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Un calcio all'armonia

Ed eccomi qui: sdraiato a prendere un po’ di sole con i panni stesi nel giardino di questa deliziosa casetta che io e i miei amici italiani del Cammino abbiamo trovato e dove oggi alloggeremo.
Una costruzione arancione ricavata forse da una ex abitazione di campagna, curata con tanto amore dalla proprietaria del vicino bar. Un arredamento semplice e tipico ma molto caloroso, che trasmette ospitalità e affetto. Uno di quei luoghi fuori dal tempo, che ti fa stare bene e non solo per quel profumo di lavanda che ti avvolge appena attraversi la porta, per quei soffici letti di una volta con biancheria che sa di Marsiglia o il pavimento che ricorda le vecchie case dei nostri paesi.

Siamo in relax, domani ultima tappa e se tutto va bene entreremo a Santiago di sera, per poi prendere la Compostela il giorno dopo.

Apro distrattamente Facebook e vedo che è iniziata la serie A: non è solo per il Cammino, ma quasi cado dal cielo. Non sapevo nulla: un po’ mi sento strano, un po’ idiota, poi penso che il calcio già da tempo per me ha un significato diverso. Ne faccio a meno, dedicandomi a un altro calcio, quello che mi piace, quello di base e dilettantistico.
Un anno fa ho tagliato sky e mediaset dal mio budget e riconfermo la scelta. Non avrebbe senso fare tanti discorsi. Seguo distrattamente le partite ma se mi chiedete i nuovi acquisti del Milan vi direi solo Montolivo, del Cagliari so ancora meno se non che le maglie sono marchiate Tirrenia ed evito ogni commento. Del resto della serie A pochissimo. Sono un asociale, una pecora nera, uno strano. Dire queste cose in Italia è pari a un sacrilegio.
Continuo a pensare che il calcio vada limitato a passione e divertimento non a droga. Ci sono cose ben più importanti e vivere per il calcio (come per la disco, come per la politica o la moda ecc) è qualcosa che non comprendo.

Equilibrio, altra parola chiave dell’esistenza, difficile da realizzare. La vita è fatta di tante cose, compresi eccessi e privazioni: se si riescono a trovare i dosaggi giusti tutto ha un senso, altrimenti il bicchiere trabocca.
A noi italiani piace il bicchiere traboccante, piace morire per il calcio e dimenticarci del resto, come se il calcio e basta ci salvi. Serve ma non è indispensabile. Ognuno ha libertà di scelta, ma i tempi d’oggi potrebbero anche farci guardare il mondo in maniera diversa e a scindere ciò che è importante da ciò che non lo è. Lavoro complicato.
Che sia vestirsi e seguire la moda, seguire uno sport, avere un ideale, fare sesso, lavorare, allenarsi o riposare, la disco o la tranquillità, la materia e lo spirito, l’umiltà e la supponenza, tutto ha bisogno di un equilibrio.

Il problema è quando il bilancino pende solo da una parte, quando queste cose diventano fissazioni, unico motivo di vita, e allora l’armonia si rompe.
Ho letto da poco questa bellissima frase: “la vita di noi normali è un compromesso quotidiano e sfiancante fra il bene e il male, la fantasia e il senso comune, la disciplina e la tentazione. Proprio per questo, forse, rappresenta la forma più sottile e profonda di eroismo”

La camminata più lunga

Se ieri doveva essere una tappa impegnativa e non lo è stata, oggi è accaduto il contrario: Palas de Rei-Arzua è stata lunga e ha messo in gioco tante energie. In programma c’era un gran salto verso Santiago e quasi 30 km da percorrere.

Chilometri volati via in otto ore abbondanti con due belle pause, ma quante salite!
Si parte alle 7.29, piove e si comincia subito a salire. Dolcemente ma si sale. La pioggia si fa più pesante, ci si copre e la prima pausa è a 9 chilometri, a Llimite, per un caffè, acqua e pesche. Il paesaggio per ora è noioso, così si parla: di politica, di calcio ma anche di filosofia e religione. Quando si chiacchiera i chilometri scorrono via veloci, ma ovviamente ci sono tantissimi momenti di silenzio rotti solo dai rumori della natura e dai nostri passi. Dopo ogni piccola pausa ho bisogno di qualche centinaio di metri per ripartire bene. Un’altra piccola sosta a Leboleiro per il timbro della Credencial.

Ogni tanto mi sgancio dagli amici, metto musica e mi estraneo. Passano Enya, musica celtica, e l’ultimo album della Mannoia. Pioggia intensa, mi sento per un attimo in Irlanda come 5 anni fa, fotografo cose che mi danno una sensazione anche spesso agli occhi di chi guarda sono senza senso: un cimitero in città, case sparse, un campo. Ogni tanto tocchiamo qualche strada statale, è come se tornassimo alla civiltà. Poi, per fortuna, ci allontaniamo addentrandoci nei boschi.

Una salitona ci porta a Melide, città a metà percorso, famosa per il polipo. Anche la suora all’esterno della cappella di sant’Antonio – dove timbriamo la Credencial – ci dice che non possiamo fare a meno di gustarlo. Sorride, vestita di bianco e parla un ottimo italiano. Infatti ci fermiamo in pulperia, e ne ordiniamo 3 porzioni. Tanti si fermano qui. Sono le 11.30. Mamma direbbe “se mangi ora poi non pranzi”. Mi sfondo col pane, il polpo semplicemente lo guardo: a me la cucina di mare sta stretta.

Incrociamo amici conosciuti prima, che ogni tanto rincontriamo. Spagnoli. Il tempo non promette nulla di nuovo e nuvoloni ci dicono che troveremo un bel temporale. Invece no: entriamo in un bosco, alberi altissimi che non fan passare la luce. Proseguiamo e attraversiamo un ruscello, il Rio Catasol. Foto in uno dei punti più famosi del cammino e si continua ancora.

Pausa a Boente per pranzare con tanti italiani. Per me panino con pomodoro intriso d’olio e spremuta. Nell’altro tavolo si canta. Una canzone del viandante sulle note di “Clandestino” di Manu Chao. Come succede curiosamente, dopo una fermata ci sorprende una ripida salita, un irto cammino dopo una fermata. Parto bene, scollino (come direbbe Giorgio) ma poi mi prende un dolore al ginocchio destro. Prendo un po’ di antinfiammatorio, ma il dolore non accenna a smettere. Sono due chilometri finali in salita in cui stringo i denti. Infiniti e con il sole che torna a battere.

Finché arriviamo al nostro alloggio, un albergue (ostello). Dopo due giorni di pensione (era sempre pieno) finalmente condividiamo la notte. Io abituato ai posti riservati ho un po’ di timore. Dura poco: stanzone da 20 letti, pulizia massima e un’educazione da parte degli altri ospiti che non vi racconto. Ti aspetti casinisti e sporcaccioni, ti accorgi che in un posto così dove sei a contatto con tutti, gente di tutti i posti ed estrazioni, tutti parlano piano e moderano i movimenti per evitare disturbo. Cose che non vedi tanto nell’alta società!

Doccia e riposo. Dopo giorni di sapone di Marsiglia abbiamo anche una lavatrice oltre a una connessione wifi con una password di 15 caratteri. Un bellissimo hostel a 10 euro a notte!
La tappa di oggi insegna che non bisogna mai farsi un’idea prima di aver provato qualcosa: un percorso, un ostello. Ci sono una marea di fuorvianti pregiudizi che vi bloccano (anche nel conoscere le persone). E poi l’attenzione si particolari nel Cammino e nella vita: come ti leghi le scarpe, come ti metti la t-shirt, come infili le calze, dove metti i piedi mentre percorri un sentiero. Particolari che fan la differenza di un cammino e ti permettono di farlo nelle migliori o peggiori condizioni, così come gli oggetti che usi e all’utilizzo che ne fai, fosse una forcella o una busta. E pensa a tutti i particolari, i gesti che fanno la differenza nella vita!
Il premio di oggi è una tappa più agevole per domani: dopo 29 km ci attendono dieci chilometri in meno, destinazione Pedruozo.

Notti di mezza estatixi

Reduce dai postumi dell’Hangover di ieri. Non perchè abbia bevuto (qualcosina, come regola, la prendo sempre e non può mancare il mirto pre-serate) ma perchè è stata un’ubriacatura di vecchi amici. Read More