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Non è più tempo di SuperEroi

Non è più tempo per SuperEroi.

La nostra generazione prende un’altra brutta botta.
Eh sì, cari amici, ogni volta che succede, ogni volta che un lutto attraversa il mondo del cinema, della musica e dello spettacolo (quello vero) bisogna guardarci allo specchio.
I ricordi della nostra infanzia che avevano riempito pomeriggi infiniti di noia d’estate, quando il tempo pareva non passare, o inverni nel caldo delle nostre stanze mal illuminate, pian piano se ne vanno. E noi perdiamo una punta di giovinezza.

Quel che più impressiona è che se prima avevi una scelta sterminata di sogni ed eroi, basta scorrere l’album dei ricordi, oggi fai fatica a trovarne. Non solo perché sei cresciuto, e la vita ti ha riempito di ansia e acciaio, incazzo web e salvino, ma perché gli eroi oggi non esistono.
Quelli che chiamano eroi sono zombie drogati da like e visualizzazioni. Sono capitani della politica. Sono mestieranti senza arte, incapaci di farci battere il cuore e durare più di una stagione.

Suvvia, parlatemi di eroi moderni. Siete costretti sempre a ripescare il passato, e annoiarmi tanto perché siete scontati e ripetitivi, che si chiamino GigggggiRriva o Maradona, giusto per restare nel calcio.

Forse però i veri eroi esistono ancora: chissà, magari sono persone normali, normalissime che ci circondano e siedono al nostro fianco. In ristorante, sul pullman, al bar. Non hanno bisogno di stupirci con effetti speciali e non hanno l’ansia del consenso virtuale.
Nella semplicità sta l’essere eroi moderni.

La grande roccia e tante estati fa

Mi piace spesso tornare nei luoghi della mia infanzia, cercare indizi e qualcosa che mi riallacci a quel tempo perduto, istigare la mente e il cuore a frugare nei ricordi.

Così decido oggi di passare per Villagrande, un’estate calda di molti anni fa eravamo venuti qui con la mia famiglia. 
Per intenderci, ero in prima elementare, alla radio impazzava ‘Chi fermerà la musica’ dei Pooh!

Tempi lontanissimi, quasi antichi.
 Immaginatevi l’emozione della prima vacanza fuori casa.
Alloggiavamo in una piccola casa che dava sulla grande vallata. Si vedeva la diga, in lontananza si vedeva il mare. La sera le luci creavano un’atmosfera magica. La mattina si faceva la spesa in paese e ricordo il sapore tenero del carasau, che assaggiavo per la prima volta. 
E proprio qui c’era una grande roccia dove io e papà ci arrampicavamo ogni mattina per restare a parlare.

Il nostro piccolo e grande rifugio quotidiano.

Ed ora sono di nuovo qui, sotto la neve, nel silenzio e nella solitudine dell’ora di pranzo, a cercar ancora qualcosa di me.