Ci sono due parole che raccontano la crisi figlia del coronavirus: la pazienza e l’indipendenza.
La pazienza è quella che ti fa tenere la calma quando tutto il mondo pare impazzire in preda ad ansie e paure e ricerca di colpevoli che spesso son i primi che passano.
Allora capisci che non rispondere a certi commenti, sorvolare e tacere e respirare forte sono la salvezza di fronte a tanti “comprensibilmente” fuori di testa.
La distanza sociale per te è diventata da tempo mentale, un desiderio di non farti contaminare da un virus subdolo e pericoloso: la rabbia e la frustrazione, che poi non è roba di questi mesi ma è sedimentata da decenni.

Poi c’è l’indipendenza che hai maturato in anni di viaggi, esperienze e vita, quella che paradossalmente anche in questo dramma ti fa andare avanti perché sai di poter contare prima di tutto su te stesso e, ieri come oggi, di non essere stampella di nessuno da cui dipendere.
E non è casuale ritrovarsi spesso con amiche e amici “simili” che hanno sviluppato indipendenza nella vita, ideale e esistenziale. E che riescono a guardare con lucidità tutto questo film distopico senza perdere la luce della ragione.