Obrigado

Ogni città è come una donna: te ne innamori finché non ne vedi un’altra. Ma Lisbona pare già potersi inserire prepotentemente nel podio con Barcellona e Dublino. Un po’ più giù Londra.

Ma questo è quello che dovrei scrivere alla fine, non all’inizio di un viaggio!

Non è colpa mia se “lavoro” molto di sensazioni con i luoghi e le persone e spesso ci azzecco. Bene: Lisbona mi ha trasmesso sensazioni positive fin dalla discesa dall’aereo. Lo so che siete pronti a dirmi che ogni città che visito vi racconto che sia così, infatti nel sottotitolo avete già la risposta!

Primo giorno, dopo l’arrivo (seppure con due ore di ritardo del volo) e la bella serata di ieri in compagnia di Luis, la mia “guida” portoghese. Lui è un giocatore di calcetto, pardon futsal, che l’anno scorso militava nella società con cui collaboravo, il Basilea, e che abita a pochi chilometri da qui, a Sintra.

È venuto a prendermi (sorpresa!) all’aeroporto e mi ha invitato a cena: un inizio inatteso, che ha assolutamente cancellato la stanchezza per il ritardo.

Poggiati i bagagli nel mio hostel (a due passi dal centro, 28 euro per 3 notti con prima colazione), siamo volati in auto fuori Lisbona, dico “volati” perché la velocità non era bassa, a casa della fidanzata. In realtà lui aveva previsto tutto! E quindi c’era un posto a tavola anche per me, in un bell’appartamento caldo, mentre in tv scorrevano le immagini di Benfica-Vitoria Setubal.

Una cena gustosa, allietata da buon vino e da un liquore portoghese che ha chiuso le ostilità. Poi siamo andati in giro nei docas (la zona portuale di Lisbona, sede della vita notturna), anche se la domenica non era certamente il giorno migliore per vivere la città di notte.

Distrutto e stanco da un viaggio durato molto e da una bella serata, mi sono ritirato in hostel verso l’una. Nella mia camera gli altri due ospiti dormivano già. Tra l’altro non ve l’ho detto.

Risveglio del gallo, ore 7 tutti pronti, o meglio io solo. Un’ora di anticipo in fuso orario rispetto all’Italia, doccia, una prima colazione continentale con la possibilità di scambiare due chiacchiere in inglese con i gestori dell’ostello, farsi dare qualche dritta sui posti da visitare e si esce.

Oramai ho sviluppato il viaggio a intuito: prendo qualche punto di riferimento e proseguo random, giro e curioso ovunque, evitando puntualmente le zone dello shopping e quelle troppo turistiche nelle ore di punta. Entro nei vicoli e mi perdo. Cerco di trovare l’essenza di questa bella città che oggi mi accoglie con un sole primaverile e mi affascina già per i suoi ritmi, per la sua gente, per i suoi colori, per la sua malinconia accompagnata dall’inconfondibile suono del fado che ti ritrovi in ogni angolo.

Mi immergo e perdo nei vicoli seguendo cuore e istinto, ascoltando i rumori delle faccende del mattino. Si sale e si scende, scale e angoli, piccole botteghe e persone sole in bar dimenticati dal mondo. Salgo dal Rossio e mi fermo in una stradina dove il sole non entra mai, cammino vicino ai panni stesi, affacciato su cucine fresche di pulito. Ogni tanto una scalinata ti porta giù e ti si apre il mare in lontananza, tetti e case.

Mi fermo a pregare in una chiesa, assaggio un bicchierino di ginginha, osservo il lavoro di un lustrascarpe, fuori l’umanità è varia: facce di ogni latitudine, un mendicante, un pazzo che urla qualcosa, un venditore di caldarroste. Sembra di essersi fermato nel tempo. I negozi sono variopinti.

Prendo Rua Agusta, taglio la città, si apre una grande piazza ed ecco l’oceano che non è ancora oceano ma Tego. Osservo, contemplo, mi siedo, un suonatore strimpella, lascio che il vento mi raffreddi il corpo e la mente…

Rientro verso il centro e vado sulle tracce di Pessoa, lo scrittore, sul mitico tram 28. Una sua bella frase diceva:”C’è un tempo in cui devi lasciare i vestiti, quelli che hanno già la forma abituale del tuo corpo, e dimenticare il solito cammino, che sempre ci porta negli stessi luoghi. È l’ora del passaggio: e se noi non osiamo farlo, resteremo sempre lontani da noi stessi”.

Giro e scendo, mi inerpico fino al castello di Saint George, abbandono ancora i tracciati segnalati dalle guide e scopro strade dimenticate e posti sconosciuti anche ai turisti Riscendo e vado verso Barrio alto, e ancora taglio la città in due macinando chilometri.

I portoghesi son affettuosi: cercano subito un contatto. Non parlo solo di quelli che mi offrono la droga (avrò il volto di un incallito consumatore?) ma di qualsiasi categoria: dalla donna dei bagni pubblici al tizio che incontro alla macchina dei biglietti che mi aiuta a capire come usarla.
Laddove il lusso e i soldi non arrivano, il calore umano, i sorrisi e la gentilezza sono la miglior ricchezza che la gente ti possa offrire. Questo è uno di quei posti. Ma attenzione ai borseggiatori, sono dietro l’angolo, soprattutto nei tram (e i cartelli non mancano).

Pranzo in un ristorantino modesto in mezzo a una strada pedonale, vicino a Rua Da Prata, il cameriere mi chiede più volte se sia tutto ok, pago 6 euro, lascio una piccola mancia e mi ributto a passeggio, verso Belen, la torre. Fronte mare. Ci sono dei chilometri da fare, prendo un tram, scendo un po’ prima, e vedo un altro scorcio di città con il lungomare e il ponte che ricorda Brooklin.

Eccomi qui, allora, gambe all’aria, seduto davanti all’oceano, a godermi questo bel tramonto che via via diventa solo arancio. Una nave passa, diretta chissà dove, forse in America forse no, le prime luci della città e della baia si accendono ad una ad una.

Mi piacerebbe potervi trasmettervi la sensazione di calma che tutto intorno c’è: le onde e il profumo del mare, i rumori lontani e il chiacchierio della gente che passa.

Riprendo il cammino e mi fermo, su consiglio di alcuni amici, alla fabbrica di pasteis di Belem. I pasteis sono dolci tipici, si comprano e si possono degustare nel bar della pasticceria. Non perdo l’occasione. Sono le 5 e mezzo ed è già buio. Riprendo un tram che mi riporta in centro, vicino all’hostel da dove concludo la nota.

Per ora basta, ho scritto tanto, ho tolto molto di quel che ho visto, giusto per darvi l’idea di un altro posto dell’anima che vi consiglio assolutamente di vedere.

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