Statale 197, altezza Furtei, una sera di inizio ottobre.
Un bar di provincia che sembra sospeso nel tempo, una piccola oasi di quiete nei paesi che vivono l’esodo senza fine delle loro anime.
Ti fermi perché qualcosa ti attira, forse ti aspetti che da un momento all’altro riveda te stesso bambino.
Fuori l’aria sa di primi caminetti autunnali, dell’ultima luce del crepuscolo e di quella giallognola, un po’ amara, dei soggiorni con le tv già accese.
Questo bar ha le pareti rosa, i bicchieri allineati sugli scaffali, il profumo del caffè che si mescola ai liquori in bottiglia.
Una donna dietro il bancone mi accoglie con un sorriso che riempie la stanza più di ogni luce artificiale. Capisce subito che non sono di queste parti.
«Sono in tempo per un caffè?» chiedo, con la sensazione che la macchina sia già stata pulita, come succede spesso in città.
Lei mi rassicura: «C’è ancora tempo».
«Da dove vieni?»
Rimango un po’ sorpreso, quasi timoroso: capisco che è un gesto d’apertura che non posso perdere. Così rispondo, e da lì nasce una conversazione.
Parliamo di origini, di genitori, di treni che passavano proprio qui dietro, delle feste di paese come quella di Santa Vitalia, dei riti che tengono unite le comunità.
Di Siddi, Ussaramanna, Furtei, Tonara, Aritzo.
Parliamo del vicinato di un tempo, della vendemmia, dello spopolamento e di quella memoria che resiste quando tutto il resto sembra dissolversi.
Questo bar diventa per un attimo un rifugio dal mondo brutale, un luogo dove anche le storie personali riaffiorano, dove la nostalgia diventa tepore.
Quando esco, il profumo di caminetto mi investe ancora, lo stesso che avevo sentito appena sceso dall’auto. È un odore che mi riporta all’infanzia, alle sere d’autunno nei paesi.
La luce giallognola e amara delle case di sopra è ancora lì.
Una lacrima mi scende perché so che questo momento deve finire.
Devo ripartire, ma ancora una volta mi domando quale sia il significato di questo incontro e di queste parole.
Forse dovrei dare ragione alla mia amica che diceva: “Non cercarlo, vivilo”.
E mentre rimetto in moto, penso che certi luoghi, più che essere visitati, andrebbero semplicemente abitati, anche solo per un caffè.