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Una corsa al tramonto a Lagos, in Portogallo

Corro fino a mare attraversando un bel quartiere residenziale. Il sole scende veloce, le ville si colorano di arancio. Tutte eleganti, curate, con i giardini ordinati e le intestazioni nelle mattonelle bianche e azzurre.
Accelero il passo ma quando arrivo in spiaggia il sole è appena andato via.
Mi sento come un fedele che ha tardato al passaggio di sant’efisio. Che poi non mi sono accorto di essere finito in un’altra piccola città a sud-ovest del centro, un posto chiamato Amejeira.

La Praia de Porto Mós, così si chiama la spiaggia, è circondata da alte scogliere, una lunga lingua di sabbia soffice, dorata e bagnata.
Ci sono gli amanti del tramonto, quelli che appaiono tardi. Chi si raccoglie in meditazione, chi corre col cane, chi legge, una cartolina d’estate infinita. Controllo il calendario: è 9 novembre!
Un baretto vicino diffonde musica anni 80. Ha tutta l’aria di essere vicino alla chiusura e i camerieri pregano con lo sguardo che i pochi clienti si affrettino a scolarsi le ultime birre Super Bock insieme alle immancabili olive e patatine.
I colori cambiano e all’imbrunire, quando in spiaggia ci contiamo, si accendino le lampade di barche ancorate davanti. Spettacolo.
Prima mi faccio una foto e stilo un bilancio della giornata.
Ho disconnesso tutto, tranne che l’anima.
Ho pensato che non ci sia nessuna fretta e ansia doverosa e le cose importanti della vita restino poche.
Ho iniziato ad amare l’asincronicità.
Ho afferrato un’estate che stiracchiava per le strade di un paesino sconosciuto ai più.
Ho meditato.
Ho letto e scritto tantissimo.
Ho fatto quasi trecento chilometri.
Ho corso fino all’oceano.

C’è una strana energia quando sei lontano.
Se non fosse stato per una donna a cui ho chiesto l’ora nemmeno me ne sarei accorto. Ho rimesso indietro l’orologio, c’è il fuso orario, e ora parlo dal futuro.

Corse di quarantena

Accendo la musica in cuffia e vado a correre. 
Lo faccio nella zona vicina a casa, seguendo alla lettera tutte le prescrizioni.
Scelgo un orario poco frequentato.
Mi godo il sole e un profumo dell’aria che da lontano mi fa pensare a qualche caminetto acceso. L’avrei voluto anche io, nella vita, lo ammetto.
Incontro sguardi persi e tristi.
C’è il babbo che sorveglia il figlio che fa due palleggi. Il ragazzino che dondola sull’altalena. Un altro ragazzo che cammina con il gesso. Una signora che prende il sole in un muretto e legge i messaggi del cellulare.
Tutti soli.
Appena passo, incrociano il mio sguardo con timore e quasi si voltano. Sembra abbiano vergogna che possa giudicarli, filmarli o segnalarli.
Faccio un gesto con la mano e saluto.
“Vengo in pace e sono un signor nessuno” vorrei dire loro.

La mia filosofia è sempre la stessa.
Rispetto le regole e rispetto la mia intelligenza e sensibilità.
Non voglio vivere in un mondo dove le persone abbiano paura di altre persone.
Dove ci guardiamo con circospezione.
No.

Prima corsa dell’anno

Il ritorno comincia la mattina. A Merano c’è un bellissimo sole che rischiara la valle e permette di ammirare le Alpi.

La vita della cittadina riprende dopo un primo dell’anno di pausa quasi forzata, il traffico in centro convoglia attorno al fiume Passirio, e noi che dopo una ricchissima colazione fatta di proteine, e guai a pensare al viaggio che finisce, veniamo salutati da Franz dell’hotel con la sua solita cordialità. E poi dicevano che gli altoatesini fossero freddi e scorbutici!

Trecento chilometri quasi d’un fiato, cercando di bypassare il traffico della Brennero-Modena, entrando e uscendo dall’autostrada grazie al navigatore e tagliando per Affi per poi scivolare sulla Venezia-Torino, la A4. Volano i ricordi a Rovereto, uscita per le mie estati a San Valentino. Poi c’è Bergamo, pista di decollo di mille viaggi impossibili.

Ci fermiamo un attimo verso Brescia, l’autogrill rigonfio di viaggiatori di andata e rientro. Il pollo è secco, l’insalata non sa di nulla, ma io riprendo a far circolare sangue nella mia gamba appena operata.

Milano è anticipata da cartelli giganteschi, ma l’arrivo è lontano. Noi usciamo a Certosa, dopo mezzo giro di tangenziale, cozzando con il traffico del primo giorno di lavoro della grande metropoli.

Lascio lei in albergo, trovo al volo un lavaggio d’auto in zona Fiera Milano. E’ curioso che in cinque mesi d’auto ancora non abbia avuto tempo per mettere il mio bolide sotto le spazzole. Sono 9 euro e cinquanta, l’organizzatissimo Car Wash si trova sotto la Torre Hadid, quella storta, lasci l’auto in una moderna catena di montaggio con lavaggio veloce dentro e fuori.

C’è tempo per una spesa veloce, senza carboidrati e zuccheri aggiunti, e per riordinare casa. Metto a lavare frutta e verdura, attacco la lavatrice con i resti della vacanze e provo a pensare a cosa fare a cena. Semplice: insalata e un secondo.

Mi sento uomo di casa, anche se il caos non accenna a diminuire. Preparo per la mia prima corsa del 2018, come fosse un’idea geniale. Fuori non sembra esserci troppo freddo malgrado il calendario. Gigioneggio un po’, in quel classico momento di dubbio tra uscire e non uscire. Il caldo del riscaldamento della case del Nord e il divano ti coccolano. Invece la motivazione è più forte: cerco le cuffie e tra le cose c’è questo pezzetto di carta regalatomi da un caro amico, Matteo MrBizz Floris. Vorrà dire qualcosa?

Ci penso mentre scendo le scale e il freddo mi prende a schiaffi.

Prima corsa del 2018, prima corsa dopo l’operazione alla gamba. Sento il gelo nella porzione di faccia che resta fuori e la gambe vanno senza pensieri. Corro per una ventina di minuti, con il completo invernale fatto di pantaloni lunghi, maglietta termica, scaldacollo e cuffia.

L’iphone, che all’uscita di casa contava il 34 per cento di batteria, crolla con vergogna mi molla a poche centinaia di metri sul più bello, Heroes di Alesso. La mia colonna sonora motivante da corsa conta sempre una bella tracklist di canzoni da festival Edm.

Resto nel silenzio, io e il mio fiato, e le poche luci di strada. Giro e poi torno e non sento un filo di stanchezza. Pensavo peggio, dopo un mese di pausa. Invece capisco di aver ancora tanta voglia di correre, e non solo su una pista solitaria.

 

La lezione della corsa

Sono tornato a casa felice. Ho chiuso la mia Deejayten qui a Milano, la corsa di dieci chilometri organizzata ogni anno da Radio Deejay. Il primo obiettivo era arrivarci e farla, poi magari farla decentemente.

I risultati finali, grazie all’SMS con i tempi che ti arriva grazie al chip montato nella tua pettorina, sono stati davvero lusinghieri: 55 minuti, nella media di 5:30 minuti per il percorso di dieci chilometri. Oltre ogni aspettativa, anche perchè in allenamento stazionavo tra i 5:50 e i 6:10.

Certo, dieci chilometri sono solo un inizio. Mi scusino i veri atleti per tanto entusiasmo. Le distanze sono tante. Almeno il doppio. Se penso che New York è 42 chilometri abbondanti, torno con i piedi per terra.

Lasciatemi godere di questo momento, però.

La corsa è una piccola grande lezione di vita: preparare un obiettivo per mesi, piccolo ma per uno come me (abituato a fare 4/5 chilometri di media) già importante. Soffrire fino alla fine, quando sembra più complicato di quanto credevi allenandoti perchè emergono emozione, tensione e paura. Poi, quando finisci, dopo esserti sfondato con la busta ristoro (tè, barrette, noccioline, grana e tanto altro ben di dio) cronometro alla mano, veder di aver fatto il tempo migliore (5:30/km di media) e pensare già alla prossima.
In fondo ce la puoi fare, se ti alleni e se hai pazienza e non ti arrendi. Così funziona il mondo.

Sindrome da foglio bianco

Ci sono giornate dove devi finire dei lavori e scrivere dei progetti o articoli importanti in cui è richiesto uno slancio particolare. A un certo punto ti prende lo sconforto, la sindrome da foglio bianco. Non trovi idee o parole. Ci sono delle strategie per stuzzicare il cervello. La più bella per creare, inutile dirlo è il viaggio. La seconda, più economica, è andare a correre. Lo stacco, le immagini, le sensazioni aiutano.

Le parole pian piano arriveranno.

3 gennaio, sole a Barcellona

Le previsioni davano freddo ma sorpresa delle sorprese ho trovato qui un bel po’ di primavera. Sole, venticello sopportabile e così mi son fiondato da Decathlon per acquistare tre oggettini, i più economici possibili, per andare a correre: maglietta, pantaloni e calze. Trenta euro spesi benissimo.

Cambio programma, quindi: corsa da Raval al lungomare. Quattro chilometrini. Roba da dilettanti ma si fa qualcosa. Solite emozioni, oramai è un classico, ma è divertente girare la città in corsa e come mèta avere questo litorale, animato più che mai. Mi pare di capire che questa spiaggia sia un luogo di incontro senza stagione. Ed anche oggi, a gennaio, è animata e viva di turisti, catalani ma anche strani personaggi. Così come mio solito, posso fermarmi nel quadrato per allenarmi, passeggiare o semplicemente guardare il mare facendomi coccolare da questa leggera brezza. Starò male a divertirmi con così poco? In fondo i miei viaggi sono questi. Pochi percorsi turistici, molte sensazioni semplici. Ora però riprendo a correre, devo guadagnarmi la paella che mi mangerò dopo.

Correre di domenica

Questo tempo è fantastico, specie quando decidi di correre sul tardi, di domenica, quando la temperatura è perfetta.

Spengo il computer, i pensieri e volo a Monte Claro.

Cammin facendo, incrocio le luci (poche) della festa della Medaglia miracolosa, piazza omonima, quartiere San Michele. Scattano i ricordi, quando ancora si faceva all’oratorio vicino. Era una festa diversa da quelle classiche, non poteva avere dignità di Santa Greca di Decimo o Santa Vitalia di Serrenti, là c’era davvero aria di festa, qui al limite c’erano le risse alla fermata condivisa del 3 e del 14 tra burdi di Mulinu in trasferta tipo ultras e simpatiche cricche di San Michele che di certo non si facevano mangiare la pastasciutta in testa.
Di certo non ti puoi scordare che uno degli ospiti fissi del momento musicale era sempre Mario Fabiani con la sua orchestra, nei tempi in cui il tormentone era “Isola isola”. Solo i rottami come noi possono capire.

Ci si sedeva sugli spalti dell’oratorio credendosi un po’ a San Siro, quando ancora quel campo era in asfalto, San Michele era un quartiere come sempre pieno di contraddizioni, ancora più lontano di oggi dal resto della città, il parroco si chiamava Padre Piero e la domenica ti chiamava pure sull’altare tipo-interrogazione a parlare del Vangelo. Noi, quelli che avevano paura della messa dei bambini, nel fatidico orario delle 10. Noi, quelli che poi marinavamo la messa salendo sull’autobus numero 8. Noi, quelli che abbiamo anche ascoltato Radio Smerry Boy (si chiamava così?)

Ora tutto è cambiato, dimesso: poche bancarelle, zero arrosti, bandierine preconfezionate, poche anime, forse nemmeno la processione. I tempi cambiano, le feste non tirano e hanno stancato.

Raggiungo in pochi minuti Monte Claro. Accenna a piovere, ma non infastidisce. Anzi, ringrazio il cielo. Venticello perfetto. Non soffro caldo o freddo anche se mi presento con pantaloncino e smanicato di una vecchia stagione sportiva di cui nemmeno ricordo.

Classica situazione perfetta dal punto di vista spazio-temporale. Sono le 8 meno un quarto, truppe di genitori con figli al seguito smobilitano anzitempo come i distinti delle partite del Cagliari. Proprio ora, penso! Proprio sul più bello. Una impunemente fa pisciare un figlio in pubblico. Un bimbo cade due o tre volte da uno skate, ma ci riprova, e riprova ancora.
Restano pochi avventurieri a sfidare l’oscurità e la sera. Nulla di epico, solo voglia di respirare. Il percorso si ripete, visto che non c’è tantissima strada. Ti devi inventare geometrie.

Ogni tanto incontri qualche fantasma, coppiette che si appartano per consumare sesso, o qualche atleta (di serie A) che completa il giro degli eserciti con la sessione a terra (per me vietato in quanto allergico alle graminacee).

Testo per la prima volta con l’emozione di un bimbo l’ipod con la funzione corsa. Una voce femminile ogni 5 minuti mi ricorda che ne mancano altri e quanti chilometri ho fatto. Che togo. Intanto le canzoni scorrono come se fosse tutto scritto: Rude, Coldplay e un’housettina di quella che sta tirando.
Alla fine mi becco pure i complimenti della voce femminile: 267 calorie, 3,5 km percorsi. Vuoi fare un’altra sessione? Mi rilasso un po’. Siedo una panchina e guardo quel che accade.

Fuori dalle alte mura di Monte Claro pare scorrere un’altra realtà: luci di auto, lampeggiante. Ma qui per fortuna il mio ipod mi aiuta a trovare quel sacro momento di distacco dal mondo.