A Macomer ci sono tante tracce di me.
C’era una caserma grande, di nome Bechi Luserna, un mese di Car, Centro Addestramento Reclute, dove ti instradavano nel mondo della leva.
C’era la paura di un mondo militare che poi avrebbe abbracciato e affascinato quel venticinquenne senza più rinvio per studio.
C’erano i mattini freddi di settembre con l’inno nazionale e quello della Brigata Sassari che ti facevano emozionare, le tute sempre troppo larghe, il cappello buffo, i superiori da salutare, gli anfibi che facevano male ai piedi, le serate ai pub del paese in libera uscita con gli sguardi sospettosi dei paesani.
C’erano giovani contadini, allevatori, studenti, semplici ragazzi con cui dovevi comunque stringere rapporti e nasceva quello che si chiamava “cameratismo”.
C’era la bellezza di conoscere storie e persone diversissime incrociarsi tra camerate, mense e campi di addestramento. C’era il lato vero della Repubblica Italiana, quello che ti faceva capire tanto di questo paese, più di ogni dibattito tv e ogni notizia sul giornale.
C’era un tempo che sembra di mille anni fa, spensierati, pieni di energie e voglia di fare e scoprire tutto.
Erano venti anni fa e ancora restano sempre nel cuore.