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Liberi liberi

Mi piacerebbe spesso potermi sdoppiare e non rinunciare a nulla. Sono un ingordo di emozioni e vita, lo ammetto.
Mentre scrivevo, ieri sera, a mezzanotte, ho pensato: sto in un posto meraviglioso, dentro un silenzio di grilli e cicale con stelle appese in cielo e sarei voluto stare anche a Modena Park. C’era il cuore d’Italia oggi e vedere quelle immagini in tv mi ha messo dentro una sana malinconia. 
Là, nella solita Emilia che ho imparato a conoscere e amare, terra di contadini, buon vino, tavole imbandite, sudore, rock eccessi e cantanti, è passata oggi una parte della mia vita, raccontata da Vasco, uno dei cantori della mia infanzia e adolescenza. 

E allora giù di emozioni, il mio primo concerto proprio con lui a 14 anni (Fronte del Palco, 1989 al Sant’Elia), i jukebox, il Liceo Pacinotti, lo stadio, la curva e i primi Sconvolts, le cassettine dell’autoradio in macchina e nel walkman, le gite e le feste di paese quando ancora non c’erano i finti hipster e la gente di oggi che va a far passerella, le estati che non finivano mai, le canzoni che non ti abbandonavano e diventavano le uniche certezze in una vita che cambiava velocemente dalla giovane età a quella adulta nascondendo sempre felicitè e incertezze.
Vasco, 65 anni, potenza ed energia da vendere, vita spericolata da condividere, errori e debolezze che fan parte naturale della propria esistenza, come ferite e cicatrici che restano ma che ci mettono a confronto con il dolore e l’umana precarietà, e la dimostrazione che nessuno è morto e nessuno deve rinunciare a nulla finchè non è sepolto.
Liberi liberi siamo noi… è una storia d’amore, la più bella, con noi stessi.

Addio stadio Sant'Elia

Oggi niente Sant’Elia per me, sono qui a Milano per gli impegni da dj. Mentre cammino per Porta Nuova, quartiere avveniristico, con un sole che fa spavento e picchia forte sui grattacieli e le auto impazzite per io Giro d’Italia ho pensato a quanto lo stadio di Cagliari ha fatto parte della vita. 
Quanto ricordi ci ho lasciato tra gli spalti, quanti episodi, amicizie, quanta paura e quanta riconoscenza per quel luogo che ho iniziato a vedere mano per mano con mio padre in una lontanissima Cagliari-Inter del 1981, tribuna laterale numerata. 

Io troppo piccolo e lo stadio troppo grande per me. Entravo gratis, da under12. Salivo le scale dopo aver superato gli sguardi delle maschere ed allora cominciava la gioia, il continuo emozionarsi.
Mi innamorai dei colori, dei profumi di pipa e panini imbottiti e dei rumori della gente, di quei rituali domenicali. Mi batteva il cuore e se non era stadio erano capricci. 

Poi la promozione con Ranieri, il concerto di Vasco, la curva, la Coppa Uefa, anni in cui io e lo stadio eravamo una sola cosa. 

Il mio sant’Elia era quello dei sessantamila spettatori, del primo tabellone che ci emozionava, del ponte su Mammaranca, delle tribune lontane e scomode. 
Abbandonai lo stadio per anni. Non rimpiansi mai quella scelta. Forse era giusta e doverosa dopo troppo tempo. Un riflusso naturale.
Poi, qualche anno fa, quando oramai non pensavo accadesse più, l’ho riscoperto dietro le quinte, come speaker, nei suoi meandri ogni domenica e a bordo campo. 

Mai l’avrei detto che alla fine quel sogno da bambino sarebbe successo ma forse io ho avevo dato talmente tanto al Cagliari che il Cagliari mi ha restituito tutto. 
Caro Sant’Elia, sarai pure vecchio e inutile, ma la mia generazione ti ringrazierà per sempre. Terrai sempre con te e con la tua anima un pezzo delle nostre storie semplici.

Per le strade di San Michele

Una domenica come tante, dopo un sabato movimentato.
Mi concedo un po’ di relax. Risveglio, accendo facebook, scrivo qualcosa, controllo la posta e poi esco a fare colazione. L’immancabile automobilista con l’impianto a tutto volume che spara reggaeton è un classico.
Doccia e mi alzo. Obiettivo, dicevo, colazione. Perché non farla in casa? Perché questa tradizione ti obbliga a uscire e quindi ha evitare di fare i bradipi tra le proprie quatto mura. La domenica il rischio è forte. Ti obbliga a prendere la bici e a raccontare una passeggiata tra le rovine e le miserie di San Michele, alla ricerca del primo bar (possibilmente malfamato o comunque non di classe) disponibile.

Attraversi il quartiere con una tranquillità unica e ti godi tutto il tuo tragitto in bicicletta. Le doppie file, il mercato della piazza, i motorini che impennano, il caos e gli arrotini sono rimandati a lunedì. La domenica tutto si ferma come per incanto e nell’aria c’è solo profumo di carne arrosto e pasta al forno, con annesso rumore di piatti. La gente è chiusa dentro le case, guarda la partita del Cagliari. Anche al bar, si ascolta la radiocronaca di Vittorio Sanna: qui non c’è Sky, sembra essere tornati indietro, ai tempi di Bruno Corda. Quanti pomeriggi alla radio per sentire quella voce, quel collegamento e ricordarsi a memoria gli spot: formaggi ovini sardi, la moto ce l’hai, Mario Casula Valeri, Neon Europa.
Conquisto una delle ultime paste a disposizione. Cornetto con nutella, insieme a cappuccino e mezza naturale. Classico. La barista cerca di disegnare un qualcosa con il caffè. Apprezzo il gesto. Gli avventori hanno tutti una birra in mano: a quest’ora per me sarebbe impossibile solo concepirla. Eppure ricordo quando nelle gloriose trasferte sconvolts sulle sporche navi Tirrenia, tra posti ponte e traversate infinite, sporchi dalla notte prima, si faceva colazione con la bionda sardegna.

Consumo e vado via, tempo di vedere che tutta l’attenzione pende sempre e solo sulle parole del commentatore di radiolina, il bravo Vittorio Sanna, che documenta con dovizia di particolari le gesta dei rossoblù.
La mia bici è legata al palo. Un tipo, all’uscita, birra in mano, mi dice che non c’era bisogno di legarla. Io sorrido e attacco bottone: “me ne hanno rubata una tempo fa”. Lui fa i complimenti per la mia due ruote, io minimizzo dicendo che era in offerta a città mercato, nulla di speciale. Qualche minuto di battute sulla crisi, sui tempi, e riprendo il mio cammino. Nei nostri quartieri chiacchierare è un attimo: c’è sempre un argomento a disposizione.

Slego e parto. Il senso civico a San Michele è un’espressione…. senza senso: cacche nei marciapiedi e rifiuti random. Passo a prendere il pollo in via Mandrolisai. Entro nella rosticceria e chiedo uno di quelli in vetrina. Mi servono subito. Ascolto un padre che analizza minuziosamente la gara del figlio, credo sia un giocatore del Cagliari2000 che disputa le sue partite. “hai fatto un gesto inconsulto” afferro solo questa frase. La prestazione forse non è stata all’altezza e i genitori, si sa, sono dei mister aggiunti.

Tempo perfetto, nuvoloso ma clima gradevole. La domenica, giorno di riposo, riassestamento e riorganizzazione. Devo finire il mio ultimo mix (chiamatelo cd, megamix, invernixi, compilation) per poi metterlo a disposizione di chi abbia piacere di scaricarlo e ascoltare la mia musica. Ho voglia di fare mille cose, ma ne faccio sempre un dieci per cento.

Almeno a scrivere ci riesco. Così non dite che non vi penso mai e che non scrivo mai nulla.

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