Ieri, Roberto, un amico di vecchia data mi ferma in disco e dopo esserci scambiati i rituali classici “ciao, come va? Come stai? Che stai facendo? ” aggiunge: “ti leggo sempre, sai? Bravissimo! scrivi sempre cose vere, fai riflettere, sei un moralizzatore”. Lo fermo al volo. Errore degli errori.
Quella parole “Moralizzatore”. Arrrrrrggggg! “Ma neanche per sogno, caro Robi! Io non sono un moralizzatore, io non sono nessuno per insegnare agli altri cosa sia giusto cosa meno, io non ho niente da dimostrare, nessun ditino da alzare.
Mi piace solo scrivere, raccontare con ironia che spesso nasconde amarezza (qualcuno forse l’ha intuito), ciò che vedo. E questo mi porta ad apparire quel che non voglio. Ma chi scrive appare anche così: un saccente, un professorino del cazzo. È uno dei prezzi da pagare. Me lo porto dietro. Ho perso simpatie, amicizie, lavori.Scrivo – celandola con battute e storie leggere – l’amarezza, la piccola città di provincia, le sue ossessioni, la fine dei sogni e delle illusioni, l’adolescenza andata via, il futuro incerto, la nostalgia di qualcosa che spesso non capisci, il breve lasso tra felicità e tristezza, la storia di una generazione che ha pareggiato senza sporcarsi la maglietta. E magari offrire uno spunto mio personale limitato e criticabile, a chi legge.
Ma anche io per primo, sono criticabile, sono ridicolizzabile, sono macchietta, personaggio, sono immerso fino al collo nell’ambiente in cui vivo e nei suoi perché”

Allora, stamattina, riprendo la frase di Jep Gambardella
Sull’orlo della disperazione, non ci resta che farci compagnia, prenderci un po’ in giro!