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La piscina

La questione è che per un’eternità metaforica—un’eternità costellata di “forse domani” e “ci penserò”— mi son iscritto finalmente a un corso di nuoto.

Perché? Per affrontare la mia palpabile, quasi corporea, apprensione verso l’acqua profonda. Timore per l’incertezza di ogni prossimo esercizio in acqua, e euforia perché, nel profondo della mia testa, so che ho la capacità di trascendere questa paura e voglio sfidare le mie paure.

Anna, la mia istruttrice, gridava ieri con una sorta di entusiasmo coercitivo: “Perché hai paura? Tu sei capace, lo sai!” mentre io mi aggrappavo al bordo. Sorridevo, riconoscendo la verità delle sue parole. Perché la paura è quel fastidioso collante che ti immobilizza nonostante tu possieda tutte le competenze per avanzare. È la paura di te stesso, del superamento di te stesso, e dei giudizi altrui. E a tutto ciò, mi dico: “Che se ne vadano tutti al diavolo”, inclusi i miei pensieri auto-limitanti.

Essere immerso in quella massa acquatica, con la sua gravità e l’attenzione solo su di essa, ha innescato in me un fenomeno di osservazione—osservazione di me stesso e dei miei compagni d’acqua.

Ogni persona con la sua personale odissea, con i suoi limiti e le sue resistenze. Il loro impegno funge da lezione per chiunque tenda a lamentarsi e rinunciare, come il sottoscritto.

E in questa continua odissea, tra palestra e piscina, mi sono ritrovato ora a dedicare cinque giorni a settimana all’esercizio fisico.

Me ne son accorto stamattina.

Ero felice ma anche consapevole che tenere questo ritmo sarà dura.

È un ritmo intenso, sì, ma la costanza sta erodendo le barriere tra me e una serie di benefici. C’è ora consapevolezza, disciplina personale, e una sorta di chiarezza mentale che va su ogni aspetto della mia vita, inclusa la mia professione creativa e, sí, anche quando sono DJ.

Ed è strano, perché con l’avanzare degli anni, l’attenzione alla cura del corpo e della mente diventa inevitabil. Dunque, ecco dove siamo: buone abitudini, cibo sano, passioni, discernimento e attività fisica. Non c’è più spazio per frivolezze, tranne forse per quei deliziosi sprechi di tempo e per i viaggi che rendono la vita degna di essere vissuta.

Viaggia e non aver paura

Condivido un post di Giulia Crisanti, studentessa viaggiatrice. Bellissime parole pubblicate qualche giorno fa sul suo profilo facebook.

“Oggi voglio raccontare un piccolo pezzo della mia storia che, più che solo mia, è di tutti quanti.

Ho 21 anni. Faccio parte della nuova generazione. Quella della tecnologia, dell’Erasmus, dei sogni, del futuro. Ma anche quella, ahimè, della violenza.
Di questo maledetto terrorismo.
Una generazione che lo vive in maniera forte, oserei dire pressante, non alla nostra portata. È un qualcosa di superiore, di più alto, ma non voglio dire di più forte.
Se c’è una cosa che mi riprometto ogni volta che ascolto le notizie di un nuovo attentato è: non avere paura. Mi ripeto di continuare a vedere il mondo, tutto il mondo, come casa mia.
Mi ripeto di non smettere di volerlo scoprire tutto, in tutti i suoi luoghi, anche in quelli che “forse questo non è il periodo adatto, è pericoloso“. Ma come si può parlare di periodo adatto? Se non ora, quand’è il periodo adatto?
Ci è stato dato poco tempo in questa vita, non possiamo limitarlo ulteriormente. Io non rinuncio e non rinuncerò mai a viaggiare.
Però devo confessarlo: un mese fa mi sono trovata ad attraversare l’Europa in treno e per raggiungere Amsterdam era previsto uno scalo in due delle città più “temute” del momento: Parigi e Bruxelles.
Ad alcuni viene un brivido soltanto a sentirle nominare. Per una serie di coincidenze e ritardi, ho rischiato di perdere il treno e di rimanere “bloccata” una notte a Bruxelles. Ed in quel momento… sì: ho avuto paura. Una paura fottuta e assolutamente irrazionale. Viva, sulla pelle. Una paura invadente e pietrificante.
Ciò che mi ha infastidito di più è che quella sensazione, quell’emozione e quella frustrazione non erano mie. Niente era mio. Appartenevano a loro, completamente. E allora voglio lanciare un appello. Più che appello è un sogno.
Per alcuni sarò incosciente, per altri ribelle, per altri ancora pazza, ma non bisogna mollare. Non ora.
Voglio rivolgermi a tutti, ma soprattutto alla mia generazione, e dire: non abbiate paura. Dobbiamo avere il diritto di sentirci a casa sempre e ovunque, che sia Francia, Italia, Siria, Turchia, Germania. Non importa. Non dobbiamo usare i guanti, non proteggiamoci.
Siamo tutti UNO.
Noi giovani, in particolare, siamo il presente ed il futuro di questo mondo che, hanno ragione i nostri nonni, è nelle nostre mani. Se rinunciamo, se stiamo fermi, se ci facciamo condizionare, sarà sempre meno nostro e sempre più loro.
Sarà pure un’utopia, ma io sogno un mondo senza questa paura. Perché non importa dove si vive, quel Paese così lontano può essere casa mia e casa tua. Casa nostra. Quel Paese può essere un’opportunità che nessuno deve toglierci.
Il Mondo adesso ha bisogno di noi, ha bisogno del nostro amore. Facciamolo girare, condividiamolo, facciamoci sentire. Impariamo ad amare, nonostante tutto. Sempre di più, con tutta la forza che abbiamo.
Perché è l’unica arma a nostra disposizione. E no, non può vincere questa maledetta paura.

Non facciamoci prendere dalla paura

C’è chi si abbandona alla paura, chi all’insulto, chi continua a credere nelle guerre di religione e nelle crociate. Io e un altro gruppetto di pazzi continuiamo a credere in un concetto molto semplice: la civiltà va avanti grazie alla convivenza pacifica, al rispetto delle regole e alla libertà, non a chi fomenta l’odio, da qualsiasi parte, a chi di questo odio e paura ne fa merce elettorale visto che in altro modo non piglia voti (il che obiettivamente è triste).

Se altri sono animali, noi non dobbiamo esserlo. Questo non vuol dire non difendersi: chi sbaglia paga, in ogni stato di diritto.
Ma le generalizzazioni e i luoghi comuni non ci piacciono.
Come esistono criminali che parlano di Dio per giustificare i loro misfatti, abilmente strumentalizzati, ce ne sono altri che lo fanno per una partita, per un parcheggio, per una lite domestica, per un’idea politica, per una questione di vicinato, per un’eredità contesa. Nelle famiglie, nelle case, nelle strade. Che siano ebrei, musulmani o cattolici uccidono, violentano, picchiano.

I mafiosi sono pii devoti con l’altarino in casa. E che dire di cattolicissime famiglie dove si scatenano delitti familiari che tanto vi piacciono? Che dire delle donne violentate? Eppure queste cose succedono anche nel nostro superiore occidente, civile e progredito, come probabilmente altrove. Ma finché siamo noi, è tutto giustificato. I nostri delitti sono più belli. Le bombe in fondo sono un atto di pace.

Criminali che fanno più morti di Parigi (e sia chiaro, NESSUNA giustificazione per l’eccidio). Ogni giorno. Apri i giornali, guarda le tv.
Se ci pensate, uccidono per molto meno di un Dio e sono pure tra di noi.