉

Tra le nuvole (ciao Papà)

Caro papà,
sono tra le nuvole di questo volo che punta verso oriente. Probabilmente siamo vicini o forse no. Tu magari sei da qualche parte, nascosto dietro una nuvola, in qualche puntino nel il cielo sopra il mondo e io qui a scriverti.
Chissà cosa avresti detto sapendo che sarei finito qui stavolta, il tuo “ma chi te lo fa fare?” che un po’ mi manca. Come mi manca quando mi aspettavi ad ogni rientro, con quel tuo atteggiamento militare, la tua espressione da “spero sia l’ultima” anche se dubito che con tutti i rientri che ho fatto saresti venuto sempre a riprendermi.
Ma alla fine avrei vinto io. Io e le mie pazzie sulla tua pazienza di sopportarmi.
E’ da quando non ci sei più che ho riiniziato a viaggiare. Lo so che l’hai notato. Non che prima non lo facessi. Ma ero disattento a tante cose. Un turista, uno dei tanti. Poi sei andato via. E io ho peggiorato la mia malattia delle partenze, iniziando a viaggiare diversamente, prendendomi davvero sul serio. La gente si è chiesta perché? Cosa nascondi? Che fai? Quanto spendi? Io delle domande stupide della gente non mi sono mai curato. Ho sempre fatto di testa mia. Anche stavolta. Iniziando a prendere uno zaino, a dormire negli aeroporti, ad avere sempre l’ansia di nuove partenze e la nostalgia di nuovi ritorni. A farmi amici sconosciuti e a non aver paura della solitudine.
Forse per colmare la distanza dell’assenza, forse per perdermi e come sempre ritrovarmi cercando me stesso o il ricordo di te. Forse per non perdere tempo perché il mondo non ci aspetta e stare fermo non mi piace.
Non c’è un motivo. Me lo chiedo anche ora mentre allungo l’orologio e aspetto l’arrivo. Ma intanto son qui e non so la causa, sento che non ci sono poi troppe distanze da te. Questo mi ripaga di tutto il resto.

I viaggi della speranza

Condividere un viaggio verso Francoforte con tanti immigrati sardi e avvertire le sofferenze di dover lasciare la propria terra per garantirsi un futuro.

Non sono belli come noi, non vestono Armani e non parlano bene. Certi look sono sicuramente out. Eppure portano nel volto la tristezza delle ferie finite, della Sardegna a tempo, degli abbracci aeroportuali e degli arrivederci stagionali, dei risvegli freddi di foschia, nei monolocali precari, in una terra che non è loro. Esistenze immolate sull’altare di mille inutili piani di rinascita, promesse, campagne elettorali faraoniche e onorevoli con la pancia extralarge che usciva dalle brutte camicie sporcate da piatti di malloreddus.

Pagherei a tanti leoni da tastiera, certi onorevoli e leccaculo, questo viaggio per far vedere che anche noi sardi, nel 2015, siamo poveri e andiamo a cercare fortuna altrove, come fanno altri arrivando nel nostro paese.

Ma se non viaggi e stai tra piazza Yenne e il Poetto queste cose forse non le vedi.

Arrivederci Praga

Colazione, un po’ di lavoro sul macbook, bagaglio da rifare.
È una mattina sempre fredda quella della partenza. Il tempo corre veloce. Rumori di colazione in preparazione dalla sala, mi godo l’ultimo calore del letto. Aggiorno pagine e siti che seguo togliendo ogni traccia di festività passate. Una suoneria di vecchio Nokia rompe il silenzio insieme al ticchettio disordinato del cavo che tocca sulla bottiglietta d’acqua sul comodino. Apro la finestra: cielo scuro sui palazzi marroni di edilizia rigida. Controllo il cellulare: scarico.

Dopo aver perduto il caricatore del Macbook, ieri, una presina usb è partita. Per fortuna ne ho una di ricambio, ma pare che ad ogni viaggio debba fare i conti sempre con qualcosa che perdo o si fulmina. Oramai la lista è lunga. Prese, caricatori, cavi. Una maledizione.

Apro l’acqua della doccia, inondo il bagno di vapore e mi butto dentro. Poi mi chiedo: a che serve lavarsi e farsi belli e carini prima di un viaggio se tanto puntualmente dopo 5 minuti sarai sudato, i capelli scombinati e ti sederai in ogni posto immaginabile, compresi pavimenti dell’aeroporto?

Scende una neve dolce e soffice in questa fredda mattinata di Praga.

Fatto il check out, ho camminato per le vie del centro accompagnato dal rumore del trolley. Intorno a me la città riprendeva a vivere senza stress. Tutto sembrava seguire un ritmo regolare e rilassato. I tram vomitavano e ingoiavano gente alle fermate, le auto scorrevano, le massaggiatrici thai in attesa di nuovi clienti sedute davanti ai lettini, gruppi di turisti preceduti dall’accompagnatore con l’ombrello alzato aspettavano disposizioni, i negozi sputavano musica rabbiosa. Pitbull, Alesso, le ultime hits, sparate senza pietà da casse installate all’esterno.

In tutto questo, nessuno si curava del freddo e della neve e, pur essendo affollato, anche questo centro teneva un suo strano silenzio capace di farti distinguere ogni rumore.

Atterraggio.

Giubbotti dentro le cappelliere e fanculo se non c’è posto per i bagagli, urla, schiamazzi e applausi. Non ci metti molto a capire che stai tornando in Italia.

Sezione arrivi. Dopo essere sbarcati e rientrati in stazione, un breve percorso e si apre la porta. Esci dalla zona protetta. Sembra la porta dell’inferno. Aeroporto di Bergamo. Abituato ai ritmi tranquilli di Praga, ritrovi in un attimo tutta l’Italia. La sciatteria della gente, lo squallore in ogni forma, le urla di famiglie che litigano, le anime in pena alla ricerca di un’informazione, il caos che avvolge tutti, stranieri compresi, e l’immancabile ritardatario che corre e salterà le file. Mi nutro di coraggio, chiudo gli occhi, respiro forte e volo al controllo bagagli, visto che non hanno ancora ipotizzato che qualcuno potrebbe farci solo scalo. Invece si deve risorbire la fila. Bentornato, ancora una volta.

“Barcellona, vai ancora là?”

Certo che cambia tantissimo il clima tra un volo ryanair e uno di qualsiasi altra compagnia, già dal gate di partenza a Elmas, che magari sta nel primo piano con accesso diretto al velivolo e non dal basso, dopo la classica attesa snervante nel corridoio e la camminata in pista.
Volo pieno a metà, d’altronde chi va ora a Barcellona dopo la baldoria? Gli sconfitti come me, attaccati all’offerta low cost quando la festa è finita e vedi solo il resto.
Ora tutti tornano, immagino cosa debba essere il volo da Girona, truppe di persone ben vestite con buste pesantissime trofeo dello shopping e racconti di gesta epiche e applauso stile curva nord.
Qui la calma regna sovrana. Divido la fila di posti con una bella ragazza che come me legge un libro. Non capisco il titolo. Io pure vado avanti con il mio, l’Estate di Ulisse Mele un noir di uno scrittore sardo, Roberto Alba, che ho pure intervistato su radio Sintony. Ride ogni tanto.
Il posto al centro è vuoto: c’è il mio giubbotto e il suo. Il caldo è tanto: usa come ventaglio uno di quei cartoncini con le disposizioni di sicurezza in volo così che il suo bel profumo inonda il mio posto. Io provo a occupare il tempo con cose inutili: leggo, ascolto musica, rifaccio le playlist del mio ipod. Voliamo tra passato e presente. Il mondo pare attenderci. Ci accontentiamo di poco.
Eccoci, il bip annuncia che stiamo scendendo verso barcellona. Le luci sono tante. Registro conversazioni di altri passeggeri dietro di me che probabilmente ci vivono e vantano Barcellona come posto fantastico, seconda casa. Mi ritrovo. Le conversazioni tra viaggiatori in Spagna e semplici turisti del weekend sono davvero diverse. I secondi liquidano tutto a disco e calcio. Troppo poco per capire quanto in un viaggio ci sia da apprendere.
Annuncio con le disposizioni di atterraggio, spagnolo e inglese. Ci sono sei gradi a terra. Già lo sforzo per capire le parole pronunciate riattiva il mio cervello sopito da settimane di accallonamento. Nessun applauso. Si scende con tranquillità, nessuna scena da arrivo ryanair. El Prat è semi deserto, pavimenti lucidi puliti, vetrine illuminate e resti di Natale. L’autobus aspetta. Direzione Plaça de Catalunia.

"Barcellona, vai ancora là?"

Certo che cambia tantissimo il clima tra un volo Ryanair e uno di qualsiasi altra compagnia, già dal gate di partenza a Elmas, che magari sta nel primo piano con accesso diretto al velivolo e non dal basso, dopo la classica attesa snervante nel corridoio e la camminata in pista.
Volo pieno a metà, d’altronde chi va ora a Barcellona dopo la baldoria? Gli sconfitti come me, attaccati all’offerta low cost quando la festa è finita e vedi solo il resto.
Ora tutti tornano, immagino cosa debba essere il volo da Girona, truppe di persone ben vestite con buste pesantissime trofeo dello shopping e racconti di gesta epiche e applauso stile curva nord.
Qui la calma regna sovrana. Divido la fila di posti con una bella ragazza che come me legge un libro. Non capisco il titolo. Io pure vado avanti con il mio, l’Estate di Ulisse Mele un noir di uno scrittore sardo, Roberto Alba, che ho pure intervistato su radio Sintony. Ride ogni tanto.
Il posto al centro è vuoto: c’è il mio giubbotto e il suo. Il caldo è tanto: usa come ventaglio uno di quei cartoncini con le disposizioni di sicurezza in volo così che il suo bel profumo inonda il mio posto. Io provo a occupare il tempo con cose inutili: leggo, ascolto musica, rifaccio le playlist del mio ipod. Voliamo tra passato e presente. Il mondo pare attenderci. Ci accontentiamo di poco.
Eccoci, il bip annuncia che stiamo scendendo verso Barcellona. Le luci sono tante. Registro conversazioni di altri passeggeri dietro di me che probabilmente ci vivono e vantano Barcellona come posto fantastico, seconda casa. Mi ritrovo. Le conversazioni tra viaggiatori in Spagna e semplici turisti del weekend sono davvero diverse. I secondi liquidano tutto a disco e calcio. Troppo poco per capire quanto in un viaggio ci sia da apprendere.
Annuncio con le disposizioni di atterraggio, spagnolo e inglese. Ci sono sei gradi a terra. Già lo sforzo per capire le parole pronunciate riattiva il mio cervello sopito da settimane di accallonamento. Nessun applauso. Si scende con tranquillità, nessuna scena da arrivo Ryanair. El Prat è semi deserto, pavimenti lucidi puliti, vetrine illuminate e resti di Natale. L’autobus aspetta. Direzione Plaça de Catalunia.