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Grazie Maestro

No, niente Cr7. Le mie storie sono altre. Sono fuori moda, ne son consapevole.

La copertina mondiale è tutta per lui. Il maestro, Oscar Tabarez, vecchia conoscenza del calcio italiano e ex mister del Cagliari, in cui arrivò nel 1994, mentre io ero fresco di diploma e mi godevo la mia prima libertà, centrando un bel nono posto.

Altri tempi. Eppure quel sottile filo di garbo, stile e sensibilità non è stato mai tagliato.

Tabarez è stato colpito dalla sindrome di Guillain-Barrè che attacca il sistema nervoso. Si muove a stento, con la sedia a rotelle o le stampelle. Non ha rinunciato, però, al ruolo di ct dell’Uruguay ai mondiali russi.

Eccolo esultare al novantesimo per il gol della Celeste contro l’Egitto.

“Come sto? Più vicino alla fine che all’inizio. Ma le sfide, le grandi sfide, mantengono vive le persone”, disse tempo fa.

Grazie Maestro!

Un paese in retroguardia

Una delle cose su cui spesso mi sono scontrato con tanti è la sensazione che fuori dall’Italia, nonostante la crisi, si respiri un’aria diversa. La vedi e la tocchi con mano.
Una voglia di fare, di creare e di migliorare, di rischiare, di correre pur partendo da situazioni difficili che da noi non esiste più da decenni.

Il calcio ieri lo ha confermato. Il nostro paese è un pachiderma incapace di guardare avanti, fare progetti, regalare speranza e pensare futuro.
Un paese di continue mediazioni, tromboni e compromessi, di vecchi gelosi del proprio potere e giovani nati vecchi o talmente stupidi da non pensare al futuro e da non riuscire a prendere il posto dei vecchi.
“Figurine non uomini”, come ha detto perfettamente De Rossi.
Ogni tentativo di svolta e rivoluzione viene puntualmente osteggiato dalla classe dirigente e, peggio ancora, dagli stessi italiani, che boicottano chiunque si elevi oltre la mediocrità della massa e premiano i mediocri e gli imbonitori alla Renzi e Berlusconi. A loro piace questo: illusioni. E poi calcio, moda e televisione.

Ecco allora che quando ti confronti con qualsiasi altra nazionale o paese o quando viaggi hai la sensazione di essere tremendamente indietro, fuoriposto, lento e impacciato e a nulla vale la stupida presunzione di superiorità che vantiamo, forti di un passato che abbiamo buttato al vento o dei nostri abiti di marca.
“Ahhhh ma noi siamo italiani”, come se bastasse una frase per risolvere tutto. Oppure “Ahhh ma noi abbiamo il sole e il
mare” come se bastasse a far dimenticare corruzione, disoccupazione, mafia, ignoranza, come se fosse un diritto divino e non un dovere quotidiano vivere in una terra magnifica.

Nessuna fuga, perché non siam codardi, ma nemmeno stupidi da non vedere le macerie intorno e non raccontarle.
Non ci resta che continuare le nostre piccole rivoluzioni quotidiane, convinti che sia meglio apparire pazzi e fuoriposto, europei o cosmopoliti, che morire italioti.

(Se al posto di Italia metti Sardegna l’orologio lo devi spostare ancora più indietro)

 

Pillole finali

1) dimettersi dopo una sconfitta, così come hanno fatto Abete e Prandelli, è un gesto raro in Italia. La politica prenda appunti.

2) tutti si lamentano dei “giocatori figurine” e poi li adorano e fanno le stesse loro cose. Look stravanati, beats al collo, crestoni e tatuaggi.

Serate mondiali

La cosa più bella delle partite della Nazionale è il ricordo nel tempo di quelle calde serate davanti alla tv, di cosa facevamo, di dove eravamo e con chi.

Dove eri quando l’Italia vinceva i mondiali del 1982? E per Italia 90 quando Schillaci aveva i suoi occhi spiritati? Hai pianto anche tu come Baresi a Usa94? E all’ultimo mondiale?

Purtroppo inconsapevolmente affiorano nostalgie, luoghi e persone che non ci sono più ma peggio ancora l’idea che il tempo passi e non torni più.

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Quando finisce un evento

Quindi si chiude.

Ieri la finale, la cerimonia, la festa. Tutto è volato velocemente in questi Mondiali studenteschi.

Ora posso dirlo che è finita e da vecchio avrò un’altra bella foto nell’album dei ricordi, un altro bel momento di vita. Ho visto tante cose, la maggior parte bellissime.

Se nella vita vedi per una volta (come ho avuto la fortuna di vedere) israeliani, russi, iraniani, cinesi, armeni, kosovari, europei, sudamericani abbracciarsi senza tanti perché un po’ capisci che forse una speranza esiste ancora. 

Ad ogni fine evento le parole mi nascono dal cuore con tremenda facilità, forse rischiando di ripetermi spesso. Ma voglio un po’ raccontarvi questa sensazione, questo misto di stanchezza ed entusiasmo, pensieri e mal di testa.

Ti svegli (presto e senza motivo) e l’unica cosa che ti rimane è la stanchezza e i rumori di un hotel che pian piano si svuota. E voci che si allontano.

Un evento così non è un punto d’arrivo, ma di partenza perché impari mille cose, mille aspetti di lavoro e della tua vita, impari a conoscerti insomma: e ti accorgi che la strada della perfezione è sempre più lunga di quanto credessi.
Ma intanto si cammina, si cade, si continua a camminare…e si ringrazia chi ha puntato su di te, sperando davvero che in questo momento la forza sia con lui.

Ed eccomi qui, solo in una segreteria stranamente vuota, chiudendo le ultime cose perché malgrado tutto, le cerimonie e le feste, il lavoro non è finito, perché bisogna esserci fino all’ultimo, perché questo bellissimo mestiere non ha orari, non si chiude, non si fa il compitino e poi stop, ciao e grazie.

Scrivania di appunti e cose da finire. Cavi da recuperare, mail da inviare, pagine da rileggere. E prime valutazioni che arrivano: perché qui ad ogni delegazione è stato dato un foglio per giudicare tutti gli aspetti del Mondiale. Tra cui la comunicazione.

Metto in loop “Magic” dei Coldplay mentre il cielo davanti al Setar è un dipinto di nuvole e squarci d’azzurro, il vento tira forte, e penso già al prossimo domani, ai prossimi viaggi e progetti, spero bellissimi.
Spero che la vita me ne riservi altri. Spero di fare cose bellissime. Di migliorare, di capire, di sperimentare, di rischiare, di limare diversi aspetti ruvidi che ho. Spero di fare le scelte migliori e non farmi distrarre dalle stupidità, spero di trovare anche negli errori una sana lezione.

E anche oggi ricordo quanto il tempo sia breve per vivere veramente come si crede.