Il viaggio a Tangeri comincia così: mezz’ora prima nel porto di Tarifa, sud della Spagna, per il check in. Una fila di turisti attempati aspetta il momento. Il traghetto ci mette un’ora, è della FBS e il passaggio in poltrona, unica sistemazione, costa 41 euro.

Faccio colazione in un bar vicino alla fila d’imbarco controllando che il traghetto non parta senza di me. Pan tostato e pomodoro, acqua e succo d’arancia, un classico. La tipa deve resistere all’assalto di un gruppo di ragazze con la maglia rossa con il logo della compagnìa di navigazione.

L’imbarco è ordinato ma lungo. Quando saliamo a bordo, tutti i turisti lasciano trolley e zaini pesanti nel salone auto. C’è da fidarsi? Io ho uno zaino leggero e vado veloce per le ripide scale. C’è una fila immensa per il controllo documenti per il Marocco durante la traversata con due agenti della polizia marocchina di fronte all’ufficio del comandante.

Il traghetto è ben tenuto, le poltrone sono marroni e suddivise per categorie: alcune son assegnate ai tour e ai passeggeri vip. Tutte hanno presa o attacco usb e la wifi a bordo funziona. C’è chi gioca a carte, chi guarda il mare, chi canta. Cerco un ponte per godermi quel breve e speciale tratto di mare tra Oceano e Mediterraneo, ma purtroppo l’unico, sul lato, è piccolo e già affollato. Il bar sforna caffè costosissimi e snack che i bimbi, nell’attesa della fila controlli, vanno a comprare.

ARRIVO A TANGERI, LA CITTA’ DEI COLORI

Dai vetri sporchi e appannati appaiono i primi lembi di terra: l’Africa, in una delle due colonne d’Ercole! Perchè se ci penso è accaduto anche questo: la mia prima volta in Africa.  Supero un nuovo controllo e mi regalo un cielo azzurro, mille case bianchissime e pastello che guardano l’Europa, l’Oceano e il Mediterraneo che mi aspettano.

Un tassista chiede se voglio una corsa, ma l’albergo è vicino. Uscito dal porto tutta la zona che divide la città dagli imbarchi è tirata a lucido, con gli spazzini che vanno a caccia delle pochissime cartacce, i vigili che fischiano più per figura che pe necessità, i bus dei one day tour pronti e le strisce pedonali evidenziate per agevolare chi vuol attraversare. Peccato che le macchine non si fermino proprio! E sorrido all’idea di vedere motorini e motorette antiquate girare senza casco a velocità non proprio basse!

Per salire nella città vecchia ci sono vari sentieri. Mi danno il benvenuto due gatti, uno nero e un altro soriano. Quest’ultimo è talmente rilassato che nemmeno si sposta, resta placido al sole sgranchendosi da buon padrone di casa. I gatti, ecco, ti accompagneranno sempre e ovunque.

TANGERI E’ UN DEDALO DI STRADE

Tangeri è un dedalo di strade che va visitato con calma, una matassa piena di sorprese, prendendo tempo e accostandosi pian piano, passeggiando e comprendendo le sue contraddizioni. E’ un amore che chiede pazienza. Un mix di chiacchiere e voci, un tintinnio di stoviglie, il fruscio delle stoffe e la musica tradizionale in sottofondo, una sinfonia unica che si mescola nell’aria.

Un ragazzino mi chiede se voglia hashish poi sparisce come un fantasma. Sfrecciano due in motorino e salutano gli operai che stanno riparando un cornicione basso con estrema lentezza. I negozi son aperti e un venticello fresco muove tappeti e vestiti, esposti all’esterno.

L’Hotel Continental domina sulla grande zona del porto. La mia camera è al terzo piano senza ascensore. I gradini sono ripidi ma aprono a un mondo di testimonianze del tempo che fu. La mia camera non dà sul mare ma sulla vecchia Medina, i suoi onori e le sue ferite.

LA VECCHIA MEDINA

Quando scendo per strada mi immergo nella pacifica e caotica cittadina, il Petit Socco, nella Medina, dove tutto è movimentato e in divenire, e ritrovo le atmosfere mediorientali di Beirut e Amman, gli uomini seduti negli angoli della strada ad aspettare chissà cosa, gli sguardi che non sai se prendere come sfide, i profumi di spezie che arrivano gentili e profondi, gli imbonitori pronti a venderti qualcosa e a guidare sulla tua inesperienza e buona fede.

Mi perdo senza una meta seguendo il piacevole flusso. Mi fermano e rifermano ancora per comprare qualcosa, mi chiedono dove vada e se abbia bisogno di una guida. Esco dalla via principale e curioso tra i vicoli stretti, un labirinto dove è facile perdersi. C’è la foto di un politico, un giardinetto di piante grasse, gatti che si avvicinano con passo furtivo e ancora sguardi indiscreti a seguire i miei gesti. 

Per tornare nella via principale basta seguire il chiassoso vociare che si snoda attorno ala Grande Moschea, l’ex cattedrale portoghese prima ancora tempio romano, rivedere il Caffè Tingis dove si sedeva Paul Bowles autore de “Il Te nel deserto” e ancora il Cafè Centrale che diventerà il mio rifugio, e il Caffè Hafa dove son passati Kerouak e Ginsberg. 

Gli scrittori hanno raccontato Tangeri come un ricettacolo di spie e diplomatici voltagabbana, ereditiere e fuggiaschi, artisti e star del cinema. Un quadro di contraddizioni, miserie e polvere di stelle. E allora per questo proprio qui, nel Petit Socco, tra tessuti, pietre, oggetti d’antiquariato, immancabili e onnipresenti negozi di abbigliamento tarocco, bar belli e misteriosi, c’è ancora il profumo di decadenza mentre zigzagano carretti, venditori, trasportatori di sacchi al limite del quintale e brutti ceffi. I turisti provano a vincere la diffidenza, quella stessa diffidenza che senti nelle prime ore in un paese arabo e che poi si libera in sorrisi e sguardi di amicizia e comprensione.

Se vi aspettate un mercato caotico, resterete un po’ delusi. C’è una una bella mostra carne, formaggi, spezie, olive e tutto un magazzino dedicato al pesce. Sembra che tutti gli sguardi siano su di me. Giro e rigiro nel trasporto dell’anima. Le donne stanno finendo la spesa. Due bimbi hanno comprato il pane e lo mostrano alla mamma che sta vendendo dei semi seduta su uno scanno. Una donna mi ferma e vuol vedere cosa ho filmato. Il sorriso incrocia il mio: “sei uscita benissimo”, le dico. Mi sorride per quel complimento. Qui trova di tutto: dall’antiquariato all’artigianato, le teiere, le babbucce, i tappeti, gli unguenti. I sensi ringraziano:  le spezie e degli incensi bruciati, o dolci tradizionali il cumino e la cannella si fondono nell’aria, stimolando i tuoi sensi.

GRAND SOCCO!

In questo incrocio di cibi e profumi, di familiarità e discussioni accese, di immancabili contrattazioni che terminano con sorrisi e strette di mano, di macellai che tagliano carni, di odori di pescato e i trasportatori affaticati di sacchi di semi e scatoloni, mi ritrovo in Grand Socco. Questa è stata la sede del vecchio mercato dell’oro, una piazza circolare che separa città vecchia, la Medina del Petit Socco con la nuova. C’è un giardino in mezzo, la moschea e il cinema Rif. Anche qui, oltre all’immancabile traffico e i taxi celesti, altri venditori di frutta, spezie,  delle baracche che offrono cibo a poco prezzo. Non so perchè ma decido di dar fiducia al vecchio Mustafa. Mi siedo, chiedo un onesto taiji di pollo e una bottiglia d’acqua. Il piatto è caldissimo ma ricco di gusti diversi e viene accompagnato con un cestino abbondante di pane. 

Mustafa ha una camicia bianca, pantaloni neri e prova senza troppa convinzione a fermare altri clienti. Nel locale lavorano altri due ragazzi dietro ai banchi dove sono esposti, se così si può dire, i piatti in menu. Non sono per nulla invitanti. 

Il tavolo diventa un ottimo punto di osservazione della Tangeri di tutti i giorni: uomini d’affari che chiacchierano, ragazzine che sfogliano un dolciume appena comprato, giovani di qualche liceo che provano a rincorrere un pallone fatto di cartone arrotolato, taxi color turchese che si fermano e ripartono e il solito fischiettio inutile dei vigili. 

I CAFFE’ DI TANGERI

Nel pomeriggio decido di fermarmi al Caffè Gibraltar entusiasmato dall’idea dei luoghi retrò. Sono l’unico viaggiatore, mi accomodo in una delle sedie di pelle marrone. Un ragazzo sta al banco mentre uomo con una macchia in testa e pochi capelli disseminati sui lati serve ai tavoli con un gilet nero e camicia bianca nella perfetta uniforme del cameriere. Ordino un caffè con latte a cui il cameriere accompagna tre zollette di zucchero. Più tardi gusto il mio primo te alla menta. Ci sono foto del Barcellona, della vecchia Tangeri, il re e una tv con Al Jazira che i pochi clienti guardano ipnotizzati. Le mosche hanno deciso di fare geometrie per l’aria. Per il bagno si va su, con un portachiavi che è un pezzo di legno della grandezza di un sapone.

Fuori c’è la vitalità e l’incessante via vai di persone. Mi immergo nella scrittura. Il tempo passa tra pensieri e un certo punto, non so perché, il cameriere mi fa capire che sia il momento di pagare e andare. Forse son rimasto troppo? Forse ha impensierito il mio scrivere? Forse stanno per chiudere?

LUNGOPORTO DI TANGERI

Quando ridiscendo verso il mare ci sono un terrapieno e un vialone che porta alla città nuova. Anche qui è una miriade di caffè e ristorantini. Cammino a due passi dalla zona portuale su Piazza Espana. Nei locali si nascondono uomini e tv accese, ci sono bimbi che giocano infinite partite di pallone con maglie della Francia, del Barcellona, del Marocco tra grida e polemiche sul gol. Proseguendo la passeggiata sul Boulevard Mohamed VI le zone collinari sono ripide distese d’erba dove le famiglie fanno pic-nic e i giovani si rilassano.

Arrivo in Rue della Libertà e l’atmosfera si fa occidentale e francese. Negozi, caffè, supermercati, auto, consolato francese e un luogo come il Gran Cafè de Paris. Troppo diverso e lontano dal Petit Socco da cui ho già nostalgia. Un uomo vende calze colorate, un altro vuol appiopparmi un orologio di dubbia provenienza. Al Gran Caffè de Paris gli uomini sono schierati a guardare cosa succede nell’incrocio mentre un uomo con un violino chiede l’elemosina. Mi fermo al più kitsch Caffè Espanola, c’è la scritta ispirativa “good ideas start with great coffee”. Ci sono solo donne, bevono tè alla menta con un pezzo di torta. Hanno abiti colorati bianchi, azzurri, neri. Rispetto alla maggior parte dei caffè è un posto  elegante, le sedie sono turchese, gialle e viola con velluto. Ci son ovunque foto di re Muhammad VI. Al Belvedere che si chiama Place Faro si gode un bel panorama, con i cannoni allineati sul marciapiede, gli uomini che vendono immancabili semi e lupini mentre le donne dipingono tatuaggi all’hennè ad altre donne. Da lontano nei giorni in cui il cielo è nitido si vede la Spagna.

IL CAFFE’ DE LOS NAVIGANTES E L’HASHISH

Per cena torno alla Placa Espana allo Snack Bar Zerda, un ristorante senza infamia e senza lode: il cous cous è bello abbondante e mi sazia anche troppo. Tornando al Continental vengo incuriosito da un localizzo dove la gente sta fuori a parlare. Si chiama Caffè de Los Navigantes e alla scritta Free wifi è stata corretta conFree entry. Il proprietario ha una Berrita, una sigaretta che pende dal labbro e lineamenti tutt’altro che marocchini. Mi consiglia di entrare in una piccola sala interna, dove gli uomini fumano kif con grandi canne, bevono tè e guardano un episodio della saga di Harry Potter nella piccola tv. Mi siedo di fronte a tutti, quasi fossi all’interrogazione di scuola, osservandoli mentre continuano le loro operazioni con calma olimpica. Ci sono marocchini e c’è un uomo che sembra un qualche intellettuale occidentale scappato da una metropoli e datosi alla vita araba. Molti viaggiatori associano il Marocco all’hashish ma, nonostante la produzione nel paese risalga a svariati secoli fa, è solo da dopo i primi anni ’70 che è diventato noto in tutto il mondo per essa.  Oggi, il paese producano da un terzo a quasi metà della quantità di hashish mondiale. La produzione si svolge proprio nelle montagne del Rif, dal Mar Mediterraneo alla città portuale di Tangeri.

Il mio caffè, caldissimo e amaro, viene cucinato col bollitore. Il tipo mi chiede se voglia fumare anche io. Mi associo a quel rito mentre un gruppo di uomini in fondo giocano a carte. Uno degli anziani va via e recupera un mazzo di prezzemolo che era poggiato sul mio tavolino.  Questa immersione nella quotidianità prosegue quando torno in albergo e incrocio, in questa delicata serata di fine primavera, tavole di uomini che giocano a carte, bimbi scalzi che rincorrono un pallone e donne che chiacchierano in sedie diverse. Sembra un ritorno alla vita di paese!

LA CORSA AL TRAMONTO VERSO LA PAGE MERKALA

Un viaggio è ancora una corsa e sancire l’amore per Tangeri scelgo la via del tramonto, la lunga Route de la Page Merkala, che costeggia l’oceano alle spalle della Medina. Il tramonto è un rito collettivo. Donne e bimbi  sono seduti nei muretti sopra gli scogli, camminano e passano il tempo. Un uomo vende una pesata, chissà quanto costerà. Il parcheggiatore hail gilet giallo, ferma il traffico per agevolare la manovra dei possibili clienti. Un buon profumo di pesce arrosto arriva dai ristorantini vicino al porto. C’è chi vende semi e lupini, chi dolci e gelati e un carretto di patatine riscaldate da una bombola emana un odore di olio esegator. Dall’alto le belle ville bianche dell’aristocrazia locale si godono il panorama del mare.

Arrivo alla spiaggia Merkala quando il sole sta per tramontare. Ci sono improvvisati tavoli da giardino sistemati in riva e un chiosco con un ragazzo che fa la spola per portare bicchieri di the su una griglia. Donne e bimbi gustano the e addentano panini preparati a casa. Due amici bevono e fumano osservando il mare. Un impiegato ha messo la borsa dell’ufficio come cuscino e sta al telefono. I bimbi fanno grandi buche, trotterellano tra le dune, inscenano duelli e rincorrono cani troppo veloci per loro. Hanno un’energia infinita! Il sole è una grande medaglia che declina lenta sull’oceano, mentre un peschereccio sfida le onde.

Quando prendo la via del rientro, le persone son sempre là, tra giardinetti dove bimbe saltano la corda, mamme che coprono figli dal fresco e un bimbo spinge pallone col broncio perché torna a casa.

Il Gran cafe central è la mia dimora serale, tra un altro profumato te alla menta e uno spiedino di pollo. Un misto di arte e decadenza, un tavolo che aspetta di essere pulito, un cameriere timido e scontroso, i due acquari giganteschi, il lampadario di vetro, un grande orologio che solo a spostarlo ci vorrebbe l’esercito e le classiche foto della città nelle sue epoche. C’e’ anche un modello di galeone. 

Quando sta per finire la serata mi offrono un altro te alla menta. “E’ il whisky del Marocco” mi ricorda il cameriere giovane, mentre quello anziano ha fatto perdere le sue tracce.

IL SILENZIO DEL MATTINO

La mattina a Tangeri ti sveglia quel silenzio irreale della Medina. Apro la finestra e c’è un silenzio tra le case bianche che aspettano il sole, tetti raffazzonati, panni stesi e parabole che captano segnali europei. C’è il rumore dei gabbiani, il canto dei galli. Piccole esplosioni continue. Che sarà successo? Non sento il rumore delle sirene. Medito. Preparo i bagagli. Leggo qualcosa e poi scrivo nel mio diario. Mi concedo l’ultima colazione sulla terrazza del Continental mentre un imprevisto vento scuote una domenica che voleva sapere già d’estate. E’ una brezza fresca proveniente dal Mar Mediterraneo che sa di nostalgia e libertà.

Altri spari. Arrivano dal basso. Un matrimonio. Gli invitati circondano gli sposi con fumogeni e sorridono. Il muezzin ha iniziato il suo canto. E’ rassicurante. Se solo ricordo la prima volta che ne sentii la voce a Istanbul…

La paura è diventato sorriso. Il mondo arabo è uno scrigno di pace dell’anima. Un altro mondo, un altro senso di vita. Chiese e moschee, botteghe, sguardi, odori e colori che non trovi altrove.  E poi i suoni, nei bazar e fuori, che si mischiano con le voci. Quando sono al porto una rumorosa comitiva di ragazzi spagnoli sta partendo. Hanno cappelli verdi e il loro accompagnatore abbraccia la guida locale augurandosi di rivederlo presto. Allah maakum! Dio sia con voi, un augurio di protezione e amicizia.

I poliziotti di frontiera osservano il mio tatuaggio giapponese e mi chiedono cosa faccia nella vita: “Dj e giornalista “quasi fosse la cosa più naturale. Capiscono solo giornalista. Provo a essere simpatico ma non ricevo nessun sorriso di ritorno. Il poliziotto che controlla il mio documento domanda ancora: “Hai fumato qualcosa?” No, ho l’asma, non me lo posso permettere. Quella risposta lo sorprende. Non riesce a trovare altro da aggiungere se non “Buon viaggio italiano”.