Sto rientrando a casa. Un po’ in ritardo perché non sono riuscito a prendere il volo delle sette e venti. Una solerte impiegata della Meridiana per qualche minuto di ritardo non ne ha voluto sapere.

Mentre aleggio tra i miei pensieri, questo Airbus si avvicina lentamente alla mia terra, illuminando e fendendo il blu della notte di settembre.

Speravo di tornare con i miei, con papà, ma loro sono rimasti là per delle visite e io, anche per chiudere alcune cose di lavoro, sono rientrato. Tornerò lunedì.

Certo che vedere papà smagrito, muoversi con lentezza, parlare sforzandosi mi ha dato uno strano effetto.

Oggi al centro tumori ho sentito parole di speranza, vie d’uscita. Non so perché ma nutro una grande fiducia.

Ho voglia di lottare. In questi giorni ho conosciuto queste strutture ospedaliere specialistiche dove la gente va per affidare il proprio domani a dei medici “esperti”.

Questi edifici cercano di essere i più rassicuranti possibili: colori, video, slogan, organizzazione, ordine maniacale, sorrisi. Tutto vuol nascondere per un attimo il motivo per cui li frequenti. Tutto è accogliente, tutto è strutturato, tutto vuol nasconderti qualcosa. Ma poi la malattia è sempre là, con te, che ti segue come un’ombra.

Chissà che Cagliari rivedrò oggi. Forse un po’ più fredda e impersonale del solito, incurante di ciò che accade nelle nostre vite. Le luci delle auto che si preparano per un weekend si vedono da quassù mentre il mio aereo comincia la virata per atterrare dolcemente nella pista della aerostazione di Elmas.

Sta cominciando un weekend, uno di quelli in cui la gente vuol dimenticarsi di tutto ciò che accade in settimana e buttarsi nel mondo della notte, fatto di musica, drink, sorrisi e capelli tirati. Uno di quei weekend che io ho decantato in tanti miei stati su facebook. E oggi per me comincia un weekend diverso, tra speranze e malinconie. Io solo con tante mie domande.

Tornerò a casa, uscirò un po’, ma la casa non avrà oggi lo stesso profumo dei rientri soliti. Non ci sarà nessuno ad aspettare, tutto sembrerà diverso, l’ordine, il silenzio, le cose lasciate prima della partenza.

Riprendo l’auto dal parcheggio, pago il ticket, sono 16 euro e 50, 24 gradi e un po’ di umidità. Mi sembra di averla lasciata là da mesi invece solo pochi giorni fa ero qui.

Quartu, la mia nuova casa, è un ricordo lontano. Lunedì ridarò le chiavi. Un capitolo breve che si chiude. Ho portato via tutto giorni fa, per ultima la mia bicicletta compagna delle mie passeggiate al mare a godermi il tramonto e le onde, l’odore della salsedine e gli ultimi scampoli d’estate.

Pochi giorni per riordinare le idee e poi tornare su a combattere con i miei, con mio papà, questa battaglia.

Non sono solo, lo so. Quanti di voi mi hanno scritto e telefonato. Non avevo dubbi.

È difficile staccare il cervello, è difficile portare avanti il lavoro, ma tento sempre di farlo, per presentarmi in perfetta forma quando devo anche mascherare con un sorriso un timore e un dolore che sento dentro.

Ho riaccompagnato mio zio che è stato con noi a Milano. Lo ringrazio. Sono arrivato a casa. Lascio le valigie quasi all’ingresso. Mi butto sul letto, sguardo assente nell’infinito e tanta voglia di credere che non sia così. La casa vuota e nessuno ad aspettarti. Quanti ritorni a casa dai miei viaggi, quante cene pronte. Oggi niente. Tante cose che parlano. Un silenzio quasi assordante. Ma se la scelta è tra disperarsi e lottare io scelgo ancora sempre di lottare.

Nonostante tutto.

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