Era ieri mattina.
Vado via di buon mattino, nell’hostel qualche anima vaga ma tutti dormono ancora. La reception è vuota, saluto e ringrazio tutti con un fogliettino scritto a mano. Mi attende un treno alla stazione di sant’Apollonia, zona est, sotto il quartiere Alfama. Esco mentre la città riprende la sua quotidianità: il trolley rompe il silenzio delle stradine con le sue ruote che rullano sui sanpietrini.
Vado un po’ a naso sapendo di aver la stazione a est vicino al mare, taglio e percorro strade laterali e viottoli per godermi quest’ultimo mattino, sono in anticipo, cerco e poi trovo strade che graffiano e poi scendono sul mare. Un arco ed ecco la zona portuale il mare, il sole e il cartello per la stazione. Lontano, dalla parte opposta a me, la statua del Cristo re e il ponte del 25 aprile fanno apparire Lisbona una via di mezzo tra Rio e New York.
Giornata bellissima, roba da magliettina ed io bardato e ridicolo quasi dovessi andare in Russia. Mi tolgo tutto, ecco la stazione, con i suoi immancabili personaggi. Biglietto per Coimbra, grazie. Mi siedo nella hall, wifi zone. A fianco uno che dorme, un altro chiede monetine e proprio di fronte a me una donna di mezza età vestita come quelle dei nostri paesi, nero, a cui si avvicina un’altra donna vestita in modo simile ma senza fazzoletti in testa. Due distinti signori lavorano, occhi fissi sul pc. Ancora altra gente che dorme su poltrone metalliche, ritrovo di disperati con povere buste dei supermercati al seguito. Non penso stiano aspettando un treno o una persona che arriva in un binario in questa stazione quasi in riva al mare, quanto la vita che con loro si fa attendere.
Nel treno non capisco che ci sia il posto assegnato e me ne accorgo solo dopo che mi fanno spostare. Poi ancora spostare e spostare ancora. Leggo il biglietto ma non capisco e non ho voglia di chiedere a nessuno. Mi accomodo vicino a una bella ragazza che per tutto il tragitto guarda il finestrino. Gigioneggio con l’iphone e mi impegno nelle solite inutile discussioni di facebook: inutili perché nessuno riesce a discutere con tranquillità, quando l’argomento si fa caldo tutti si sentono toccati sul personale e non possono pretendere che ognuno abbia una idea diversa. Immaturità. Eppure la discussione è il sale della vita e della conoscenza, ma di che sale vorrai parlare con le persone? Guardiamoci negli occhi, pochi sono oramai normali, il mondo è fatto di pazzi pronti a scattare non appena si sentono messi in gioco.
Arrivo puntualissimo a Coimbra, 11.32. I treni portoghesi sono ottimi: puliti ed economici. Ho scelto una locanda centralissima a gestione familiare. Una stella, neanche venti euro a notte, ma ne vale la pena. Starò solo oggi.
Nella hall al primo piano mi accoglie una signora di mezza età, truccata e ingioiellata, che subito esclama con un po’ di malizia “ohh italiano” appena vede la mia carta d’identità. La camera è bella e accogliente, dà su una stradina pedonale. Mi butto un po’ sul letto a una piazza e mezzo per rilassarmi. Mobili vecchi attorno a me e una bella lampada. Tutto curato e fatto con amore.
Carico foto su fb, scrivo e ricarico tutti i cellulari. Poi esco in giro per le strette viuzze costellate da negozietti deliziosi di qualsiasi genere. Frutta, case del pane, caffè, mercerie, drogherie, utensili, francobolli, souvenir, dischi di fado, macellerie e barbieri. Pranzo in un bar qualunque, piatto composto 4 euro. Poi un caffè e una pastela dolcissima, bevo un moscatello in un baretto colorato con altri avventori, poi scendo vicino al fiume Mondego che taglia in due Coimbra. Osservo il panorama in questa giornata ventosa, poi mi inerpico nelle vie verso l’università incrociando tanti studenti. Un gatto mi osserva: gli rubo uno scatto. Giro ancora, vicoli e pertugi. Ricevo una bella chiamata di lavoro dall’Italia: sì, questo posto mi porta bene. Potessi rimanerci una vita…
La serata scorre lenta, decido di andare in un centro commerciale lontano, il Forum, raggiungendo dopo aver attraversato il buio lungofiume e la strada a quattro corsie. Avete presente quando cominciate a camminare senza sapere dove andate? Passo per campi sterrati, cunette, sottoponti, a bordo di trafficatissime strade. Potrei benissimo essere scambiato per un profugo. Il centro commerciale è maestoso, in posizione che domina sulla città dove intanto è scesa la sera. Tanti negozi, immancabili quelli delle mutande, e un supermercato dove faccio un po’ di spesa: pane, affettati, frutta e verdura. La mia cena. Poi compro due cose da vestire nel vicino outlet, magliette a 1 euro.
Il rientro in discesa è più facile e per fortuna trovo marciapiedi e percorsi normali evitando strani giri. Costeggio la zona sportiva universitaria, il deposito di autobus, condivido la strada con una coppietta. Arrivo in stanza, ceno e mi metto a leggere, ogni tanto controllo facebook e in tv c’è Burkina Faso contro Ghana, pare finale della coppa d’Africa.
Seguo con distrazione gli eventi, poi decido di riuscire e godermi la notte. Una passeggiata, una birra, tutto va via velocemente, e ho già la stanchezza giusta da richiedermi il rientro. Il freddo è tanto e la gente in giro pochissima. Nel mio piccolo covo di Coimbra la notte scende veloce.
“Sì non ci si può fidare di uno come me che vivrebbe bene in un hostel, senza niente senza neanche il mare, a guardarsi dentro e capire dentro cosa c’è…
Via, voglio andare via, io non ho progetti e non so da grande cosa farò, certo è tutto questo vento che mi porto dentro e quando si calma mi fermerò… Via via…”