Ogni tanto qualcuno per ironia o seriamente mi definisce un piccolo filosofo o giù di lì. Io ci rido su, poi ci ragiono un attimo.Non è vero naturalmente e me ne guardo bene dal credermi qualcuno o definirmi tale.
Voglio dissipare l’idea che io mi senta un essere superiore capace di aver ragione, di giudicare tutto e tutti, di avere sempre la parola giusta. Credo che ognuno abbia la sua ragione, il suo credo, i suoi motivi. Che ognuno detenga un’idea e che il mondo vada sempre visto da varie angolazioni. Io ho un’idea, mi piace sottoporla alla critica. Non ho la presunzione di pensare che sia verità inconfutabile, anzi…
Sono un individuo normalissimo forse semplicemente curioso di quel che succede attorno. Mi piace scrivere, raccontare, condividere, partecipare, dibattere, confrontarmi anche in modo acceso. Mi piace mettere in discussione dogmi, mode, usanze, cercare sintesi e trovare nuove strade.
Mi dibatto come tutti in frustrazioni e problemi, scadenze di vita e di burocrazia (oggi IMU e IRPEF, domani chissà), scivolando tra persone che tentano di fregarne altre e tra altre che sono per me energia pura. Spesso le scelgo giuste, altre volte toppo clamorosamente. Una persona con mille obiettivi, speranze e sogni. Ho fatto scelte importanti e azzeccate ma pure epici errori, e non solo di battitura e nelle coniugazioni dei verbi, non solo gaffe come quando non riconosco le persone, mi dimentico il colletto della camicia o sbaglio una messa a tempo in disco.
Sono in continua trasformazione, in progress. Cerco sempre nuove soluzioni, strade, idee. Mi concentro ogni giorno su qualche cosa, che sia un libro, un tramonto o un progetto. Mi piace aiutare la gente a realizzare i propri sogni con le poche cose che posso fare fosse anche una dritta. Ma in tutto questo non è assolutamente detto che non viva di cadute e di sconfitte, anzi…
Ultimamente mi son chiesto (e ho sentito vari pareri interessanti) se questa “vis” che metto nello scrivere serva e dove mi possa portare. Se questo fluire di pensieri disordinati possa essere utile fino in fondo. Ho cominciato a pensare (anzi, a ricordarmi) che le parole sono armi potentissime. Creano un mondo di immagini e perciò devono essere usate con la meticolosità di un artigiano che lavora un oggetto perché rischiano sempre di essere mal interpretate o di ferire, anche inconsapevolmente.
Questo molto spesso lo sottovalutiamo, io compreso. Sottovalutiamo il potere della parola. Senza dimenticare l’incapacità della gente di capire e noi di farci pienamente comprendere usando gli strumenti della lingua. Nessuno, in poche parole, scinde l’idea della persona: questo dà luogo alle più grandi polemiche e grandi ferimenti nel cuore e nell’onore. È assolutamente umano che la gente si senta ferita nel momento in cui una sua idea viene criticata. Purtroppo è umano, non dovrebbe esser così ma è un dato di fatto.
Se tu irridi un paio di scarpe alla moda le persone sono portate automaticamente a capire che è in discussione la propria figura, il proprio orgoglio. Se ci pensate bene è assurdo: gli oggetti e le mode sono diventate un tutt’uno con le persone. Anzi, la gente può farsi offendere e denigrare in tanti modi, depredare dallo stato, prendere in giro dall’informazione, ma se tocchi un oggetto che rappresenta l’immagine della persona (che ne so l’auto, le scarpe, la squadra del cuore) questa – paradossamente – venderà cara la pelle.
In un mondo dove i valori sono capovolti, dove i pregiudizi e i luoghi comuni sono in continua evoluzione e aumento, dove si sta poco attenti alla riflessione e molto alla parola e al primo significato (negativo) che può dare, soprattutto via internet dove questa non è mai accompagnata dalla comunicazione non verbale (per intenderci il tono, il volto, la gestualità, i ritmi), comunicare è un’arte difficilissima. Saper comunicare è vincere. Spesso vince chi comunica poco, o addirittura chi non comunica niente, ma in realtà comunica.
Da poco ho avuto una piccola grande lezione: ho postato una foto di un incidente in viale Poetto. Il mio voleva essere un invito alla sicurezza e alla consapevolezza alla guida, una sensazione che volevo trasmettere in quel momento.
In realtà, per quasi tutti il messaggio è stato così, per altri (una delle persone coinvolte) sono parso una persona senza cuore, che voleva pubblicizzare un fatto e farsene fregio (“volevi far sapere che tu fossi là a vedere l’incidente?”) o addirittura far sfociare la stupida ironia del momento. Quanto di più lontano dal mio volere, ci mancherebbe. Ma non mi sono sentito un eroe. Non aveva tutti i torti. Ho capito di aver ferito una persona, vaffanculo al dovere di cronaca e alla voglia di raccontare online un fatto e trarne insegnamento.
Se tanti giornalisti e cronisti se ne fregano, io non riesco a separarmi con freddezza dalla notizia e dal fatto.
Però questa critica a caldo, frutto anche dello spavento per quel che è successo, mi ha fatto porre una domanda a cui questi giorni sto cercando risposta tra chiacchiere con chi mi legge assiduamente e libri: quali sono davvero le reazioni a quello che scrivi?
Cioè, per capirci: come è possibile sapere quando le tue parole sono carezze e quando sono pietre? È davvero complicato. A meno che non si scelga una strada unica: scrivere sempre e solo in positivo. Anche a costo di sembrare degli estremisti dell’ottimismo, quasi degli sciocchi. Oppure, non scrivere nulla.
Mi piacerebbe sconfiggere per sempre la voglia di vedere il nero ovunque che è diventata pericolosa moda. Forse siamo stati educati a questo: pensare e ragionare sempre in termini negativi, dalla morale cattolica all’Italia alle restrizioni nonfarenondirenonpensarenondare. Oppure all’estremo essere degli incoscienti ottimisti. È figlio della nostra cultura e società, del nostro vivere e delle nostre tradizioni. Ce la portiamo come un grosso fardello.
Ogni tanto un po’ di autocritica fa bene, fa rivedere le cose che non vanno come dentro un film, e poi tagliare le parti della pellicola che non ti piacciono. E provare a ridare un filo logico. Ti fa tornare con i piedi per terra. Ti ricorda che dietro ognuno c’è sempre una piccola storia di dolore.
In questa Italia di problemi e di rabbie, di infinite discussioni e di veleni, aggiungere ulteriore rabbia e polemica è un po’ inutile. Non dico di eliminarla, ma cercare di renderla minima, di controllarla, di incanalarla. C’è bisogno più di pensiero e di poesia, di immagini e di prospettive positive. Di guardare avanti e di cercare nuove soluzioni e strategie.
Vorrei saperne di più e continuare a capire quale sia il mezzo migliore e i codici magici per comunicare meglio le proprie idee ed emozioni, facendo emergere sempre il meglio di sé e degli altri. Offrendo speranza a questo paese, non solo occasioni per dividersi. Qualche buon libro e qualche chiacchierata saranno sempre utili.