Lettera agli appassionati di qualcosa (come me)

È possibile per un attimo spogliarsi delle proprie passioni? Ci ho provato andando in giro per l’Europa, a vedere quanto ne potessi fare a meno. Ci ho provato nelle sere in cui volevo mollare tutto, offeso da qualche episodio o persona, rattristato da una sconfitta o da un flop.

Ho provato a dire “ora divento grande” e faccio qualcosa di serio, ho provato a dire “faccio qualcosa di meno coinvolgente” poi mi sono chiesto: ma non è già qualcosa di serio quel che faccio? Chi ha mai detto che far divertire la gente o scrivere non sia serio? Chi l’ha mai deciso?

 

Sono fuggito qualche volta dalle mie passioni, quando qualche lacrima è scesa e qualche pugno è stato tirato a una porta, quando qualche amico mi ha tradito, quando una sconfitta ha rubato i sogni e il sudore di mesi se non anni, ma le mie passioni mi sono venute a cercare.

Eccomi qui, allora, sempre con quelle: quando parlo, quando giro, quando mi sveglio, quando penso ad altro, sono sempre attratto da loro. Se conosco persone nuove le intervisto quasi dovessi scriverci un articolo. Entro nei negozi anche solo per sentire musica e se poi vedo in campo di calcio o una palestra subito mi emoziono. Cerco sempre un modo per organizzare qualcosa meglio, ogni evento e incontro, panorama o tramonto, mi dà un sensazione che voglio raccontare e scrivere subito. Diventa stato o forse anche nota.

 

Le passioni sono quelle cose che durano più di una stagione. Tante passioni ci colpiscono nel corso della vita. Da piccolo ne avrò avute un centinaio, molte anche stupide: da guidare le corriere a giocare a tennis, dal beach volley alla bicicletta. Ma poche hanno resistito alla prova di forza del tempo e dell’età, quando solo le più forti restano.

 

Alcune erano le mie passioni da grande versione light adolescenziale: mettere la musica alle festicciole in casa con ridicoli impianti musicassette registrate male e casse sfondate, organizzare le feste, i tornei sotto casa (perfino gli uno contro uno), realizzare i giornalini del palazzo e di scuola con una macchina per scrivere e con i primi computer, scrivere libri e riflessioni che non avrei mai pubblicato.

 

Non c’è nulla di quel che faccio ora che da piccolo non abbia fatto. Non mi sono avvicinato perché dovevo svoltare nella vita (i miei tra l’altro hanno sempre tifato affinché restassi nel mondo delle professioni più regolari, l’impiegato, il medico, l’avvocato) o guadagnare dei soldi: le sento incise sulla pelle. Loro hanno scelto me. Sono forti, indissolubili, sono parte di me. Spesso fanno male come ferite aperte.

 

Tanti non durano: certe passioni che sentono sono abbagli, infatuazioni, emulazione di altri o le sentono solo per farci due soldi. Scrivono, mixano o allenano, magari sono pure bravi e preparati, migliori di altri, ma non hanno anima, non trasmettono nulla. Ho visto tanti così, ottimi professionisti, persone splendide, ma mancava il calore nelle cose che realizzavano. Oppure le realizzavano per un guadagno. Ultima delle motivazioni. Eppure molti vanno avanti così.

 

È straordinario poi perché certe passioni si sono trasformate in professioni con cui mi guadagno da vivere e anche se qualcuno le vede come stupidi giochi d’infanzia e guarda rabbrividito la mia vita trattandomi da immaturo Peter Pan, io non ci posso far nulla se non essere felice e sentirmi realizzato. Avrei potuto fare il medico, l’avvocato, il commercialista, il giudice. Chi ha avuto la stessa esperienza può confermare. Non conto quante volte ho perso tempo e amici per le passioni, a quanti amori ho rinunciato. Quante volte mi sono sentito dire: “ma non sei troppo grande per…?” o l’altro immancabile “ma chi te l’ha fatto fare?”.

Io vado avanti, solo io so cosa mi trasmette una passione, quando mi metto a scrivere, quando salgo in una consolle, quando alleno.

 

Se sentite una passione non siate sordi. Fregatevene delle cose che vi diranno gli altri. E se questa passione brucia ancora dopo tanto tempo non vergognatevi e non ingannate voi stessi: fa parte di voi.

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