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Eterni ritorni e partenze?

Eterni ritorni o partenze a seconda dei punti di vista. Lascio Milano prima del temporale, viro verso sud. Non è un volo qualunque questo. È l’ultimo, forse, del mio trolley rossonero che ha una ruota malconcia e se ci penso mi ha portato in giro per il mondo tra Stati Uniti, Turchia, Libano, Spagna e tanti altri paesi, onesto e insaparabile come un amico che apprezza tutto di te e non pesa mai troppo. L’amico essenziale, come il suo peso. Il bagaglio a mani, semplice e veloce.
E poi c’è la compagnìa di The Mission di Matteo Porru che proprio ora ho finito dopo una veloce(strano per una lumaca libraia come me) lettura.
Un brivido veloce mi è corso sulla schiena mentre aspettavo di imbarcarmi, pensando a come in un attimo Matteo, con le sue parole, abbia saputo coinvolgermi e lasciarmi mille domande senza risposta.
Il dolore, la morte, la speranza, concetti che spesso ci sfiorano ma che quando conosciamo davvero ci cambiano la vita. Una continua missione, vivere.

Le nuvole si avvicinano ma un bel tramonto illumina la pista di Linate.
L’imbarco è terminato, si sente in cabina. I passeggeri sgomitano eccitati. Le voci e le risate. Un weekend a Cagliari di serate da dj e di volti amici mi aspetta. Le parole del libro restano sempre e vanno custodite.
Grazie Matte.

Chiacchiere aeree (sul Linate-Cagliari)

Viaggio di ritorno Linate-Cagliari. Anziché in una rigenerante dormita (tra poco ho djset al Peek-a-boo) mi trovo un simpatico signore robusto come vicino di posto, un professionista. Lo avrei spacciato per scrittore, a prima vista.
Con la gamba mi dà inavvertitamente u un colpo prima di entrare nel suo posto, quello più laterale, finestrino. Si scusa. Capisco la difficoltà e lo rassicuro: non c’è problema. Glielo ripeto. In quei momenti, in cui ci si sistema alla partenza, può accadere. E tu hai il dovere di infondere sicurezza a chi ti sta vicino. Saggezza da viaggiatixi.

L’aereo decolla. Parliamo di tutto, il lavoro, la Sardegna, la la politica, le prospettive e il futuro. Poi parla della figlia e gli occhi quasi brillano: “sa, vuole studiare fuori”. Io ribatto: è bellissimo, una vera sfida.
Mi racconta dei suoi viaggi di lavoro, io del mio mestiere di comunicatore. Incrociamo qualche aneddoto.
Il tempo vola via, arrivo a Elmas, discesa morbida, ci sono i giovani del Bologna che applaudono. Aspettiamo qualche minuto. Poi prendo il trolley, lo saluto mentre si avvia al nastro bagagli e mi avvio alla macchina.
Il fresco di Elmas. Son contento. Sono poco cagliaritano. Amo chiacchierare e conoscere le persone. Non ho puzze sotto il naso. Mi sento sempre più un ascoltatore che vuole sapere, confrontarsi, imparare. Piacevolmente attratto dalla gente.
Un’altra piccola storia, imprevista, ha fatto parte della mia vita. Grazie a questo sconosciuto (e barbuto) viaggiatore. Ci vediamo dopo al Peek a boo

Belgrado, l'arrivo (diario di viaggixi)

Un volo perfetto, Alitalia Roma-Belgrado, i posti condivisi con due ragazzi serbi che non smettevano di ridere e far casino ma mi hanno offerto di tutto patatine, biscotti, cioccolatini e si offendevano quando non accettavo. Ed io ho fatto da traduttore perfetto con la hostess. Spiaccicavano inglese ed io pure, ovviamente come sempre stavo a fare il buffone. Come è facile passare un volo meno noioso del solito e condividere qualcosa con sconosciuti?
Ritiro il bagaglio, controllo passaporti, cambio un po’ di euro in dinari e mi appresto finalmente ad andare in città! Nulla da dichiarare se non la mia stupida allegria e curiosità da viaggio in un posto nuovo.

Prendo l’airbus, costa 2€, 245 dinari, vado tranquillo e come previsto evito il taxi e mi godo la città. In bus siamo in otto: io, due classici ragazzi slavi, vestito, baffi e stazza, due donne apparentemente americane, un ragazzo capelli lunghi e barba che sta sull’angolo in fondo a guardare il mondo che corre. Un classico nerd da Silicon Valley, faccia da bamboccione, occhiali, panza e tshirt del campus. Orrenda musica pop serba ci accompagna in questo arrivo. Il pullman però è pulito e ordinato, roba da far invidia a noi occidentali italiani. L’autista ad ogni fermata grida qualcosa, ovviamente il luogo di riferimento. L’inglese viene parlato poco ma comunque compreso.
Controllo la cartina e guardo la destinazione. Siamo ancora lontani.
Palazzoni senz’anima si aprono nei quartieri periferici ma da contraltare tanto verde, piste ciclabili, playground colorati di giovani che cercano di mettere la palla nei canestri, spazi e campi di calcetto. Però questi orrendi mostri alti anche dieci piani violentano tutto.

Scendo subito dopo il lunghissimo ponte sul fiume Sava. Ho due chilometri di camminata fino all’albergo ma è un mio classico: prendere da subito confidenza con una nuova città e girarmela a piedi anche se con i bagagli. Il primo impatto mi riporta subito alla realtà dura dei giorni nostri. Un giardinetto di fronte al deposito dei bus dove ci sono persone accampati e tende di fortuna. Pochi secondi e capisco che sono profughi, una tenda della croce rossa e una fila di persone, giovani, ad attendere un pasto servito in una casetta di legno. Anche qui il dolore non manca.

La camminata vira verso il mio alloggio, con una bella salita e il sole che pian piano di ritira dietro palazzi e case creando interessanti effetti. Tempo di riordinare le cose e sono già in giro a farmi una birra scura in un bar all’incrocio, poi una cena con piatti tradizionali annaffiata da vino locale e una grappa fruttifera. Mi riscaldo anche perchè fuori piove e fa freddo, molto più di quanto pensassi. Quasi mezzanotte e si torna in albergo, ricchi di pensieri e del primo abbraccio della capitale serba.

Cosa vuol dire vivere in una città che fino a pochi anni fa (esattamente a fine anni 90) era teatro di guerra ed eccidi?
Me lo chiedo spesso quando visito questi posti e non è un caso che li scelga.
Qui c’è stata una delle Guerre più cruente degli ultimi tempi, un odio difficile da spiegare razionalmente, un conflitto che infuocava una regione, attraversava popoli, etnie e religioni, l’ultima guerra in Europa e l’unica nel dopoguerra.
Qui Dio aveva smesso di esistere, violentato e offeso dagli uomini che dicevano di amarlo.
Eppure tutto è ricominciato, faticosamente.  Quello che forse paradossalmente è mancato a noi.  Soffrire per rinascere.