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Meno diciotto a Santiago

Dov’eravamo rimasti? Aiutatemi! Ieri sera, la tappa più lunga.
Ad Arzuà dopo esserci sistemati in un ostello (albergue) siamo andati in una piccola trattoria vicina per cena. Era come se mangiassimo in una sala da pranzo: la governante, insieme a quella che immagino fosse la figlia, avevano la cucina di fianco. Tutto molto familiare. Uno spettacolare minestrone che farebbe invidia a quello della valle degli orti, vino, birra, pollo arrosto e immancabile torta di Santiago.

Non ci crederete ma in ostello ho dormito meglio che in tutti gli altri alloggi e hotel e in più sono riuscito a lavare i panni sporchi. Tutti gentili ed educati. Unico problema gli acari, che subito hanno modificato il mio stato nasale, combattuti inaugurando il mio sacco a pelo appena comprato.
Mattina con solito rituale: doccia tixica (un rito immancabile), preparazione al buio (gli altri dormono) e partenza alle 7.30. Colazione in strada (caffelatte, pane abbrustolito imburrato e spremutona) per caricarsi. Fuori c’è nebbia e freddo, non si vede oltre qualche decina di metri. Si comincia!

I dolori delle sere prima la mattina sono solo dei ricordi (la sera posso dire di essere un rottame!) La camminata è bella variegata: si scende e poi si sale. Gioiscono le gambe, però, dai, bella sensazione ogni volta vedere cosa c’è dopo la scalata.
Costeggiamo un ruscello, alberi bassi, ancora tanta foschia e sembra di essere sul percorso del gioco dei pirati di Gardaland. Oggi tanti ciclisti ci superano, sfrecciano, anche pericolosamente, al nostro fianco. E poi tanti eucaliptus, pianta tipica di questa tappa e non solo.
Prima pausa dopo 6 km in 1 h e 20 per un caffè. Siamo a Calzada. In tv c’è una replica di Supercar: io e Giorgio la guardiamo e ridiamo. Intanto io cerco sempre di parlare di spagnolo utilizzando vocaboli mutuati dalle canzoni o inventando di sana pianta. Ogni tanto funziona, ogni tanto sfoggio l’inglese, ma capiscono bene l’italiano. Dispenso perdoname e gracias, hola e buon camino.
Dopo ogni sosta sento dolori e maledico la fermata, ma vado avanti e riprendo il cammino.

Chilometri di bosco senza anima viva, villaggi chissà se abitati, dimenticati dal mondo, horreos (granai sopraelevati) ovunque, tanta mierda (vista quella schiacciata sarò fortunato a vita) e solitudine.
Poi come sempre quando pare che non accada più nulla e sopraggiunga la ripetitività ci sono le sorprese: si materializza un tavolino con delle fragole in vendita, un tipo che ricorda vagamente Piero Pelù, che parla e scherza. Una scena come nel mago di Oz. Prendiamo due ceste a 4 euro e ci rimpinziamo subito.

Incrociamo più volte una statale dove le auto sfrecciano: attraversiamo con molta attenzione. Prendiamo un sentiero e dopo pochi metri c’è il monumento a Guglielmo Watt, un pellegrino morto durante il Cammino vicino a Salcedo. A O Xen incrociamo 5 pellegrini a cavallo, di cui uno anziano e uno giovanissimo. Tiriamo ancora per 2 km senza fermarci (km23). Ogni mojon (ceppo) raccoglie oggetti. Sono le 11.15 e finalmente arriva il sole. Ogni tanto ci si ferma a rimetter a posto tutto e migliorare la disposizione dello zaino. O, come ora, ci si toglie il kway. Io rallento per appuntare qualche pensiero o frase.
Sosta per pranzo (anticipatissimo h 11 30) a O’Empalme, a 4 km dall’arrivo per intenderci! Ci serve una giovane famiglia, il bimbo con la maglia del Barca. Tortilla panino e cerveza galiziana è il nostro pasto, mentre mi aggancio alla wifi e rispondo a qualche messaggio.
I miei compagni di viaggio conosciuti per caso sono fantastici: la veracità emiliana con la saggezza campana, un mix perfetto e inatteso. Io ci metto del mio. Come sempre prima di scoprire la mia età mi davano 25 anni. Ridiamo e scherziamo, sembra di conoscerci una vita.
Riprende il cammino, prendo appunti e i chilometri passano quasi senza pensarci. Il mojon segna 20 a Santiago, pensi subito a Cagliari-Monastir, resto un po’ da solo e cammino per i fatti miei, immerso nel bosco degli eucalipti che non fanno passare i raggi del sole.

Una grande salita ci porta a O’Pedrouzo dove la prima immagine della civiltà ritrovata è un campo da calcio!
Un paesino un po’ anonimo. Si discute se proseguire per Santiago, che dista 18 km, o meno: decidiamo di non forzare anche perché Ercole, uno dei componenti, lamenta un po’ di fatica. Siamo oramai un gruppo e anche il parere di uno (peraltro il più anziano) conta. Mettiamo da parte per un attimo gli slanci e i sogni di conquista, ci fermiamo e troviamo sistemazione in alcuni bungalows carinissimi e colorati a pochi metri dal Cammino. Ex case di compagna ristrutturate con molto gusto e con tanti oggetti tipici.
Meritato riposo e domani si riparte, destinazione Santiago. Se pensiamo che nel giro di 4 giorni abbiamo macinato quasi cento chilometri…
La lezione di oggi è che spesso vogliamo andare forte, ci sentiamo pronti ad ogni sfida e obiettivo, ma dobbiamo anche trovare il tempo per dosare le forze e saper attendere, ponendo un freno al troppo entusiasmo.

Così come con le persone: spesso è inutile rincorrerle, bisogna anche far uso di una saggia pazienza.

La camminata più lunga

Se ieri doveva essere una tappa impegnativa e non lo è stata, oggi è accaduto il contrario: Palas de Rei-Arzua è stata lunga e ha messo in gioco tante energie. In programma c’era un gran salto verso Santiago e quasi 30 km da percorrere.

Chilometri volati via in otto ore abbondanti con due belle pause, ma quante salite!
Si parte alle 7.29, piove e si comincia subito a salire. Dolcemente ma si sale. La pioggia si fa più pesante, ci si copre e la prima pausa è a 9 chilometri, a Llimite, per un caffè, acqua e pesche. Il paesaggio per ora è noioso, così si parla: di politica, di calcio ma anche di filosofia e religione. Quando si chiacchiera i chilometri scorrono via veloci, ma ovviamente ci sono tantissimi momenti di silenzio rotti solo dai rumori della natura e dai nostri passi. Dopo ogni piccola pausa ho bisogno di qualche centinaio di metri per ripartire bene. Un’altra piccola sosta a Leboleiro per il timbro della Credencial.

Ogni tanto mi sgancio dagli amici, metto musica e mi estraneo. Passano Enya, musica celtica, e l’ultimo album della Mannoia. Pioggia intensa, mi sento per un attimo in Irlanda come 5 anni fa, fotografo cose che mi danno una sensazione anche spesso agli occhi di chi guarda sono senza senso: un cimitero in città, case sparse, un campo. Ogni tanto tocchiamo qualche strada statale, è come se tornassimo alla civiltà. Poi, per fortuna, ci allontaniamo addentrandoci nei boschi.

Una salitona ci porta a Melide, città a metà percorso, famosa per il polipo. Anche la suora all’esterno della cappella di sant’Antonio – dove timbriamo la Credencial – ci dice che non possiamo fare a meno di gustarlo. Sorride, vestita di bianco e parla un ottimo italiano. Infatti ci fermiamo in pulperia, e ne ordiniamo 3 porzioni. Tanti si fermano qui. Sono le 11.30. Mamma direbbe “se mangi ora poi non pranzi”. Mi sfondo col pane, il polpo semplicemente lo guardo: a me la cucina di mare sta stretta.

Incrociamo amici conosciuti prima, che ogni tanto rincontriamo. Spagnoli. Il tempo non promette nulla di nuovo e nuvoloni ci dicono che troveremo un bel temporale. Invece no: entriamo in un bosco, alberi altissimi che non fan passare la luce. Proseguiamo e attraversiamo un ruscello, il Rio Catasol. Foto in uno dei punti più famosi del cammino e si continua ancora.

Pausa a Boente per pranzare con tanti italiani. Per me panino con pomodoro intriso d’olio e spremuta. Nell’altro tavolo si canta. Una canzone del viandante sulle note di “Clandestino” di Manu Chao. Come succede curiosamente, dopo una fermata ci sorprende una ripida salita, un irto cammino dopo una fermata. Parto bene, scollino (come direbbe Giorgio) ma poi mi prende un dolore al ginocchio destro. Prendo un po’ di antinfiammatorio, ma il dolore non accenna a smettere. Sono due chilometri finali in salita in cui stringo i denti. Infiniti e con il sole che torna a battere.

Finché arriviamo al nostro alloggio, un albergue (ostello). Dopo due giorni di pensione (era sempre pieno) finalmente condividiamo la notte. Io abituato ai posti riservati ho un po’ di timore. Dura poco: stanzone da 20 letti, pulizia massima e un’educazione da parte degli altri ospiti che non vi racconto. Ti aspetti casinisti e sporcaccioni, ti accorgi che in un posto così dove sei a contatto con tutti, gente di tutti i posti ed estrazioni, tutti parlano piano e moderano i movimenti per evitare disturbo. Cose che non vedi tanto nell’alta società!

Doccia e riposo. Dopo giorni di sapone di Marsiglia abbiamo anche una lavatrice oltre a una connessione wifi con una password di 15 caratteri. Un bellissimo hostel a 10 euro a notte!
La tappa di oggi insegna che non bisogna mai farsi un’idea prima di aver provato qualcosa: un percorso, un ostello. Ci sono una marea di fuorvianti pregiudizi che vi bloccano (anche nel conoscere le persone). E poi l’attenzione si particolari nel Cammino e nella vita: come ti leghi le scarpe, come ti metti la t-shirt, come infili le calze, dove metti i piedi mentre percorri un sentiero. Particolari che fan la differenza di un cammino e ti permettono di farlo nelle migliori o peggiori condizioni, così come gli oggetti che usi e all’utilizzo che ne fai, fosse una forcella o una busta. E pensa a tutti i particolari, i gesti che fanno la differenza nella vita!
Il premio di oggi è una tappa più agevole per domani: dopo 29 km ci attendono dieci chilometri in meno, destinazione Pedruozo.