Posts tagged lockdown

Cose bellissime quando mi perdo

Accadono cose bellissime ogni volta che mi distanzio dal mio centro di gravità e mi perdo nella natura di Sardegna.
Parcheggio la macchina e inizio a correre senza sapere bene dove. L’obiettivo è vedere spiagge, luoghi, perdermi, trovare qualcosa che nemmeno so, forse il mio Gral.

Il fiato c’è, le prime macchine di rientro mi incrociano, il sole mi guarda da sopra i monti. Alberi, erba, stagni e mare. Villette e profumi di caminetto. Qualche ristorante coraggiosamente aperto. Arrivo alla spiaggia Cipolla, troppe auto, scendo a Su Giudeu. Delle tipe da sole camminano con la mascherina. Detesto le macchine che alzano la polvere.
Pochissima gente, il sole è calato senza dirmi niente. Mi trovo immerso in quella sensazione di infinito tra stagno, secca e spiaggia. Mi tolgo le scarpe entro in acqua. Mi godo quell’attimo fantastico di colori e rumori del mare.
Il cellulare è scarico. Mi abbandona. Mi sento qualche attimo disorientato. E mo’, come farò senza musica? Come potrò immortalare questo momenti?
La paura, stupida, passa veloce. Mi godo quel tempo unico e speciale. Inizio a camminare sulla riva. Niente musica, solo rumori.
Arrivo alla spiaggia del Chia Laguna, superando uno scoglio. Mi rimetto le scarpe. Sono solo e le prime luci raccontano che è sera inoltrata. Penso che quella solitudine sia tutt’altro che preoccupante: mi rassicura, mi soddisfa, rischiara i pensieri. Inizio a camminare verso la macchina, accompagnato da rumori di natura e profumi che pensavo di aver perduto. Parlo con me stesso, che se mi vedessero mi darebbero del pazzo, specie perchè son vestito con una felpa del Cagliari di almeno dieci anni fa ed è strano.
Spero non ci sia nessuno non tanto per questo ma perchè mi urterebbe incrociare qualcuno. Romperebbe tutto. E allora penso in questa disconnessione, a quante cose sono diventate non essenziali nella nostra vita. Uso proprio quella schifosa espressione governativa che però parlava di lavoro e vite di persone.
Io credo alla non essenzialità di tante cose e persone che ci circondano.
Mi accorgono di non sopportare più la vita di città, i commentatori stronzi dei social, le ossessioni del marketing, stare fermo, i talk show, gli editoristi, i pallonari, gli operativi e i produttivi, la perfezione, le sentinelle dei comportamenti altrui, la rincorsa al successo, lo stress, l’ansia da prestazione, l’abbandono dei sogni, i perfettini, i moralisti, i pregiudizi, i politicanti da strapazzo, i giornalisti che avvelenano la gente, la noia, i titoli ad effetto, i perbenisti, la maleducazione, i moralisti, agli arruffoni, le file nei supermercati, il presenzialismo, gli arrampicatori sociali e i personaggi in cerca d’autore.
Che una vita senza cercare bellezza, senza respirare con intensità ogni giorno, impauriti e legati a qualcosa, senza provare a circondarsi del meglio sia una vita perduta. E che dobbiamo esplorarla, fosse anche fino agli ultimi giorni.

In questo momento di banali riflessioni,vorrei avere una tenda e passare la notte qua e non avere nessun tipo di distrazione e di scadenza, non ricevere i messaggi, non ricevere le notifiche di niente, non essere atteso da nessuno e non aver nessuno che aspetta risposta alla mail.
E mentre l’unico riferimento ora che tutto è buio è la Torre di chia guardo senza invidia la gente che corre a casa ossessionata dall’idea che questo non sia un momento magico per vivere e che bisogna per forsa “dover tornare”.
Invece, no, mi voglio sempre arricchire di situazioni di emozioni nuove, di persone che mi stimolino per fare cose interessanti ma senza dimenticare la bellezza della semplicità di un tramonto e di un mare lontano, fermare il tempo per scrivere e leggere, magari mi porteranno a capire ed abbracciare i ragionamenti più complessi.
Carne, anima, sangue.

Ora è davvero buio, la mia macchina è l’unica parcheggiata nello sterrato dove anni fa caddi in un fosso con la macchina portando in camporella una tipa e venni salvato dai turisti. Chissà che avranno pensato gli altri visitatori, che sono morto o sono folle ad andare a correre da solo, il 1 novembre a Chia, chissà che problemi avrà. Ed è la sensazione che qualcuno leggendo proverà.
Chissenefrega, è la risposta giusta.

Mondo della notte, the day after

The day after, anzi il secondo giorno dalla decisione del Governo di chiudere i locali da ballo lascia spazio a ragionamenti meno istintivi e più ponderati. Queste mie parole vogliono essere un contributo propositivo al dibattito, anche per abbassare certi toni registrati in rete.

L’amarezza è tanta, non solo per la chiusura delle disco in sé – che in realtà leggendo bene è un divieto al ballo come motivo dell’assembramento e una disposizione a fare altro come aperitivi e ristorazione con accompagnamento della musica del DJ o dei gruppi dal vivo – quanto l’attacco mirato, violento e ingrato al mondo della notte, come causa di tutti mali nostrani.

Un attacco che si perde, perdonate la ripetizione, nella notte dei tempi. La disco come luogo di perdizione e di crimine, le stragi del sabato notte, i crimini della notte, quando, numeri alla mano, si potrebbero snocciolare mille esempi diversi.

La domanda è: perchè sempre le disco? Perché il mondo della notte? In questi oltre vent’anni da dj e giornalista che ha raccontato questo mondo dalla mezzanotte in poi me la son sempre fatta. Come se le disco non fossero un piccolo specchio del paese. Come se nelle disco ci fossero altre umanità non riconducibili a questo pianeta, magari i nostri figli, parenti, vicini e conoscenti, ma “altre persone, altri mondi misteriosi”. Persone normali che le frequentano e ci lavorano: dallo studente che si paga l’università facendo il camerie al manutentore, dal padre di famiglia che esegue i lavori al service, dalla security agli staff bar insieme a tanti fornitori e collaboratori. Ma non voglio restar qui a dilungarmi su chi abbia più o meno colpe o a riaffermare che gli assembramenti sono ovunque. Basta girare per i social e uscire di casa per vedere che il problema di responsabilità ed educazione sul Covid-19 è collettivo. Ho visto assembramenti e zero controlli in tanti luoghi, adulti e giovani che non avevano cura di stare attenti e distanziati, irridere qualsiasi regola tronfi del proprio essere “a casa loro”. Questo non fa notizia. Ripeto, non sto qui a ribadire chi abbia più o meno colpe e fare il pubblico delatore, pur avendone documentazione, anzi lascio ad altri l’ingrato e infame compito. Le guerre tra categorie sociali ed economiche non mi appartengono.

Forse, scriveva bene Alessandro Lippi su Djmag, la disco è un “capro espiatorio comodo per accontentare morale e ipocrisia paesana“. Cancellerei anche il forse, perché ne ho la certezza. Ma attenti, questa assunzione non esula tanti locali dalla loro colpe. Indifendibili per tanti casi visti che hanno messo in secondo piano chi, e son tanti, hanno provato ad adeguarsi alle regole. Tanti son caduti nel tranello di riaprire senza mettersi il dubbio che una costante e continua violazione delle regole potesse essere accettata e durare a lungo, neanche memori del disprezzo accumulato nel tempo dall’opinione pubblica.

Oggi più di ieri al mondo della notte manca, però, qualcosa di più: la volontà di far parte della società, di essere credibili, di dotarsi di una vera rappresentanza che possa condividere e non subire le decisioni della politica, la credibilità e la voglia di essere categoria seria e presentabile e non un oggetto sconosciuto e misterioso, con i suoi mille vizi e ambiguità.

I professionisti son pochi, chi mette la faccia idem – unico a Cagliari è Nicola Schintu del Room – e quando accadono questi avvenimenti si nota fino in fondo quanto poi ci si riduca solo a sbraitate sui social o silenzi imbarazzati senza nessun passo in avanti utile e senza mai essere presi sul serio da nessuno. Il divertimento invece è un’industria, è un lavoro, è impresa da 4 miliardi di fatturato e centinaia di migliaia di posti di lavoro, non è propriamente un gioco. Questo dovrebbe essere punto di partenza.

Quali idee, allora? Creare una consulta regionale dell’intrattenimento che lavori costantemente con istituzioni e forze dell’ordine e che sia il punto di riferimento. Stilare delle regole e valorizzare il mondo della notte in maniera di diversa, come elemento di aggregazione e risorsa culturale e sociale del territorio, tutelando chi lavora onestamente. La disco può essere un veicolo di messaggi sociali ed educativi importante. Rafforzare l’idea che la musica sia un elemento cultura da difendere e tutelare in tutte le sue forme, e che imprenditori, lavoratori ed artisti non vengano lasciati soli.

Diceva sempre bene sempre Lippi: “la disco oggi è incompatibile con la situazione sanitaria che stiamo vivendo”. Inutile girarci attorno. Il ballo crea assembramento e qualsiasi pensiero si abbia sul virus, qualsiasi sensibilità, è un dato di fatto. Nascondersi sarebbe da falsi e ipocriti. Peggio ancora soffiare sul fuoco, incitare alla disobbedienza, strategia che diventerebbe un boomerang. Se ne son accorti molti clienti che mi hanno scritto. Mi ha stupito che fossero giovani. E noi stessi dj facciamo la differenza e veniamo acclamati in una pista e da un’organizzazione se facciamo ballare o meno la gente. Come risolvere questo dilemma? 

Oggi come oggi, gestire il pubblico è impossibile. Come dire ai clienti “non ballate e distanziatevi”, quando la disco di per sé è questo, ballo, socializzazione, incontro, abbraccio, strusciamento?

Ecco perchè bisogna fare un salto di qualità. Non possiamo con il nostro interesse particolare e momentaneo mettere a rischio neanche lontanamente il futuro, oltre che del paese, dello stesso mondo della notte, specie quando capiamo che ogni errore sarà oggetto di campagne di stampa contro, di giornali affamati di click e poca conoscenza del problema, di opinione pubblica col dente avvelenato.

Bisogna essere oggi un po’ meno attaccati al momento e più lungimiranti. La disco non è più la stessa. La gente, anche quella che ama la disco, non è (sempre) la stessa. L’opinione pubblica non è la stessa. Ogni errore si paga, anche strategico e politico, anche fatto in buona fede.

E’ stata un’occasione perduta, posso dirlo? Per dare un’immagine diversa, per far emergere il bello della categoria. E ci siamo dentro tutti, ci mancherebbe. Nessuno nega che fosse arduo se non impossibile vincere questa battaglia in un campo fangoso con le regole – impossibili e assurde – come il distanziamento arrivato fino ai due metri. Siamo seri, come era possibile rispettarle? Forse si doveva restare chiusi con indennizzo, forse sarebbe stata miglior strategia, che andare in pasto ai leoni.

La disco deve darsi una mossa e cambiare passo. Non si può più vivere a metà pensando di trovare escamotage o soluzioni miracolose. Questo “apri e chiudi” continuo sarà la colonna sonora dei prossimi mesi, sempre più incerti, di un Paese dove cultura e istruzione sono ugualmente ferme, dove la sanità è ancora nel caos e spesso fare una visita specialistica comporta tante attese. Un paese che, volenti o nolenti, ha sofferto e in cui tanti hanno paura. Neanche questo si può dimenticare. E noi dovremo adeguarci a questo strano e nuovo ritmo, una occasione di svolta.

P.s. Un pensiero particolare va a tutti i lavoratori del mondo della notte che oggi sono in difficoltà.

Discoteche

Era il 7 marzo il weekend della prima chiusura delle disco. Sembrava una roba di pochi giorni e invece eccoci qui, a vagare per un’altra notte infame, luci e insegne spente di locali che un giorno si accendevano e pullulavano di gente.

Tre mesi lunghissimi quasi fosse una vita, in cui abbiamo provato a credere di poter fare a meno delle notti in disco, della musica dalle consolle, del ritrovarsi, bere, ballare e fare gli scemi fino a tardi e anche sfotterci come in un grande campionato di calcio.

Soho, Room, Club, Lido, Jko, Manhà, Linea, eccetera eccetera. Tutti con i propri colori e sciarpe. Tutti con la voglia di fare il meglio e il massimo, di portare a casa il risultato.

Bene, ancora non ci arrendiamo all’idea che questo mondo di illusione e luci, di pasta e gel nei capelli, tacchi a spillo, gonne, look e di strane connessioni dell’anima, che ci permette di star bene nonostante problemi e casini di ogni giorno, vite spesso precarie, sia ancora fermo.
Sembra assurdo ma è così!

Cosa vuol dire per un organizzatore, un dj, un vocalist, un pierre, un tecnico luci, o un barman o un cliente semplicissimo dopo anni e anni di weekend impegnati non avere quell’appuntamenro con la notte?
Sentirsi un po’ soli, un po’ meno magici, un po’ più disorientati. Io son così e non me ne vergogno.

Spero che la fortuna torni dalla nostra e che in qualche modo tutto ricominci.
Ne son certo.
Che le luci si riaccendano sulle piste e i privè. Che le consolle illuminino i cuori di buon ritmo, che le disco ripullulino di energia e vita, e si torni a prendere quelle cazzo di colazioni delle sette nel bar preferito, a pensare al miglior pezzo da mettere in pista, a giocarci l’ultimo cliente per quel tavolo in posizione tattica, l’ultimo drink o la bottiglia.

Perchè la disco non è quello che ci fanno credere molti. È molto di più: la vita, è la famiglia di alcuni e di tanti, è la nostra attesa, il nostro appuntamento con la gioia, la quotidianità.

Ci sfotteranno pure, rinnegheranno il loro essere stati qui, faranno la morale sul divertimento, ma non potranno mai negare che sia un mondo troppo bello per essere compreso da comuni mortali che vanno a letto alle dieci.

❤️

“Press play, fast forward
Non stop we have the beaten path before us
It was all there, in plain sight
Come on people, we have all seen the sunshine
We will never get back to
To the old school
To the old rounds, it’s all about the newfound
We are the newborn, the world knew all about us
(We are the future and we’re here to stay)
We’ve come a long way since that day
And we will never look back, at the faded silhouette
We’ve come a long way since that day
And we will never look back
Look back at the faded silhouette”

(Scritto mentre ascoltavo Silhouette di Avicii, al porto di Cagliari, così, per caso)