Al gate 11 partono per Tenerife. Al nostro, il 12, una fila speranzosa anticipa di molto la partenza indicata nel monitor dell’imbarco. I display blu in alto scrivono con caratteri gialli un nuovo orario per Barcellona El prat: 15:35. Ritardo. Poco da fare.
Mi tocca leggere e osservare questo spicchio di mondo, di sagome scure che passano avanti e che hanno come sfondo la pista e le montagne dietro Bergamo.
Vicino a me una ragazzina legge un romanzo, stessa cosa una figlia, il titolo del libro, copertina rossa, è Persepolis, con una madre che invece usa un ebook: strana inversione dei ruoli. Due amici guardando un cellulare e una donna mette le scarpe sopra il bagagli, sopra la maniglia ha un cappello di paglia che dondola al suo minimo movimento.
C’è qualcosa che mi divide da questo esercito turisti e un po’ invidio: la loro leggerezza o almeno quel senso di spensieratezza che hanno quando partono. Sanno di non dover pensare più a nulla e doversi semplicemente divertire. Per me i viaggi, qualsiasi sia la lunghezza o destinazione, sono un attimo di sospensione dall’esistenza, turbine di pensieri e tensioni, rimettono in moto il cervello e fanno emergere canzoni e ricordi del passato. Accarezzo emozioni forti come non mai nella quotidiana esistenza. E, purtroppo, pongono pure mille domande di difficile soluzione.