Non conto più le volte che sono arrivato a Siviglia. Una quindicina, forse di più. Da tempo non è più il punto d’arrivo, ma quello di partenza. Un porto d’approdo che spinge altrove, direzione Oceano.
Segno sulla mappa un altro luogo ignoto, insignificante per molti: Sanlúcar de Barrameda. Poche informazioni, poche foto. Mi bastano per farmi ispirare. Sarà la mia casa.
Un pullman in due ore mi porta in direzione mare, lungo la strada che punta al Guadalquivir e poi lo lascia archiviarsi nel mare, dove l’acqua dolce si confonde con quella salata. È un confine che porta con sé un senso di malinconia già portoghese, mentre l’allegria spagnola sembra attenuarsi.
Non inseguo monumenti o itinerari segnati. Non mi interessano le urgenze turistiche o i consigli del solito blogger che vuole vendermi qualcosa. Men che meno i dépliant degli uffici del turismo. Cerco piuttosto fasi lente, prive di clamore, frammenti di vita quotidiana. E, soprattutto, il silenzio delle presenze isolate.
Il pullman stesso diventa parte del viaggio: mi trasporta come una corrente che non controllo, consegnandomi a luoghi semplici, senza promesse spettacolari ma densi di contenuto. È così che scopro davvero i luoghi e me stesso: lasciandomi trasportare. Casa, in fondo, è a quattro ore di distanza. Lontana.
Quale casa poi? Con le sue polemiche quotidiane, le sue ansie di prestazione. Casa è dove la tua anima decide di stare, anche solo per un giorno
Sanlúcar de Barrameda: storia, palazzi, strade
Arrivo nel tardo pomeriggio. Dalla stazione dopo qualche decina di metri si apre un lungo viale sterrato, l’Avenida Calzada Duquesa Isabel, con giostre ferme e gelatai già chiusi: l’estate é un file archiviato. L’Antigua Ayudantía Militar de Marina, edificio austero, segnala l’ingresso nel centro storico con una facciata sobria, mattoni chiari e finestre incorniciate. Cammino sulla stretta Calle Ramón y Cajal, tra negozi dal fascino dimesso: botteghe di vestiti modesti, chincaglierie, librerie di usato, boutique famigliari. Vetrine consunte, insegne in ferro battuto, qualche scritta luminosa ormai spenta, tende che filtrano la luce del sole.
La prima cartolina è Plaza del Cabildo, cuore della città, dove il palazzo del Cabildo (l’antico municipio ecclesiastico) ha facciate decorate, balconi in ferro, persiane scure. C’è una bandiera della Palestina.
Mi siedo su una panchina, tolgo lo zaino, respiro l’aria. I toni ocra, l’intonaco screpolato, i segni del tempo: tutto parla di passaggi, di mani che hanno restaurato e di quelle che hanno lasciato andare.
I palazzi nobiliari non mancano. Il Palacio de los Duques de Medina Sidonia (Archivio della Casa de Medina Sidonia) custodisce documenti storici.
Anche il Palacio de Orleans-Borbón, residenza estiva dei duchi del XIX secolo, è un esempio di quella fase in cui la borghesia e la nobiltà andalusa avevano scelto Sanlúcar come luogo di villeggiatura.
Attraverso il quartiere antico (Barrio Alto), le strade si stringono, le case bianche con balconi in ferro battuto si alternano a cortili interni ombrosi. Noto portoni ad arco, vecchie pietre annerite, zanzariere arrugginite. Alcune case mostrano stemmi araldici, tracce di nobiltà decaduta.
Arrivo all’hotel che mi ospita, tempo per fare check in e rifarmi abbracciare la vita di Sanlucar. Dopo una passeggiata nel centro, che a quest’ora è affollato dalla gente, punto subito allo specchio d’acqua, fino al paseo del fiume: qui non è ancora mare, anche se sembrerebbe. Il Guadalquivir si allarga, l’acqua scivola lenta. Sul lungofiume, barconi attraccati, botteghe marine, reti appese ad asciugare. Il mondo del mare si fonde con quello della città.
Nel piccolo chiringuito affacciato sulla spiaggia, ordino un mojito. Alla fine del bancone, un pannello in legno recita “Bebidas y tapas”. Dietro, bottiglie di liquori e ombre di vetri colorati. Mi correggono la pronunciatura di mojito: rido, mi prendo la mia bevanda con calma. Scopro che il porto ha un’antica importanza commerciale: nel XVI secolo Sanlúcar era uno degli approdi chiave per le flotte che aspettavano marea e condizioni favorevoli prima di risalire il Guadalquivir verso Siviglia.
Il tramonto è lunghissimo, colorato e dolce come una carezza. La musica qui è quella di Robin Schulz : Sun goes down! Una canzone che conosco bene, che mi ha accompagnato nella mie corse serali a Barcellona.

Arriva l’ora di cena. Ho bisogno di un ristorante sincero, con sedie in legno e candele tremolanti. Entro in un locale familiare, pareti dipinte di tonalità calde, piastrelle artigianali, quadri di pesca locale. Ordino tonno alla plancha con un contorno minimo di insalata: declino il resto. Parlo con la studentessa antropologa, scambiamo impressioni, linguaggi, frontiere. Sanlúcar è noto per la sua “manzanilla” (vino bianco secco prodotto nelle vicinanze, grazie all’aria salmastra e al clima costiero) e per i suoi langostinos (gamberoni di mare) che arricchiscono i menù nei ristoranti locali. Scelgo solo la prima.
La mattina arriva presto con un check out e un caffè in Plaza de San Roque. Litigo con le mosche ma ho la meglio: il caffè è solo un modo per osservare un altro angolo di questa cittadina prima di prendere un bus, destinazione Chipiona.
