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La panchina di Nuxis

C’è una panchina solitaria nel sole cocente di un lunedì agostano a Nuxis. Vicino, un cartello ricorda che i bimbi giocano ancora in strada.
Segnale di speranza, anche se di bimbi neanche l’ombra. Per la verità, non passa nessuno qui alle tre del pomeriggio, nessuno sfida sa mama ‘e su sole in questo angolo di Sulcis a metà tra terra e mare, vento caldo e profumi di campagna.
Mi accomodo dentro, aspettando che il pullman arrivi. Le lamiere della panchina prefabbricata nascondono un’inattesa frescura mentre un’anima di uomo, gilet chiaro e pantaloni marroni si aggira per la strada, guardando quel ragazzo seduto e chiedendosi “chi è sto fesso che parte alle alle tre e mezzo da Nuxis?”.
Se lo chiede anche una donna, che sta pulendo il suo balcone e all’incrociare degli sguardi decide di rientrare dentro chiudendo le tapparelle: “chi è sto fesso che parte alle tre e mezzo da Nuxis?”. Se lo chiede anche l’autista che accosta dal lato opposto della strada e fa salire l’unico passeggero, il sottoscritto, nel pullman direzione Cagliari. Un freddo gelido, ma mai ai livelli dei bus spagnoli, mi accoglie. Chiedo se debba usare la mascherina dentro e come funzioni la vidimazione del biglietto online, “sa, non uso l’Arst da molto…”. L’autista, disinteressato per il mio tentativo di essere simpatico, mi guarda e non pare esser felice di questo improvviso outing. “Chi è sto fesso che parte alle tre e mezzo da Nuxis” si sarà chiesto.
Quando usciamo da Nuxis l’uomo al volante, camicia d’ordinanza e occhiali che sembrano rayban ma non lo sono, sa che dovrà affrontare una mezz’ora di curve. Le affronta con la certezza che dovrà fare attenzione ai tornanti, ai punti più critici, per poi guadagnare tempo in quelli più agevoli. Ma conosce la strada e affronta quel tratto senza troppi indugi.
Il condizionatore sputa freddo per l’unico passeggero, io, felice di immaginarmi perso in qualche angolo d’Europa, possibilmente mediterraneo. Mi ricordo le scorribande in Spagna, le costiere del Portogallo e un po’ di Turchia. Autobus che tracciavano strade e confini portandomi in lembi di terra lontani.
Quando appare da lontano la piana che porta all’hinterland di Cagliari, con il suo carico di ansie mentropolitane, di velocità e di lavoro, di musiche reggaeton e rifiuti dimenticati, eccomi tornare con i piedi per terra.
Il bus lancia la volata facendo l’occhiolino al Castello di Acquafredda, dove i tornanti sono un ricordo e la strada si fa semplice. Poi ancora Siliqua e Assemini. Il sogno lentamente svanisce, così come la sensazione di essere in un altro punto, altrove, lontano. No, son di nuovo centrale. Quella sensazione che ti vorrebbe perennemente in moto, partenze e arrivi e ancora partenze, come se le destinazioni fossero solo pretesti, perchè il bello sta nel tragitto, il resto non conta mai.