Un lunedì da lupi solitari. Tavola calda hinterland milanese, video degli Spandau Ballet nello schermo sull’angolo, quartino di vino e poca gente.
Ci manca solo la pioggia e il film è fatto.
Questo ristorantino dagli interni anni Ottanta parla egiziano. Il cameriere e il personale vedendomi immerso nelle mie scritture su un blocco notes si incuriosiscono, mi offrono un mirto sapendomi sardo e chiedono di raccontare della mia terra.
“Un posto un po’ strano, Ahmid, che non vedi l’ora di lasciare dopo un po’ e quando vai via ti chiama come se ti fossi dimenticato qualcosa”,
Poi mi abbandono ai ricordi: “Vedi, in Sardegna c’è la lentezza, la nostalgia, la povertà e l’orizzonte, ma uno come me non può farsi fregare perché se si ferma è finito”.
“Questa sarà sempre tua casa” mi dicono. “Vieni quando vuoi amico e troverai sempre un sorriso”
L’hinterland milanese è un caleidoscopio di storie e incontri improbabili. Temevo questo periodo e invece sto scoprendo un’altra realtà bellissima, prima di tornare in città. Le albe, i tramonti, i campi, il profumo del fieno e dell’erba e gente sempre diversa. La Pianura padana, un mondo che conoscevo solo dalla musica degli 883 e degli articolo 31.
È strano ma ho imparato un’altra piccola lezione, quando meno me lo aspettavo: non esiste nulla di negativo, nessun luogo o persona che possa essere definita e giudicata senza essere conosciuta bella o brutta. Ecco, siamo noi che decidiamo come vedere il mondo e come vivere le nostre esperienze.