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Carloforte, l’anima profonda

Ho finito di correre. Ho fatto il giro della Via del Sale, che stamattina sembrava più la via del sole. Sono davanti agli imbarchi. Faccio una foto inutile. Cappuccino e cornetto al Bar alla Fontana. La lenta dinamica di eventi di Carloforte mi affascina. Venticello carico di nostalgia e futuro. Tortore in loop. Colori di case e palazzine e che poi si fermano nell’azzurro cielo.
Mi siedo su una panchina. Mi affascina vedere i traghetti andare e venire. Il viaggio in tutte le sue facce. Ormeggi e rumori, fumo di comignoli e bandiere sventolanti sui pennoni. Donne che tornano con le buste dalle spesa. Due carabinieri scherzano con degli anziani su Napoli e juve. Un uomo zoppo attraversa la strada e si appoggia sul primo motorino dall’altra parte come fosse un porto sicuro. Un tipo sconosciuto mi saluta. Ha sicuramente sbagliato ma io rispondo cone se nulla fosse.
Mi perdo nelle stradine che salgono, il silenzio comincia a farla da padrone. Quel movimento del porto ora diventa silenzio e rumori indistinguibili, ape che sfrecciano in salita, vetrine che si lavano. Due vecchine scendono con attenzione le scale sotto l’arco. Profumo di sapone di Marsiglia in panni stesi a bordo strada. Tichettino di contatori.
E ancora case vecchie e nuove e intrecci di suoni: rotelle, starnuti, chiacchierate, picconi. Un bar con un biliardo che profuma di partite infinite e Pink floyd in diffusione. Insegne di negozi vecchi ma piene di amore. Due donne parlano davanti all’ambulatorio. Mostrano le spese per i farmaci. Ancora colori e bici e panni stesi.
E io qui, curioso, che provo a registrare ogni gesto anche minimo delle persone, a viaggiare con l’idea di cogliere il senso del mondo.
Adoro la semplicità dei borghi. Ritrovo la leggerezza del Mediterraneo con la sua gente e i suoi riti semplici.

Carloforte, Mediterraneo

“Cosa posso farci, se io sono nato nel Mediterraneo?”
C’è sempre qualcosa di speciale nelle città di mare e prendere un traghetto e sentire anche solo quell’odore acro di gasolio, ferraglia e salsedine, la spuma e l’approdo in un altro luogo ti riconcilia con la vita.
Alle 18 la bianca Parrocchia di San Carlo Borromeo rintocca e i pochi fantasmi per il centro si diradano.
I bimbi tristi puntano le bici verso casa e tante piccole lucciole si perdono nelle ombre della sera. Gli anziani stanchi cominciano la camminata, i bar riordinano le sedie e chiudono i conti in cassa.
Tutto si ferma in questi angolo di Mediterraneo, lontano dalle ansie del mondo e dagli stress delle metropoli.
Resto io e pochi temerari a sfidare questo lockdown mentale. Forse solo io. Camminando per il dedalo di strade che nascondono segreti di famiglie, decifrando rumori di pompe di calore, guardando insegne curiose, menù disposti sugli angoli, chiacchierate lontane e motorini, profumi di forno a legna e venticello che solletica la pelle. A un certo punto sono davvero solo: mi siedo nei gradini e mi faccio cullare dalla magia del momento sicuro che nessuno in questo angolo di terra, tra questi scalini con ciuffi d’erba casuali, possa disturbarmi.
“Cosa posso farci, se io sono nato nel Mediterraneo?”