Anime fragili, come noi.
Lucio Corsi è l’anima fragile di Sanremo. Non è una moda, perché le mode passano, mentre l’arte resta. È un artista, uno di quelli che non hanno bisogno di vincere per lasciare un segno.
Racconta storie, non fa gare. Non ha l’ansia della prestazione né cerca cuoricini. Non deve apparire e vendere come fanno tanti sui social.
“Diventa ciò che sei,” diceva Nietzsche. E Lucio lo è: senza compromessi, senza maschere, senza la necessità di aderire a un’immagine costruita o seguire un trend. Senza dover distrarre il pubblico con gossip o parole ad effetto che distolgano l’attenzione da musica e scrittura.
Ha la leggerezza di chi non deve dimostrare niente. Nessun artificio, nessuna concessione al superfluo. Solo se stesso, un’estetica che non è rappresentazione, ma espressione.
La sua scrittura è quella di chi sa vedere l’infinito in un particolare per tanti inutili, di chi sa trovare l’oro dove altri nemmeno cercano. È quella di chi non ha fretta, cerca l’equilibrio, di chi si cura le ferite da solo, di chi ama anche se non sarà amato, di chi lascerà qualcosa ma non ha ansia di dimostrarlo.
Non è complicato, è raffinato. È altro. Perché conosce il valore delle parole e sa che ognuna di esse è una chiave d’accesso al mondo e all’anima.
Non lo trovi al centro commerciale ma nelle botteghe, nei ristorantini fuori dal centro del mondo, nelle pagine di periferia.
Sa di essere unico in questo mondo usa e getta, in questa musica di like e numeri.
Lucio Corsi non imita, non è personaggio, non rincorre il consenso, non cerca di stupire.
Parla così perché è così. Anima libera, solitaria, riservata a chi la comprende.
Il solo pensiero che possano esserci persone così, come ci sentiamo noi, ci rassicura.