Un giorno a Lagos, Portogallo è già finito.
Controllo che mezzi ci sono da Lagos a Faro: il pullman Alsa parte troppo presto, ma per fortuna posso anche scegliere il treno – non è mai scontato che ci sia la ferrovia in certe zone di Spagna o Portogallo – e anche l’orario è perfetto: le 11:14!
Riesco a fare ancora un ultimo giro veloce a Lagos puntando sulla costa davanti davanti alla città vecchia. Scopro – mia pigrizia nel non studiarmi mai tropppo le destinazioni e andare a caso per non dire altro – che ci sono quattro splendide spiagge Meia Praia, Praia Dona Ana, Praia do Camilo e da Batata. Sono tutte circondate da scogliere e anfratti le rendono ancora più belle e si trovano all’estuario di Lagos. Scendo attraverso una ripida scalinata e lascio la borsa a distanza, controllandola ogni tanto. Ma mi faccio la domanda: chi mai me la vuol prendere? Cioè ho oramai la sensazione di essere sempre a casa e che ci sia un patto tacito tra viaggiatori e luoghi: ci si rispetta a vicenda. Questo è adolescentesco, lo so, inconcepibile nei tempi dell’odio social e del “ti fotto io prima che mi fotta tu” ma è così.
Il clima è splendido, ci sono diciotto gradi, mollo il giubbotto in borsa e resto in maglietta. Più di una persona sta facendo il bagno o prendendo il sole.
Continuo a controllare la data: siamo al 10 novembre (che data!) e qui si gira ancora in pantaloncini e maglietta. Tornando nel centro di Lagos mi accorgo che tutti son vestiti estivi.
Mi scuso se vi ho raccontato poco di Lagos: avete ragione! Una cittadina squisitamente portoghese, strade acciotolate, ristorantini, case basse e bianche e un’atmosfera rilassante che culmina con una zona più silenziosa e riservata, quasi in segno di rispetto, vicino alla chiesa di Sant’Antonio dove ieri notte passeggiavo curiosando dentro le case. C’è un giusto connubio tra negozi occidentali, gli immancabili tezenis, ale hop, eccetera i locali notturni – tanti – e i semplici ristorantini locali,.
Il fronte del porto prosegue con altri bar e ristoranti, insieme ai gazebo dei tour in partenza: ce ne son davvero tanti! Uno scrive WE ARE LOCAL forse per attirare l’attenzione su un dna di Lagos.
A Lagos c’è un estuario che si snoda per l’intera lunghezza della città dividendola in qualche modo con un ponte automatico sotto cui partono barche più o meno grandi verso l’oceano. Poi, le spiagge. Tante e bellissime. E il mercato comunale, dove ascoltare – e non capire – le urla e le contrattazioni sui banchi o vedere arrivare un grande pesce spada.
Cammino per mezz’ora prima di arrivare alla piccola stazione dei treni. Due binari, di cui uno è un vecchio mezzo diesel diretto proprio a Faro, come sulla scritta. Faccio il biglietto e ho tempo per una colazione fuoriorario al vicino bar, guardando l’orologio: al banco c’è un ragazzo che ci mette un’eternità a sfornarne un cappuccino tanto curato, con aggiunte di latte e cacao e sapienti dosaggi – lo guardo con la coda dell’occhio – quanto bollente. Anzi di più. Prendo anche un croissant soffice, senza nulla dentro. Mollica. La sua collega parla un inglese scolastico e perfetto. Anche se il binario è a un minuto di camminata non riesco a finire tutto. Il cappuccino, che poi sa di caffellatte, è davvero caldo!
Il doppio vagone parte in perfetto orario, sedili puliti e dentro tanto silenzio. Per diversi minuti restiamo gomito a gomito con l’oceano, spiagge lunghe e bianchissime. Poi ci lasciamo, come due amanti che si promettono amore eterno. La campagna. Case basse, bianche, campi coltivati e stazioncine. Studenti e pochi viaggiatori come me. Il trenino sbuffa ancora per un po’, suona la sirena e continua il suo onesto lavoro.
Inizio a guardare i messaggi di auguri. Sono tantissimi e già vorrei scrivere GRAZIE in una grande mongolfiera che passa sulle città. Dicono che col tempo consideri il tuo compleanno come un giorno normale. Viaggiare, vedere, capire. Sentire e innamorarsi. Ecco la mia normalità.
Due ore e arriviamo a Faro, un’altra avventura comincia!