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L'umanità di un gesto

Avete visto cosa è successo nel ciclismo qualche giorno fa?
Esteban era primo fino all’ultimo chilometro, quando una foratura lo ha bloccato. Sembrava tutto finito. Allora, bici in spalla si è messo a correre verso il traguardo. Un corridore lo ha superato e ha vinto la gara, il terzo lo ha superato ed è arrivato secondo. Poi arriva Agustin Navarro. Rallenta il ritmo fino ad andare a passo d’uomo e permette a Esteban di arrivare terzo e salire sul podio.

In questo gesto, come ha scritto perfettamente anche Natalino Balasso, ho visto qualcosa che forse sta scomparendo: l’umanità prima della sportività. Con buona pace di chi crede che lo sport faccia rima col cinismo.
Non sempre il destino è segnato, c’è sempre qualcuno o qualcosa che può venirti in soccorso, magari proprio quando meno te lo aspetti.

E questo rende ancora possibile ogni speranza.

Sportivi di A e B? Basta davvero

Da calciofilo, anche se ho giocato a basket all’età delle medie e tirato con una racchetta (imbarazzante) con amici in qualche campetto oramai in disuso, è bello vedere tanta gente appassionarsi per tennis, basket, ciclismo.

Seguire le gesta, appassionarsi, conoscere, allargare le proprie passioni. Tifare squadre di altre città. Conoscere le nostre nazionali.

Chissenefrega se ne sanno, se sono esperti, se lo han fatto da tempi non sospetti o meno, se sono identitari o no. Perché in questi casi cominciano le pippe, le etichette politiche e territoriali, il dover tifare perché. Tutti questi cappotti estivi che fanno solo sudare pelle e mente.

Anche io ci sono cascato in questa sterile polemica. Ma ho smesso.
Il bello è quando lo sport conquista i cuori, quando allarga la visuale di un paese troppo piegato sui mal di pancia del pallone (quello brutto, che detesto), i distinguo lasciamoli da parte.