“Non avrei mai pensato che con l’alba saresti partito senza darmi tempo di un ultimo saluto e di un abbraccio prima di questo viaggio. Come sempre hai fatto di tutto per non disturbarmi e lasciarmi riposare. Per non farmi preoccupare. Ma sono sicuro che prima o poi ci rivedremo e allora tutto sarà eterno”.
10-10-2011
Con queste parole che penso tanti di voi abbiano letto ho aperto la mattinata sul mio facebook, per condividere questa emozione con voi amici, conoscenti, collaboratori o semplici “contatti” che mi avete chiesto fino ad oggi amicizia.
Mio padre non ce l’ha fatta. La malattia lo ha strappato al mondo prima di quanto pensassimo. Un mattino freddo di ottobre. In silenzio, senza farmi preoccupare, lasciandomi riposare beatamente dopo un’altra serata in disco, come faceva sempre col timore di fare rumore e svegliarmi.
Così è sempre stato, il mio papà: ha messo sempre me e le mie passioni davanti a lui e alle sue sofferenze, anche negli ultimi giorni, quando la malattia erodeva la sua voglia di vivere.
Più di una volta mi son trovato a dare l’ultimo saluto ai padri dei miei amici, a condividerne dolori. Ogni volta pensavo a quando sarebbe accaduto anche a me. Ma, come sempre succede, vedevo quelle perdite e quei dolori così lontani e remoti. Poi è arrivato quel momento. Un mese esatto (coincidenza?) prima del mio compleanno.
Una telefonata prima delle 7, la corsa in ospedale, mio padre là sul letto senza il tempo per l’ultimo saluto o l’ultima chiacchierata.
L’ultima volta. Lo avevo visto ieri all’ora di pranzo, raccontando cosa avrei fatto la sera con la promessa, come ogni giorno, di rivederci. Illustravo i progetti e le scadenze, lo scooterone che volevo comprare per combattere il traffico, l’affitto della casa, il possibile nuovo incarico in federazione, le idee per “villa Tixi”… lui seguiva con i suoi occhi attenti e diceva la sua con la solita calma e pacatezza che spesso mi aveva fatto irritare quando ci litigavo. Io sanguigno e irrazionale, lui sempre posato ed equilibrato.
Due caratteri diversi, scorpione contro acquario, che si stavano incontrando finalmente dopo anni di conflitti.
Non si è mai pronti per un dolore o meglio non si sa mai quale sia la strada giusta per affrontarlo e per uscirne.
Io provo a raccontarlo. Scrivendo e trasmettendo ciò che sento nel mio intimo. Tenendo il sorriso, continuando anche con le mie piccole “medicine”, le passioni di cui vi parlo spesso (e anche troppo), la musica, il calcio a 5, lo scrivere, gli amici…cercando di capire con tutti voi i miei limiti e le piccole e grandi lezioni della vita. Cercando di mettere a frutto tanti consigli che spesso ho “impartito” ad altri e che ora, vedete?, mi trovo con difficoltà a mettere in pratica. Un professore che non sa ciò che insegna.
Strano ma vero.
Un padre o un madre sono degli alberi e noi siamo dei rami che si limitano a crescere e tentare di diventare il fusto possente dell’albero da cui proveniamo. Quando vediamo che questi alberi cominciano a barcollare, cominciamo a capirne la forza e le sofferenze. Sono i momenti in cui, dopo aver passato decenni ad essere accuditi e assecondati, passiamo a fare noi quello che facevano i nostri cari: accudirli e assecondarli. Ma c’è un problema, un piccolissimo problema: non siamo mai abbastanza bravi a farlo, ad essere figli perfetti, a ripagare tutto ciò che hanno fatto per noi. Noi stupidi a criticarli, a irriderli, a rispondere con musi e con i silenzi, a credere che non capiscano nulla di noi e dei nostri tempi.
Il tempo scorre e quando pensavi di aver progettato il tuo futuro e la tua stabilità, ti accorgi del tempo perso, di abbracci che non hai dato, di quanto potevi condividere. Ma non l’hai fatto.
Ma come ci si sente quando l’albero è stato abbattuto?
La mia prima sensazione è stata, qualche giorno fa, tornare da Milano e vedere la casa vuota. Sentivo che qualcosa non c’era più per sempre. Non c’era nessuno ad aspettarmi. E anche se mio padre sarebbe tornato qualche giorno dopo, ero disorientato come se l’avessi già perso. Ho pianto.
In questi momenti che fare? Bella domanda. Tirare fuori tutte le energie, le forze per uscire dal vortice della tristezza e dalla voglia di mollare tutto.
Ho perso un’altra finale, un’altra partita, io abituato ad arrivare sempre secondo, a giocarmi un titolo agli ultimi minuti, a sbagliare sempre i tempi e le mode.
Ma c’è una piccola gioia: ho sentito vicino tante persone splendide, che anche stavolta non mi hanno fatto mancare le parole e i gesti semplici ma profondi.
Grazie allora. Grazie a tutti voi. E anche se oggi perdo chi mi ha dato la vita, una persona speciale so di per certo che ne ho tante e tante altre attorno: questo mi fa sentire un po’ meno solo e pronto ad affrontare l’alba di domani.