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Malta, Caravaggio e la bellezza dell’arte

Guardavo opere del Caravaggio a Malta, la decollazione di San Giovanni Battista. E poi San Girolamo scrivente. Dal vivo, senza fretta, senza stress, catturato per minuti infiniti.

Da tempo quell’occhio sulle opere è cambiato. E le sensazioni, anche quelle, son diverse. Come la voglia di farne incetta sempre e ovunque, superando quella paura figlia di una educazione a dover vivere e sopportare il brutto che ci ha sempre circondato.

Il nostro occhio poi non riesce più a trovare le differenze: accetta tutto e si accomoda.

All’uscita della chiesa ho avuto un brivido. Mi son fermato e guardato attorno. C’erano le bancarelle, i turisti nel loro lento passeggiare, i negozi plurimarca di qualsiasi centro turistico.
Poi ho aperto il social e ho pensato: come ci siamo ridotti? Ma quanto è brutta e volgare la nostra vita?
Possiamo fare ancora qualcosa?

Forse iniezioni di arte e bellezza, pur nella nostra incapacità di percepirle nella loro totalità, ci permettono di lenire quel disagio di sentirsi sempre fuori posto.

Thich Nhat Hanh e il suo Trattato di Pace

Ho appena finito di leggere Spegni il fuoco della rabbia di Thich Nhat Hanh, monaco vietnamita, grande maestro spirituale del nostro tempo.

Un meraviglioso libro con riflessioni sulla rabbia e sull’origine dell’infelicità che ha tra le cause l’errata conoscenza (ignoranza), il desiderio ossessivo e la rabbia stessa.

Thich Nhat Hanh afferma che la felicità è una pratica che ha a che fare con la trasformazione della sofferenza e del dolore che alberga dentro di noi. Ma non c’è conflitto, quanto convivenza, consapevolezza di quel che succede. Non si può annientare la rabbia, ma bisogna riconoscerla e conviverci. Questo è l’unico metodo per poterla superare.

IL TRATTATO DI PACE

Tra i tanti spunti, alla fine del libro, c’è un Trattato di Pace fatto firmare alle famiglie di Plum Village nel corso di una cerimonia alla presenza della comunità. Il consiglio di Thich Nhat Hanh è di adottarlo e adattarlo, sentendoti libero di modificarlo.

Perché possiamo vivere a lungo e felicemente insieme, per sviluppare e approfondire costantemente il nostro amore e la reciproca comprensione, noi sottoscritti facciamo voto di osservare e praticare quanto segue:

Quando sono arrabbiato mi impegno a:

1. Astenermi dal dire o fare qualsiasi cosa che possa causare ulteriore danno o intensificare l’ira.
2. Non reprimere la mia rabbia.
3. Praticare la respirazione e prendere rifugio nella mia isola interiore.
4. Con calma, comunicare entro 24 ore a chi mi ha fatto arrabbiare che sono irritato e sofferente, sia verbalmente sia consegnando un ‘Messaggio di Pace’.
5. Chiedere un appuntamento, sia verbalmente sia tramite un ‘Messaggio di Pace’, per un successivo giorno della settimana per discutere la questione in modo più esauriente.
6. Non dire: ‘Io non sono arrabbiato. Va tutto bene. Non sto soffrendo. Non c’è nessun motivo per essere arrabbiato, niente che meriti di suscitare la mia ira’.
7. Praticare la respirazione e il guardare in profondità nella mia vita quotidiana, mentre sono seduto, sdraiato, in piedi e mentre cammino, per vedere:

a) i modi nei quali anch’io, a volte, sono stato maldestro.
b) come ho ferito l’altra persona a causa delle mie tendenze abituali.
c) come il seme della rabbia, che è presente in me, sia causa primaria della mia ira.
d) come la sofferenza dell’altra persona, che innaffia il seme della mia rabbia, sia la causa secondaria.
e) come l’altra persona non stia cercando altro che il sollievo dalla propria sofferenza.
f) che io non potrò essere davvero felice fino a che l’altra persona continua a soffrire.

8. Scusarmi immediatamente non appena mi rendo conto della mia mancanza di tatto e di consapevolezza.
9. Posticipare l’appuntamento nel caso io non mi senta abbastanza calmo per incontrare l’altra persona.

Contro i rapporti tossici

Spesso la disponibilità, la sensibilità e l’equilibrio vengono percepite come segni di debolezza. È anche normale che lo sia, in un mondo di squali, di persone esaltate dall’idea di rincorrere il (piccolo) successo se possibile a discapito degli altri, dall’idea che siano prede da spolpare o parafulmini dei propri problemi.

Se la pandemia e quel terribile lockdown mi ha insegnato qualcosa quello è stato il non voler perdere più tempo a fare cose che non mi piacciono, con persone che non mi piacciono, abbandonare polemiche e perdite di tempo, lasciar correre e silenziare le fonti del disagio.

E questo significa oggi sacrificare persone e occasioni, fare scelte, chiudere porte e aprirne altre nuove, investendo totalmente me stesso sulle passioni e in progetti possibili e impossibili, imparare a dire più spesso NO. Creare così un cordone sanitario su tante cose e difenderlo.

Non so se il tempo mi darà ragione, ma se posso condividere un consiglio qui so di poter affermare che è pericoloso portare avanti rapporti tossici di nessun genere.

Il tempo è troppo prezioso per essere sprecato, fosse anche l’occasione della vita che si traveste da semplice abbaglio, come le birre da condividere con le persone giuste.

Ritorno al pianoforte!

La buona notizia di questi giorni è stato ritrovare il mio maestro Luca il suo bel pianoforte dove ci esercitiamo ogni settimana.

Imparare a suonare uno strumento è come iniziare a studiare una lingua nuova: può sembrare dura all’inizio, incomprensibile e faticosa. Però una volta che si cominciano a riprodurre le prime note la soddisfazione e i benefici sono tanti. E’ come avere un nuovo mezzo che ci permette di esprimerci in un modo nuovo, attraverso la melodia.

Non è stato un periodo facile per lui, me lo ha raccontato. Le sue lezioni mi mancavano, come i suoi consigli e i nostri confronti sulla musica e le scelte dei vari compositori. Il grande lavoro che stiamo facendo assieme, grazie alla sua pazienza, ci porterà lontano. Ne son certo!

E poi accadono cose bellissime quando cominci a studiare musica. Leggerla aiuta a migliorare la capacità ragionativa e la concentrazione.  Suonare porta con facilità ad aprirsi agli altri per condividere le proprie scoperte ed il proprio suono. Ma prima di tutto promuove l’autodisciplina. E poi quanta fiducia in sé stessi quando cominciamo a manovrare lo strumento e capirne i segreti.

Mi ha stupito che siano crollate due certezze (stupide) che avevo: che gli artisti non seguissero troppe regole e che le regole non fossero in aiuto della creatività. Invece, no, le regole aiutano essere creativi: rimescolare gli ingredienti a disposizione significa avere la possibilità di fare qualcosa di bello e nuovo!

In ultimo, specie in questi tempi, un bel contenitore allo stress. Quando suoni hai bisogno di essere concentrato. Non devi pensare ad altro. Per questo dopo un po’ le preoccupazioni sono dimenticate e rimani solo tu e quello che stai suonando. Si sospendente il normale flusso della tua vita e allo stesso tempo inizi a esprimere con sincerità le tue emozioni.

Grazie Luca!

Ci manchi Ale Massessi DJ!

Cos’è la mancanza?
È un fiume carsico che si nasconde e poi affiora quando meno te lo aspetti e scopre dolore e ferite. Una strada, un pomeriggio come tanti.
Perché qui giravo spesso, anche quando non c’era una serata o lavoro assieme, bastava anche solo un messaggio. “Ale son da queste parti ” e lui “passa, dai”. C’era il suo Sunshine o ci vedevamo in giro tra Castiadas e Villaputzu. E guai a non passare a salutare, se la prendeva. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo sa bene quanto lui tenesse ai rapporti umani.
Da quel maledetto giorno di fine novembre tutto questo è ricordo.
Se solo si potesse riavvolgere il nastro, riaverti tra noi, riprendere le nostre cene e i progetti. Ci manchi caro Ale Massessi.

Il signor Gabriele del Poetto

Al chiosco il Nilo c’è un signore dai modi gentili che serve ai tavoli.
Un signore d’altri tempi, con un viso che porta i segni di una vita.
Ha una giacca marron, una camicia bianca nascosta da un maglioncino abbinato sempre con un colore retrò, scarpe in camoscio.
Una contronarrazione disorientante al cameriere giovane e alla moda che ti aspetteresti al Poetto.
Saluta e ringrazia tutti, ha un fare lento e misurato quando porta un piatto, quando ritira il caffè dal tavolo controllando che sia finito. Posso? Scusa? Mi spiace. Ecco a lei. Buon appetito. La ringrazio.
Mai forzate, mai imparate a memoria in qualche corso o perché si deve dire così. Parole accoglienti e sguardo rassicurante.
In questi giorni di fatica incrociare vite come quella del signor Gabriele può essere un segno del destino. Rilassati, rallenta, sii gentile. Lascia perdere le ansie e le distrazioni. Non disperarti. Todo se cumple.

Laboratorio di scrittura con Agape

“Nessun uomo è un’isola”.
Non è solo lavoro, non sono solo progetti. È soprattutto calore umano, fiducia, speranza, riscatto, condivisione. La dimensione umana che per me vien prima di ogni cosa.
Oggi il mio ultimo incontro con i ragazzi ospiti di Agape Sardegna che hanno partecipato al progetto di passeggiate di scrittura per le vie della città, promosso dal Comune di Cagliari.
Grazie anche a Filippo Cocco per il supporto preziosissimo!

Ciao Don Alby

 

Ho conosciuto don Alby Alberto Pistolesi nel 2015 grazie all’amico in comune Sergio. Mi invitò a tenere un corso di comunicazione per i suoi animatori, a Solanas. Una giornata intensa di fine estate, a cui partecipò anche l’allora vescovo con cui ebbi la fortuna di chiacchierare a pranzo.
Bastarono pochi minuti per capire che persona fosse: disponibile, premuroso, trascinatore. Un prete diverso dalle etichette e dai luoghi comuni. Un prete “avanti”, che cambiava lo spirito della gente, una di quelle persone che ogni comunità e quartiere vorrebbe e dovrebbe avere. Perché non era solo un apostolo di Dio, era uno che univa e riuniva. Che motivava i giovani a non essere soli. La certezza, a Genneruxi come a Sinnai.
L’ho iniziato a seguire sui social, ci siamo incrociati poco o nulla in questi anni. I suoi modi di lanciare temi e riflessioni erano sempre avanti. La sua gentilezza e ironia resteranno un bellissimo ricordo.
The show must go on, dicevano i Queen. Si prova ad andare avanti.
Alessio, Ambra, Alberto. Quanto è difficile per chi come me vive tra la gente andare avanti nonostante questi colpi tremendi e continuare a sorridere un attimo dopo? Quanto il destino o Dio, decidete voi, devono ancora giocare col nostro cuore?

Una partenza per Roma

Sveglia alle 7, ansia di volo. Il taxi notifica che è in arrivo. Ma come, non è presto? Poi mi spiegherà che è normale che l’avviso parta.
Sono a casa di mamma. Le sere prima della partenza amo starle vicino e sacrificarmi in quel letto a mezza piazza della mia infanzia versione moderna di quello che fu di Padre Pio, come dice una mia amica. Te ne compro uno nuovo, lei tenta di riportarmi a domicilio con promesse roboanti. Ma’ ho 167 anni, ma ti pare che debba tornare a dormire qui?! E vabbè. Ma quindi parti, ma dove parti? A Roma. Fa freddo, vuoi le calze di lana? E attento a questo covid. Per lei qualsiasi luogo oltre Sanluri è freddo e impervio. Appena le dico Helsinki – secondo me non ha chiaro dove sia ma farà ricerche su google – mi chiede come sempre che ci fai così lontano? Domanda classica di mio padre. Eredità. Ma domani qui c’è la riunione del condominio. Mamma, andrò all prossima, fatemi sapere cosa si è deciso.
Mentre preparo il bagaglio sono alla terza sudata. Fottuta ansia. Tosse da asma. Ho preparato tutto, viaggio solo con uno zaino. Si chiama backpack, pare sia la svolta del viaggiatore ossessivo compulsivo, sempre alla ricerca di soluzioni ottimali – oddio il linguaggio da imbruttito milanese – non è quello del mio Cammino di Santiago ma mi evita il trolley e lo zaino. Una combo che non sopporto più.
Mi metto tutto sulle spalle. Scelgo accuratamente cosa portare per evitare pesi inutili. Provo e riprovo, chiude!

Il taxi è puntualissimo, un minivan da 8 posti. Chiacchiero con l’autista. Sorrido per il tanto spazio a disposizione, quale onore? Mi sento un dj superstar che va al suo concerto a Miami, mi ricordo poi che sono un povero cristo che rompe la noia locale a suon di viaggi per lavoro e per piacere e deve arrivare solo all’aeroporto di Elmas.

All’aeroporto c’è poca gente. Vuole l’aranciata e il menù? No solo acqua, cornetto e cappuccino. Sono cinque euro. Non so se dentro abbiano messo anche il sacro graal. Un tipo si avvicina al banco e chiede una tisana allo zenzero. Nulla, rispondono. E ridono discutendo dello zenzero e della sua richiesta in aumento.
Volotea, prime tensioni all’imbarco. Quelli senza priorità capitano sempre nella fila priorità e se ne accorgono dopo con scenate da mancato rigore allo stadio Olimpico. Quello che elegantissimi e professionali saltano la fila con volto spensierato con il cellulare sempre in chiamata per affari. Strano, gli imbarchi hanno due file, due soluzioni. A o B. Con o senza priorità. Anche perché se non paghi non hai priorità. Difficile sbagliare.
Ancora polemiche nell’aria. Prima non era così. Prima i treni arrivavano in orario. Prima Alitalia. Prima Dc, Pci e Psi. Effettivamente nel volo Cagliari/Roma la truppa passeggeri è più burocratica di quello milanese dove tra manager, ceo di se stessi, stilisti, influencer da shopping milanese e bocconiani sbarbati la parola d’ordine è silenzio ed efficienza.
Le frasi si sprecano nell’aria mentre Ryanair annuncia che l’ultimo imbarco per dovenonricordo. Il pubblico nonpriority potrebbe scatenarsi in un “onestahhh” da un momento all’altro perché quei priority non rispettano la democrazia.
Le polemiche continuano a bordo. Un giovane steward, appena termina una dettagliata spiegazione a passeggeri con un bambino – lodd a lui per tanta professionalità – viene impallinato da passeggeri di mezza età che sfogano rabbie mattutine e giocano sulla sua cortesia e adolescenzialità. Nessuno mi ha mai detto che devo lasciare il trolley qui, ma come mai ho pagato venti euro per i bagagli e ora ne devo mettere uno di 45 kg al check in.
Lui si prodiga per rispondere a tutti, respira e argomenta con parole legggere, ma le vedove di Alitalia siano tante.
Vorrei dirgli sei stato bravo e mettere una recensione. Dirgli che non tutti i viaggiatori sono così, che ce ne son altri che capiscono e passano avanti. Che non è colpa tua, mia, di Alitalia o Volotea. Basta che sorridi e mi tratti bene e saremo felici.

Il mio battesimo del volo con Volotea è iniziato: per ora professionalità e gentilezza, cambi volo su web – e niente telefonate di due giorni al call center e orecchie bollenti – nonostante certi passeggeri a bordo se la prendano con lavoranti a bordo, trattandoli da schiavi di qualche galeone di inizio ottocento. Prima o poi uscirà qualcuno che chiederà di lustrargli le scarpe e fargli le unghie.
Saluto un caro amico che si immerge nella lettura. La mia vicina di fila ha gli occhiali con montatura sottile, gilet e camicia con fiori viola e rossi. Si presenta con un mi scusi deciso e monotonale, ora mi sento in colpa per essere al mio posto e perché non ho capito da lontano che quel posto finestrino fosse il suo. Mi sento in colpa di esistere, signora! Altro tono del ragazzo col capello lungo che occuperà il posto al centro che chiede la cortesia per accedere alla fila.
Ci vuol pazienza, sempre. Soprattutto se si è viaggiatori e se si parte di mattina verso Roma.

Marracash e gli altri

Ero troppo curioso e l’ho ascoltato anche io. Subito. Tutto d’un fiato. Noi, loro gli altri.
Marracash prova a portare il rap oltre, verso il terreno della maturità. Oltre le tematiche valide per il pubblico dei giovanissimi. Niente Gucci, Lamborghini, maschio alfa, soldi facili e canne. Un quarantenne che parla a quarantenni col linguaggio del rap che ma affascina – e si vede! – pure i diciottenni. Un motivo ci sarà, no?

Pezzo dopo pezzo si ancora l’asticella – ci sono anche i feat di Guè, Calcutta e Blanco- per andare oltre il becero e superficiale, per conquistare il pubblico che vuole di piu della mole di dischi e produzioni che escono ogni giorno.
E allora Marra vuol far musica per avere un effetto sulla realtà, la studia e la racconta, con un approccio artistico e pop.
Una società frammentata, divisa in squadre e fazioni, ognuna con la sua verità.

Le rime sono composizioni perfette, interessanti, sceneggiature in versi che toccano nervi scoperti e i cliché, rapper di plastica, influencer a comando e finti pensatori. Un altro livello rispetto a certe reiterazioni noiose che girano.
«Dopo il Covid più che di ostentare è il momento di farsi due domande», dice. Quante domande e quante risposte.
Ci si esalta oramai per ogni fenomeno passeggero pompato da like e promozione, dimenticando le differenze e le sostanze. Dimenticando di far attenzione al valore delle cosa.
Marra gioca un altro campionato, senza paura di propendere per l’attacco e di rischiare. Punta a vincere. Altro livello, altro palleggio. Un sapiente uso delle parole e delle metriche incorniciato da suoni mai banali.
Se qualcuno avesse ancora dubbi, però, il King è tornato.