Oggi mi son concesso una piccola pazzia.

Cagliari-Siddi-Villasimius-Quartu. Un sabato chilometrico.

Siddi è un ridente paesino a 60 km da cagliari. Paese natale di mamma Tixi e centro nevralgico della mia infanzia. Qui ricordo domeniche, pasquette, scampagnate, nonni, i cugini, gli zii. Fotografie sbiadite e riassunti in album e filmini vhs.

In questo weekend si svolge la rassegna “appetitosamente”. Arte culinaria (non fate le solite battute da caserma) e cultura, intrecciate. Tra i tanti eventi in cartellone c’era anche “Bagliori megalitici”, un concerto a tre di Paolo Fresu, Gavino Murgia e Bebo Ferra.

Inizio previsto: 19,30. Località “Sa domu ‘e s’Orcu”, complesso megalitico nell’altopiano sopra Siddi. Una tomba dei giganti che favoleggia nei racconti e nelle leggende locali.

Bisogna fare qualche chilometro, lasciando il paese. Qualche curva, ma nella norma. L’altopiano è sferzato dal vento ma ti regala una vista sull’infinto. Ultimi raggi di sole ci permettono di dominare il panorama sulle tranquille colline della Marmilla. Qua e là i paesi, come piccoli agglomerati di lego che si incastrano nei campi coltivati e secchi. Villaggi tranquilli e sereni dove la vita scorre senza particolari sussulti, come questo popolo del Medio Campidano (definizione della provincia che li amministra) che non ha fatto mai troppo parlare di sé nella cronaca e che oggi rischia di scomparire.

Il lavoro è un miraggio, la povertà una realtà che uccide speranze e sogni. Le valigie in mano e i biglietti per il continente l’unico futuro. Le chiamano “stagioni”.

Di ridente c’è solo il ricordo di tempi andati in cui era più facile vivere. Oggi si tenta di risollevare qualcosa che conta di più dell’economia: la speranza nel futuro, la fiducia. Magari anche con la musica. Speranza che ha lo sguardo di queste donne di mezza età per nulla truccate, vestite umilmente e dalla parlata fortemente imbevuta di cadenza locale. Donne che parlano con un ordine logico invertito ma che mantengono una invidiabile dignità e ricchezza umana.

L’aria di paese riporta antichi ricordi della giovinezza. Strade polverose, rintocchi di campana, silenziosi pomeriggi, processioni e profumi di sapone Marsiglia. La sera capannelli di persone a prendere il fresco e chiacchierare del vicinato.

Salgo con l’auto verso il concerto. Comincia una fiumana di gente. Quanta, inattesa desiderosa di prendere un po’ di questi bagliori. Non si lamenta dei chilometri. Lascia l’auto come può e s’incammina silenziosa attraversando sassi ed erba che profuma di campagna sarda. Non c’è Fibra, non c’è Vasco, non c’è Jovanotti. Ci aspetta l’anima più remota della Sardegna, quella per intenderci che ti sussurra all’orecchio e arriva al cuore.

Il cammino è lungo. Venti minuti almeno. La strada è una lingua di cemento tagliuzzata. Sterpaglie e sassi, rovi e ancora sassi. Chiedi ai sorridenti barracelli quanto manca e ti rispondono sempre “un chilometro!”. Lo dicono in tre a distanza di almeno un chilometro l’uno dall’altro. Ridono. Li prendo in giro bonariamente ma il clima è disteso. Niente forze dell’ordine o perquisizioni, selezioni o buttafuori. Si cammina.

Avvicinandosi al complesso megalitico de “Sa domu ‘e s’Orcu” la musica lentamente arriva, come il tepore antico della del caminetto della casa di una nonna.

 

Arrivo. C’è tantissima gente. Adagiati nelle pietre o in piedi. Altri su inguardabili sdraio da supermercato. Gente semplice, arrampicatasi fin qui. La sardità è una coperta calda. I sorrisi sono sinceri mentre l’aroma delle sterpaglie secche stuzzica le narici. Nessuno si sente straniero. Il vestiario non fa differenza e non è argomento di discussione.

Mi adagio anche io per godermi questo tramonto melodico. Trovo un sasso. Lo studio. Fa per me. Il suono graffia. Ma poi si rilassa e adagia. Applausi sinceri. Birra ichnusa che scorre a fiumi. Il sole se n’è andato e tornerà domani. Il venticello è tutto fuorché vapore estivo. Le mamme vestono i bimbi. Dopo i graffi ora la chitarra e la tromba sono avvolgenti, carezzevoli come un fruscìo. L’occhio e l’orecchio mi trasmettono sensazioni positive.

Il concerto sta per finire, la corrente che lo alimenta non durerà in eterno. C’è tempo per un bis. L’energia è tanta. Guardo il cielo e gli ultimi chiarori da ovest. Un po’ di arancio ma poi azzurro, blu, indaco. Quanti colori. E ancora suono, finché quasi non è buio.

Si va via. Mi incammino verso un’altra meta. Villasimius. Altri cento chilometri tra centotrentuno e provinciale 17.

Serata allo Smaila’s. Un altro mondo. Due costellazioni lontane anni luce.

Un altro bellissimo sabato in cui la musica è stata la mia più dolce compagna.

Si chiude alle 5 e 30. L’auto mi riporta lento aspettando il sole sulle curve della litoranea. È alba.

Quanti flash oggi. Quante emozioni. Vecchie e nuove. E poi quel suono di Fresu. Io, povero dj “commerciale” abituato a ben altri ritmi di fronte, cercavo con la musica e quella visuale sul mondo tratti della mia anima, il senso di me, risposte. Il tempo perduto, il fascino del futuro. L’asprezza del presente.

Qualcuna l’ho trovata. Grazie Fresu e ai suoi compagni di viaggio.

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