Mare, chiosco, litorale del Poetto.
Mentre mi concentro sul mio computer rinfrescato da una bella arietta marina, si avvicina un senegalese.
Sulle prime dico che non voglio nulla, quasi in automatico. Ma non mi vuole vendere un cd, un fazzolettino, un occhiale.
Mi offre un libro. E comincia a raccontare cosa c’è dentro.
Una raccolta di poesie sull’Africa. Lo sfoglio. È paradossale come in pochi minuti mi crei interesse per il libro.
Leggo qualche verso. Ne nasce una bella chiacchierata.
Parliamo di Africa, lotta rituale, di musica, Salif Keita, Youssun’ Dour, del sorriso e della voglia sempre di vedere positivo che hanno. Dei suoi viaggi, del confrontare culture e punti di vista.
Chiedo come si può fare per andare in Senegal.
Mi spiega tutte le procedure. Ma quel che più ti colpisce è che ti dà energia. Sorride. Con quel sorriso unico.
Prendo il libro, 9 euro. Gliene dò 10 senza resto.
Curiosamente chiedo come mai sia in Italia. Era a Milano, ma la vita costava troppo. Qui si trova bene: clima, gente. Sa parlare tre lingue. È andato via per fuggire al nulla, vuol crescere. Dice che in Senegal non c’è lavoro, i politici fanno quello che vogliono, l’educazione non va bene.
Non si può migliorare, studiare, evolversi.
Così è partito, lasciando tutto.
23 anni. Non ricordo nemmeno il nome.
Forse lo chiamerò coraggio.