Le atmosfere del mio ultimo viaggio tra Slovenia e Croazia  sono un ricordo lontano. Quando lascio il caos di Roma e salgo sull’aereo che da Ciampino mi porta ad Amman, qualcosa di magico sta per ritornare: il mondo mediorientale, che ho avuto la fortuna di scoprire in Libano e che ora ritrovo qui in Giordania.

La Giordania era sulla mia lista da molto tempo, ma avevo bisogno di coraggio per prendere il volo e andare oltre le mie destinazioni abituali.

Mi viene a prendere all’aeroporto la mia guida, Amjad. Il tragitto di mezzora mi permette di conoscere qualcosa in più delle mie poche informazioni sulla Giordani. Amjad, stuzzicato da me, racconta la speranza e il sogno di un popolo che vuole crescere aperto al mondo senza perdere le proprie radici. Parliamo di politica, tradizioni, curiosità, confini, cibo e storia.

Lui ha vissuto a Torino per molti anni, ama l’Italia e tifa – purtroppo – per la Juventus. Tra scherzi e riflessioni, mi piace sapere com’è la vita in Giordania, sul come abbiano affrontato le scosse sismiche che hanno comunque toccato paesi vicini, e sulla situazione delle migrazioni vista la sua posizione geografica.

Intanto le case in marmo bianco si diffondono in campi giallognoli, e capisco che la città sta ancora crescendo e espandendosi. Quando il profilo di Amman, fatto di colline e alture, appare all’orizzonte, inizio ad avere idea della sua grandezza.

L’autostrada strada è larga e le auto procedono veloci. Ogni tanto passiamo un ponte con le bandiere nazionali che sventolano mosse da un leggero filo di vento.

Continuiamo a discutere di libertà e lui mi racconta come la Giordania, con i suoi 10 milioni di abitanti, ospiti ben 2 milioni di rifugiati palestinesi e circa la metà della popolazione ha origini palestinesi. Nonostante sia un paese piccolo, desertico e relativamente povero, con solo una piccola parte del territorio coltivabile, la Giordania ha sempre aperto le sue porte ai rifugiati provenienti da paesi vicini coinvolti in conflitti, come Palestina, Iraq e più recentemente Siria.

Quando finalmente siamo in città, mi immergo subito in questa eccezionale atmosfera, circondato da antichi resti di civiltà che sopravvivono e lasciano il loro segno nell’essenza stessa del regno e nell’anima della gente.

Il centro vero e proprio di Amman – la Downtown – è a 9 chilometri dal mio albergo, che sta nella parte nuova, avveniristica e ricca di edifici ultramoderni, hotel, ristoranti eleganti, gallerie d’arte e boutique. Tuttavia, decido di andare per capire se quella città descritta da Amjad come un ponte straordinario tra i continenti europeo, asiatico e africano, che nasce tra il deserto e la fertile Valle del Giordano sia quella che troverò.

Il traffico è intenso e ho l’opportunità di conversare con il mio tassista di Uber, un inglese che ha sposato una donna giordana. Uber qui permette di spostarsi evitando quello che io detesto: la contrattazione con i tassisti. Dovrò migliorarmi però.

La sua parlata è lenta e cordiale. Durante il tragitto verso il centro, mi offre una caramella e inizia a raccontarmi cosa troverò.

Quando arrivo, la città ha i colori del tramonto. Scendo dall’auto e vengo travolto dalla folla, dal caos, dall’anarchia fatta di insegne in arabo, negozi di ogni genere, fumo, gente che cammina, scatole, furgoni, autobus che cercano di farsi strada, grida, muezzin che pregano dagli altoparlanti delle moschee, merci , edifici in pietra che si ergono verso il cielo e stretti vicoli che si snodano tra le case. Ci sono pochi turisti. I caffè nascosti lasciano spazio alle piccole botteghe degli artigiani e venditori ambulanti.

Il mercato centrale di Amman, che non capisco dove inizi e dove finisca, è un’esperienza emozionante, che mi fa sentire parte della vita locale, tra le voci dei contrattanti, le donne in abiti tradizionali che scelgono con cura la frutta, i profumi di spezie e di carne arrosto, i gioielli, i tessuti e le ceramiche.

Non c’è da aver paura: l’atmosfera è caotica e affascinante, e ti senti subito a casa. Gruppi di anziani che giocano a carte, venditori di caldarroste fumanti e gesti e sorrisi, uniti alla conoscenza dell’inglese, ti fanno sentire accettato e risolvono qualsiasi distanza. Attraversare la strada può essere un po’ complicato a causa della mancanza di strisce pedonali, ma ci riesco!

Passeggiando lungo Rainbow Street e girando per i vicoli, scopro nuovi scorci e momenti di pace inaspettati. Una musica araba prende il sopravvento e mi sforzo di capire da dove provenga. Vedo che tutti mangiano una sorta di dolce. Chiedo a un signore di mezza età come si chiami e scopro il nome:il kunefe! Viene venduto in una piccola sala a cui si accede con una fila. È un dolce a base di pasta fillo e formaggio e delizioso! Riesco anche a infilarmi in un bar per prendere un sabbioso caffè turco.

Man mano che si avvicina l’ora di cena, i colori della Downtown cambiano. La gente freme al banchetto per gustare il mansaf, un piatto a base di riso e agnello, servito con una salsa di yogurt, e il shawarma, un sandwich con carne di pollo o manzo e verdure all’interno di una piadina calda.

L’aria si riempie del fumo dei contenitori di tè alla menta, che viene servito ovunque, dai ristoranti ai caffè, e del sahlab, una bevanda calda a base di latte, amido e spezie. Ci sono anche negozi che vendono succo di frutta fresca, spesso fatto con frutti come melograno, mela e carota. Un uomo cerca di vendere biglietti della lotteria, mentre un altro vende degli allunga-scarpe disposti su una scatola di detersivi. Un anziano signore ripara abiti con la sua macchina da cucire in mezzo al marciapiede. Le immagini della famiglia reale sono ovunque, e in qualche bancarella vedo foto di Saddam Hussein e bandiere dell’Argentina. Tre uomini scaricano velocemente un furgone mentre una macchina cerca di farsi strada tra le scatole troppo vicine. Un banchetto dispone dolciumi colorati per la felicità dei bambini curiosi. Poi c’è l’Anfiteatro, a cui si accede liberamente, un monumento spettacolare e ben curato che fa da cornice a una partita improvvisata divertente tra ragazzi ben vestiti per la domenica.

Quando decido di tornare in albergo, sento che Amman mi ha già accolto con un delizioso tè, con il malinconico canto del muezzin, e con la sensazione di vita e umanità che solo il sud del mondo può darmi. La gente è gentile e semplice.

Amman è una città giovane e fresca, che rappresenta una nazione in pace che accoglie i rifugiati dei paesi vicini, una nazione in cui nessuno ti disturba se non per un sorriso e per rispondere al tuo “Salam”.