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Dall’Andalusia all’Argarve


Prendere un pullman Alsa significa capire quanto sia lo scarto tra i nostri servizi pubblici regionali e il resto del mondo. Mezzi puliti, confortevoli, prenotazione chiara e tanti servizi a bordo. Adoro fare i confronti e cerco sempre di domandarmi perchè sia così complicato fare le cose per bene nel mio paese. Ma è un pensiero passeggero, prima di inerpicarmi in stupide polemiche.
Alsa la conosco bene: mi ha scarrozzato in giro per la Spagna per anni. Mi ha regalato paesi e scorci di questo smisurato e bel paese portandomi da città a città, con viaggi lunghissimi ma mai pesanti

Parto da Siviglia di buon mattino e lascio la città destinazione Huelva. Sotto lo sguardo della Sierra morena, piccole città e sentieri costruiscono uno scenario naturalistico che regala tranquillità. Fosse per me mi fermerei per ogni cittadina, anche in una panchina a osservare la gente, ma la mia direzione è altrove. Il Portogallo, ebbene sì, vi ho svelato il segreto. Giusto per non annoiarmi.

Mentre l’autista guida sicuro verso la prossima città mi godo campagne, filari di viti, angoli di mondo. Leggo i nomi delle città e sembrano tutti rimandare a suoni antichi.
A bordo del bus c’è un religioso silenzio finché non sale e si siede vicino a me una robusta ragazza portoghese, vestita con panta aderenti, che inizia ad ascoltare i video su Youtube ad alto volume. Io e un altro passeggero la fissiamo, finché non desiste, abbassa quel vociare digitale e si sposta.

Il viaggio scorre tranquillo. Le fermate alternano anonimi parcheggi limitrofi a centri commerciali a immersioni in paesi che hanno la costante delle case basse e del bianco splendente. Il cielo è azzurro, stacca perfetto col bianco, e finalmente l’oceano è riapparso. Non so perché ma questo paesaggio ma mi strappa un sorriso.

Tre ore di viaggio da est a ovest. Al confine col Portogallo un lunghissimo ponte sul Rio Guardiana introduce un cambio di paesaggio importante e anche di cartelli e scritte.
Uso il bagno, costa un euro, non ha sapone ma è pulito. Per centrare il cesso bisogna fare molta attenzione. Equilibrio possibile.
Ad Ayamonte sale una famiglia di italiani, mi pare piemontesi, con due figli piccoli che siedono proprio davanti a me. Sono gli unici che chiacchierano. Lei mi sembra di origini polacche, lui la sfotte. Mi accompagneranno fino a Portimaio per poi scendere. Ad Albufeira c’è una sosta di dieci minuti, l’autista dichiara candidamente di dover andare in bagno e suggerisce di fare lo stesso. Il tempo si è rallentato: siamo passati a meno uno di fuso orario. Ancora paesini bianchissimi, piccole case e campagne. Il sole e il cielo azzurro sono le certezze, come l’oceano in lontananza.
Nel mentre scrivo, leggo, rispondo alle mail, butto giù un’idea di storia chiedendomi mille perchè, chiudo qualche messaggio e fotografo cose inutili: un ponte, una casa lontana, il mio notes. Un amico mi suggerisce una trolley zaino da comprarmi. Altri paesi scorrono come frammenti di fogli bianchi incollati a un quadro e la domanda che mi faccio spesso è “come sarebbe vivere da queste parti?”.
Faro e poi Lagos, la mia destinazione. Ultima fermata di questo viaggio. Scendo, saluto e ringrazio l’autista. Lo fanno tutti. L’educazione normale mi stupisce. Mi rassicura vedere la borsa, l’ultima, e mi chiedo poi come sia possibile che nessuno ti rubi il bagaglio nonostante le fermate. Mistero irrisolto.
Le stazioni sono pulite e sempre piene di storie possibili e personaggi che sarebbe bello conoscere. Fanno viaggi lunghi, portano tristezza e preoccupazione tra gli occhi. Poi ci sono quelli che ti ispirano un gran senso di libertà, giovani o meno, zaino in spalla e pantaloncini corti per tutto l’anno. I classici viaggiatori nomadi. Facce diverse.
Io, giubbotto marta e felpa, mi sento un po’ stupido in questo angolo a ovest di Europa dove l’estate continua a stiracchiarsi. C’è un canale che porta al mare, i chioschi con i tour in offerta e un mercatino di abiti dove un bimbo si nasconde tra pantaloni e gonne.
Cerco un ristorante, il primo che vedo. Vicino a me una coppia ha appena concluso il pranzo e si alza. Ancora più in là un uomo con la pelle abbronzata, la barba bianca. Ha le fattezze di uomo di mare e gioca con una sigaretta. Il suo sguardo è perso, di fronte a un bicchiere di vino. Entrano anche degli olandesi: chiedono coca zero. Il menù è scritto in portoghese, spagnolo, inglese, tedesco e olandese. Nessun segno dell’italiano: non so perchè ma mi ispira been questa mancanza.
Chiedo un petto pollo e un’onesta insalata. Immancabili sono patate fritte. Da bere un bicchiere di vino tinto e acqua. Poi olive e pane che non sono mai automatici: si pagano a parte. Il cameriere chiede se il pollo lo voglia piti piti o meno, che vuol dire speziato. No, e niente salse, rispondo. Un espresso sul finale mentre nella radio va Robert Miles e Children.
Conosco a memoria la cucina portoghese e ogni volta assaggio e mangio quello che più mi ispira, senza vergogna di tornare nel ristorante italiano o presunto tale di essere pateticamente monotono. Pollo, insalate, carne. Birra o vino.
Tutto va lento, anche il vigile che controlla i parcheggi sembra soprassedere su chi sgarra. Nel centro storico si alternano un negozio di intimo tezenis con unsa gelateria artigiana, aley hop e i suoi oggetti e la bottega dei tessuti che potrebbe emozionare mamme datate e nonne ancora più datate. Vecchio emozionante e banalissimo nuovo senz’anima, nella sua riproposizione continua, vanno a braccetto. Non so perchè ma quando vedo queste catene resto sempre perplesso. E’ come se rubassero la bellezza ancestrale dei posti, come le auto davanti ai monumenti, come il reggaeton a tradimento in spiaggia. Quelle stonature.
Ancora turisti, alcuni americani: portano camicione floreali improponibili da film che raccontano le avventure degli studenti universitari. Tanti anziani, forse anche questa è una destinazione per la terza età. E hanno ragione.
Dall’Andalusia all’Algarve cambiano le sensazioni, la lingua, le bandiere ma la magia resta quella.
Il clima non mi fa credere che a un’ora di volo ci sia un inverno in arrivo e soprattutto ci siano posti dove stress e traffico rovinano la nostra esistenza mentre qui, in questo remoto paesino del Portogallo, tutto ha un’essenza umana.